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La regina, il desiderio e la vendetta (II 8 –Elissa–)

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 58-61)

L’ottava novella della Seconda giornata, dai numerosi antecedenti letterari, descrive un complesso intreccio di vicende drammatiche a lieto fine, celebrando virtù cavalleresche e domestiche, lodando l’altezza della nobiltà e biasimando la pochezza dell’alterigia. Causa scatenante delle sventure del conte Gualtieri d’Anguersa ed elemento determinante della sua ritrovata ventura è una donna neppure citata nel titolo, e della quale il racconto non tramanda neppure il nome: la regina di Francia che, ancor giovane principessa sposa del futuro re, del conte s’era invaghita. Al suo rifiuto di infrangere la lealtà di suddito, finge di aver da lui subito violenza costringendolo a fuggir esule in incognito con i due figlioletti, e a mendicare per lunghi anni –non senza, per la verità, aver sistemato i figlioli–, fin quando, in punto di morte, ella confessa la sua menzogna e domanda al marito re di restaurare nel proprio stato il conte e i suoi figli: così la novella si conclude, con tanto di edificante riconoscimento dei torti fatti e di perdono per quelli subiti.

Di notevole interesse è la fugace apparizione sulla scena della donna, per la teoria che enuncia e per l’atteggiamento che manifesta. Gualtieri, “gentile e savio uomo e molto loro fedele amico e servidore” è stato costituito dal re e dal figlio, partiti per una guerra, “in luogo di loro sopra tutto il governo del reame di Francia general vicario”; e nello svolgimento del suo ufficio operava con ordine, “sempre d’ogni cosa con la reina e con la nuora di lei conferendo” (II 8, 260).

Ora avvenne che, essendo il re di Francia e il figliuolo nella guerra già detta, essendosi morta la donna di Gualtieri e a lui un figliuol maschio e una femina piccoli fanciulli di lei rimasi senza più, che, costumando egli alla corte delle donne predette e con lor spesso parlando delle bisogne del regno, che la donna del figliuolo del re gli pose gli occhi addosso e, con grandissi- ma affezione la persona di lui e’ i suoi costumi considerando, d’occulto amore ferventemente di lui s’accese; e sé giovane e fresca sentendo e lui senza alcuna donna, si pensò leggiermente doverle il suo desidero venir fatto, e pensando niuna cosa a ciò contrastare, se non vergogna, di manifestargliele dispose del tutto e quella cacciar via (II 8, 260–261).

Dunque la donna s’innamora della “persona di lui” e dei suoi costumi, “sé giovane e fresca sentendo”. Del proprio sposo non si cura, e neppure del sentire di Gualtieri, se non per considerare che lui si trovava “senza donna alcuna”, mentre invece il suo “pensiero era molto lontano da quel della donna”. Lo fa chiamare in una sua camera, si siede su di un letto accanto a lui e “da amor so-

spinta, tutta di vergogna divenuta vermiglia, quasi piangendo e tutta tremante, con parole rotte”(II 8, 261) gli confessa il proprio amore.

Nella sua dichiarazione ella introduce un punto teorico a giustificazione del proprio sentire e del proprio agire: la fragilità degli uomini e delle donne, peraltro diversamente presente in persone diverse, tanto che “debitamente di- nanzi a giusto giudice un medesimo peccato in diverse qualità di persone non dee una medesima pena ricevere”45.

E chi sarebbe colui che dicesse che non dovesse essere molto più da riprendere un povero uomo o una povera femina, a’ quali con la loro fatica convenisse guadagnare quello che per loro lor biso- gnasse, se da amore stimolati fossero e quello seguissero, che una donna la quale, ricca e oziosa e a cui niuna cosa che a’ suoi desideri piacesse, mancasse? Certo io non credo niuno. Per la qual ragione io estimo che grandissima parte di scusa debbian fare le dette cose in servigio di colei che le possiede, se ella per avventura si lascia trascorrere ad amare; e il rimanente debbia fare l’avere eletto savio e valoroso amadore, se quella l’ha fatto che ama (II 8, 261-262).

Ma la fragilità connaturata è complicata –dice la donna– “per la lontananza di mio marito, non potendo io agli stimoli della carne né alla forza d’amor contrastare”: e la potenza della carne e dell’amore è tale che ha vinto e vince, nonché le tenere donne, molti fortissimi uomini. Per questo

essendo io negli agi e negli ozii ne’ quali voi mi vedete, a secon- dare li piaceri d’amore e a divenire innamorata mi son lasciata trascorrere (II 8, 262).

Segue la proposta a Gualtieri di corrispondere al desiderio: “Per questo io vi priego, per cotanto amore quanto è quello che io vi porto, che voi non neghia-

45 “Diciamo che appena può avvenire che’ lavoratori sieno veduti usare cavalleria d’amore, ma

naturalmente siccome cavallo o mulo si muovono ad atto carnale, siccome movimento naturale dimostra. Adunque basti loro la continua fatica di lavorare i campi e gli sollazzi della zappa e del marrone. Ma se alcuna volta avegna che di rado può avvenire, fuori di loro natura sentisseno amore, non si conviene di ammaestrarli in dottrina d’amore. Imperciò che s’elli intendessono alli atti d’amore, li campi e le vigne per difetto delli lavoratori non ne potrebbono rispondere di frutti”: così il De amore di Andrea Cappellano (a cura di S. Battaglia, versione toscana trecentesca con testo latino a fronte) Roma 1947, 273. Per questa concezione tutta aristocratica dell’amore, cfr. anche Avalle, D. S., Alli luoghi di delizia pieni, Milano-Napoli 1977, 20.

te il vostro verso di me e che della mia giovinezza v’incresca, la quale veramen- te, come il ghiaccio al fuoco, si consuma per voi” (II 8, 263).

Il conte rifiuta indignato la proposta, e la donna

subitamente dimenticato l’amore e in fiero furore accesa, disse: “Dunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio desidero schernita? Unque a Dio non piaccia, poiché voi vole- te me far morire, che io voi morire o cacciar del mondo non faccia”(II 8, 264).

Quindi c’è la finzione della violenza e la partenza dello sventurato conte per il suo desolato esilio. Poi, come si è ricordato, il lieto fine dopo la confessione della donna ormai divenuta regina di Francia:

e conoscendo ella medesima venire alla morte <…> si confessò dall’arcivescovo di Ruem [sic] <…> e tra gli altri peccati gli narrò ciò che per lei a gran torto il conte d’Anguersa ricevuto avea. Né solamente fu a lui contenta di dirlo, ma davanti a molti altri valenti uomini <…> (II 8, 279).

La confessione della regina ne costituisce, in certo modo, il riscatto, testi- moniando la presenza di un rimorso durato quasi vent’anni, come indica la narrazione. Del resto, come si è osservato, la sua figura sta solo sullo sfondo della novella –addirittura non ha neanche un nome proprio, essendo indicata solo tramite la relazione con il marito-. Eppure l’insistenza sulle sue giustifica- zioni nel colloquio col conte sembra affidarle un ruolo nella galleria di ritratti di donne del Decameron meno marginale di quello che ricopre nella novella: ella testimonia che, se il matrimonio –e specialmente un matrimonio regale– è un contratto che comprende anche l’aspetto del remedium concupiscentiae, quando le circostanze impediscano il soddisfacimento di tale clausola, “gran- dissima parte di scusa” debba riconoscersi a chi si sia lasciato “trascorrere a amare” altri dal proprio sposo: “E come che tal cosa, se saputa fosse, io conosca non essere onesta, nondimeno essendo e stando nascosa quasi di niuna cosa esser disonesta la giudichi”.

Fragilità umana e femminile, giovinezza, agio, noia, stimoli della carne, innamoramento, desiderio, vendetta. E ozio –“ricca e oziosa”, si definisce nel colloquio con Gualtieri; e per questo “essendo io negli agi e negli ozii ne’ quali voi mi vedete, a secondare li piaceri d’amore e a divenire innamorata mi son lasciata trascorrere”-: come spesso accade alle donne, dice il Proemio, che “il più del tempo nel piccolo circuito delle lor camere racchiuse dimorano, e quasi

oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri <…>”.

Nella mente della giovane principessa di Francia –e forse spesso nel matri- monio, e certo nel suo matrimonio– il luogo della fedeltà coniugale è ridotto. Al pari di quello dell’amore coniugale.

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 58-61)

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