• Non ci sono risultati.

La gentil donna e l’artefice lanaiuolo (III 3 –Filomena–)

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 78-81)

Come si è notato, la premessa che i narratori fanno alle novelle enuncia spesso un tema solo marginale: in questo caso l’argomento dovrebbe riguardare “una beffa che fu da dovero fatta da alcuna donna a uno solenne religioso” (III 3, 337); ed in effetti si parlerà, secondo quanto recita il titolo, di come

sotto spezie di confessione e di purissima conscienzia una donna innamorata d’un giovane induce un solenne frate, senza avvedersene egli, a dar modo che il piacer di lei avesse intero effetto. Ma il tema appare pretestuoso, e l’attacco –una lunga

invettiva contro i religiosi55– non trova riscontro nei fatti narrati: la beffa viene

realizzata, come nella novella di Ciappelletto, attraverso il sacramento della penitenza, ed è dunque assai ragionevole che il solenne religioso ritenesse veri- tiere le parole della donna, che recita peraltro una parte credibilissima di una situazione assai probabile. Semmai è interessante constatare, anche in questo caso e –si sarebbe tentati di dire– a maggior ragione56, la disinvoltura con cui

si utilizza il sacrilegio, corrispondente alla disinvoltura con cui si ricorreva alla bestemmia57, possibile indizio di una mentalità secolarizzata in contrasto,

ancora una volta, con l’immagine tradizionale. E, infatti, la storia inizia –si direbbe significativamente– con una amara notazione: “Nella nostra città, più d’inganni piena che d’amore o di fede”.

Protagonista è una gentil donna di bellezze ornata e di costumi, d’altezza

d’animo e di sottili avvedimenti quanto alcuna altra dalla natura dotata58, che

55 “tanto più a ogni secolar da piacere, quanto essi, il più stoltissimi e uomini di nuove ma-

niere e costumi, si credono più che gli altri in ogni cosa vedere e sapere, dove essi di gran lunga sono da molto meno, sì come quegli dice che, per viltà d’animo non avendo argomento come gli altri uomini di civanzarsi, si rifuggono dove aver possano da mangiar, come ‘l porco”: III 3, 37. Non sembra improprio connettere questa polemica, che percorre tutto il testo, con la tesi scolastica dello stato di perfezione dei religiosi rispetto ai laici.

56 Ciappelletto è presentato come campione di malvagità consapevole e scelta, e la sua falsa

confessione rappresenta l’ultima sua sfida a Dio. La protagonista della nostra novella pone in campo motivazioni più tenui, anche se non banali, come vedremo; e soprattutto eccentriche rispetto alla tematica religiosa: la sua falsa confessione è solo uno strumento per il fine pratico che ella si è proposta, e che non riguarda né Dio, né il frate, e neppure –ci sembra– il suo

piacer.

57 “O figliuol mio, or parti questo così gran peccato? o gli uomini bestemmiano tutto il

giorno Idio, e sì perdona egli volentieri a chi si pente d’averlo bestemmiato”: così il farte con- fessore di Ciappelletto (I 1, 65-66).

58 III, 3, 347. Noteremo che in questo caso il personaggio è presentato, a differenza di

d’alto legnaggio vedendosi nata e maritata a uno artefice lanaiuolo, per ciò che artefice era non potendo lo sdegno dell’animo porre in terra, per lo quale stimava niuno uomo di bassa condizione, quantunque ricchissimo fosse, esser di gentil donna degno, e veggendo lui ancora con tutte le sue ricchezze da niuna altra cosa esser più avanti che da sapere divisare un mescolato o fare ordire una tela o con una filatrice disputar del filato, propose di non voler de’ suoi abbracciamenti in alcuna maniera se non in quanto negare non gli potesse, ma di volere a soddisfazione di se medesima trovare alcuno il quale più di ciò che il lanaiuolo le paresse che fosse degno. E innamorossi d’uno assai valoroso uomo e di mezza età (III 3, 347-348).

In questa presentazione sembra trovarsi tutto il senso della novella: la storia dunque riguarda una vendetta –a soddisfazione di se medesima59– imposta, co-

me vuole l’alto legnaggio, dal rancore per l’affronto subito, d’esser stata maritata a uomo di bassa condizione; le motivazioni che hanno determinato l’affronto non sono esplicite, ma il riferimento insistito alla ricchezza dell’uomo suggeri- sce che all’alto legnaggio della donna non dovesse più corrispondere sostanza economica –e in ogni caso vi doveva corrispondere, perché fosse maritata de-

gnamente, una dote smisurata60–; la donna, ammesso che avesse potuto farlo,

non si ribella all’imposizione di un tal marito, ma decide di dargli solo quanto era dovuto –se non in quanto negare non gli potesse–, rivalendosi tuttavia su di lui e, come Bartolomea (II, 10), su chi l’ha voluta sposa infelice e sdegnata;

propose quindi di volere riparare da sé il torto subito, e innamorossi –e ancora

una volta ci si chiede quale mai è il senso da dare a tale termine, dopo appunto una così fiera manifestazione di volontà–61.

Il resto è la novella, l’intreccio narrativo, il racconto della beffa, che si risolve tutto in se stesso. La donna non ha esitazioni: né il luogo sacro –la chiesa–, né la circostanza –la confessione–, né la gravità del peccato –in piena coscienza e deliberato consenso– la turbano minimamente. Presente a se stessa –come Ciappelletto– è pronta a cogliere ogni minimo spunto per condurre a compi-

59 Pare suggerire questo significato del termine soddisfazione una certa insistenza dell’Au-

tore nel circonfondere la donna di quell’aura d’alto legnaggio alla quale ella sembra esser tanto affezionata; si vedrà poco dopo, ad esempio, che rivolgendosi al confessore chiederà aiuto e

consiglio, e userà ostentatamente un linguaggio molto sostenuto.

60 Cfr. ancora Dante, Paradiso XV, vv. 103-105.

mento il suo proposito, fino a evocare pietà per i propri defunti come mezzo per compensare l’ignaro frate del servigio che si appresta a renderle riferendo al suo amato tutte le informazioni ch’ella voleva. Allo stesso modo, nel secondo colloquio-penitenza, insistente ricorre l’invocazione di Dio a rafforzare la cre- dibilità delle sue parole; così che il frate, in risposta, si dichiarerà “dinnanzi a Dio e agli uomini fermissimo testimonio” della sua onestà (III, 3, 353). E ancora la donna insisterà su quanto di più intoccabile è tradizionalmente con- siderato, appunto il culto dei defunti:

“Messere, a queste notti mi sono appariti più miei parenti, e parmi che egli sieno in grandissime pene e non dimandino altro che limosine, e spezialmente la mamma mia, la qual mi par sì aflitta e cattivella, che è una pietà a vedere. Credo che ella porti grandissime pene di vedermi in questa tribulazione di questo nemico di Dio; e per ciò vorrei che voi mi diceste per l’anime loro le quaranta messe di san Grigoro e delle vostre orazioni, acciò che Idio gli tragga di quel fuoco pennace”; e così detto gli pose in mano un fiorino (III 3, 354).

La donna riesce così a trasmettere all’amato l’intero messaggio del suo inna- moramento, fino ad indicargli, per tramite dell’ignaro frate, la via per entrare nella sua camera; ed egli, la mattina seguente all’ultima confessione della donna, puntuale si presenta a dar compimento ai loro piani:

così egli nel giardino entrato e su per l’albero salito e trovata la finestra aperta se n’entrò nella camera, e come più tosto poté nelle braccia della sua bella donna si mise. La quale, con grandissimo disidero avendolo aspettato, lietamente il ricevette dicendo: “Gran merce’ a messer lo frate, che così bene t’insegnò la via da venirci”. E appresso, prendendo l’un dell’altro piace- re, ragionando e ridendo molto della semplicità di frate bestia, biasimando i lucignoli e’ pettini e gli scardassi, insieme con gran diletto si sollazzarono (III 3, 358).

Le parole della donna all’atto di accogliere l’uomo con grandissimo disidero

aspettato sono perfettamente conseguenti alla premessa della novella: ella cele-

bra prima di tutto la propria vittoria sul frate bestia –in realtà colpevole solo di aver creduto che in confessione non si mentisse–, e poi la programmata vendetta sull’artefice lanaiuolo –e indirettamente sui propri parenti– al quale, coi suoi lucignoli e pettini e scardassi, sembra principalmente dedicato quel prendere l’un dell’altro piacere, quel sollazzarsi con gran diletto.

Poco credibile come storia d’amore esemplare –ma già l’inizio, come s’è ricordato, aveva in qualche modo preavvisato il lettore: “Nella nostra città, più d’inganni piena che d’amore o di fede”, richiamando ad un tempo il tema della sopravvenuta corruzione dei costumi–, la novella racconta, insieme a tan- te altre, del bisogno e della volontà dalle donne di questa società affermati e praticati di ricercare, di fronte alla imposizione del matrimonio di convenienza –e la nostra gentil donna riconoscerà senza esitazioni la convenienza d’avere un marito ricco– almeno una compensazione che restituisca loro il senso della dignità di persone capaci di scelte autonome, pur con le complicazioni che ciò crea fino, in questo caso ma non solo in questo, al compromesso morale e religioso, al sacrilegio, alla bestemmia e, in ultima analisi, a quella sollecitudine già altre volte descritta, che in questo caso rassomiglia tanto, si direbbe oggi, alla nevrosi. In questo senso la conclusione non appare blasfema:

E dato ordine a’ lor fatti, sì fecero, che senza aver più a tornare a messer lo frate, molte altre notti con pari letizia insieme si ritro- varono: alle quali io priego Idio per la sua santa misericordia che tosto conduca me e tutte l’anime cristiane che voglia n’hanno (III 3, 359).

Se, come afferma Bartolomea, il matrimonio può divenire meretricio62, le

“molte altre notti” nelle quali i due amanti della nostra novella “con pari letizia insieme si ritrovarono” sono certamente più vicine al cuore di Dio, che può lecitamente esser pregato di concederne le gioie.

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 78-81)

Outline

Documenti correlati