A Dioneo l’Autore affida il compito di rompere il tema della giornata –co- me vuole il privilegio concessogli- e soprattutto la tensione creata dalle trage- die che in essa si sono susseguite. Ritorna il tono più lieve, e Dioneo, secondo il suo stile, racconta una novelletta movimentata ma di intreccio semplice, insaporita da facili doppi sensi, luoghi comuni, qualche ardita metafora.
Ma di nuovo sullo sfondo è il tema del matrimonio, evocato senza alcuna enfasi, quasi –ed in effetti- sfondo naturale di ogni vicenda cittadina; e un matrimonio di quelli che Boccaccio affida a Dioneo, come nella decima novel- la della Seconda giornata –che del resto il narratore cita: “come messer Riccardo
di Chinzica, di cui dicemmo” (IV 10, 571)-, che coprono con l’ironia o con il ridicolo lo spreco o il dramma di una vita:
Dovete adunque sapere, bellissime giovani, che ancora non è gran tempo che in Salerno fu un grandissimo medico in cirugia, il cui nome fu Mazzeo della Montagna. Il quale, già all’ultima vecchiezza venuto, avendo presa per moglie una bella e gentil giovane della sua città, di nobili vestimenti e ricchi e d’altre gioie e tutto ciò che a una donna può piacere meglio che altra della città teneva fornita; vero è che ella il più del tempo stava infreddata, sì come colei che nel letto era male dal maestro tenuta coperta. Il quale, come messer Riccardo di Chinzica, di cui dicemmo, alla sua insegnava le feste, così costui a costei mostrava che il giacere con una donna una volta si penava a ristorar non so quanti dì, e simili ciance; di che ella viveva pes- simamente contenta (IV 10, 571-572).
Bella e gentil –cioè nobile- giovane, dunque, presa in moglie da un uomo non nobile, giunto “all’ultima vecchiezza” e ricchissimo:
E sì come savia e di grande animo, per potere quello di casa risparmiare, si dispose di gittarsi alla strada e voler logorar del- l’altrui; e più giovani riguardati, alla fine uno le fu all’animo, nel quale ella pose tutta la sua speranza, tutto il suo animo e tutto il ben suo (IV 10, 572).
Dioneo gioca il suo ruolo; ma l’ironia non fa velo ad una nuova tacita ribel- lione d’una donna a un destino non scelto. Ancora una volta -come già in III 3 la donna d’alto lignaggio, o in IV 1 la Ghismunda- non si tratta di colpi di testa, di sbandate improvvise, di folgorazioni: “più giovani riguardati alla fine uno le fu nell’animo”; selezione, e attenta –“alla fine”-. E il prescelto è, guarda caso, un giovane “di nazion nobile” (come il marito non era), “ma di cattiva vita e biasimevole” (come il marito non era), famoso –“infamato”- per tutta Salerno “di ladronecci e d’altre vilissime cattività” quanto il marito lo era per dottrina e ben operare.
Il novellare, dunque, ci riporta a Salerno, dove la prima tragica novella di questa Giornata aveva consumato il destino di una giovane che il padre, “nella sua vecchiezza”, lasciava a una forzata castità, e che aveva deciso “di volere avere <…> valoroso amante”, anch’ella dopo attenta selezione: “e veggendo molti uomini nella corte del padre usare, gentili ed altri <…>, e considerate le ma-
niere e’ costumi di molti, tra gli altri un giovane <…> più che altro le piacque” (IV 1, 472).
Dioneo continua con l’ironia: della pessima vita del giovane, Ruggieri d’Aieroli, la donna non si curava, “piacendogli esso per altro”; ma è pur vero che l’Autore introduce un motivo –peraltro non necessario all’economia del racconto-, che arricchisce la vicenda, fin qui proposta come squallidetta, di un aspetto di umanità e di femminilità da ritenere importanti:
E poi che alquanto diletto preso ebbero, la donna gli cominciò a biasimare la sua passata vita e a pregarlo che, per amor di lei, di quelle cose si rimanesse; e a dargli materia di farlo lo inco- minciò a sovvenire quando d’una quantità di denari e quando d’un’altra” (IV 10, 572).
Comunque nata, questa avventura pare diventare progetto, e ragione di vita –“in questa maniera perseverando insieme assai discretamente”-.
Il resto della storia è divertente e movimentato, con un susseguirsi di equi- voci che non lasciano mai cadere la tensione del lettore; e con divertiti inter- venti di controllata volgarità; con la donna protagonista assoluta; e la sua fante ancora una volta testimone della solidarietà femminile, fino ad assumere su di sé ogni colpa, e a sacrificarsi alle voglioline dello stadicò “per ciò che fresca e ga- gliarda era”, il quale “prima che ascoltar la volesse <…> volle una volta attaccar l’uncino alla cristianella di Dio”: ritorno al tema della novella dell’Andreuola (IV 6) –con ben altro esito, certamente-, cioè della violenza dei tutori della giustizia.
Il finale è un contrappunto alle novelle di morte della Giornata: Ghismun- da e Guiscardo, l’Andreuola e Gabriotto, Simona e Pasquino, la Salvestra e Girolamo muoiono sullo stesso letto o vengono sepolti nella stessa tomba; Ruggieri, messo per morto in un’arca, dall’arca esce vivo, e con la sua donna –“e con la cara fante”- più volte “rise ed ebbe festa, il loro amore e il loro sol- lazzo sempre continuando di bene in meglio” (IV 10, 583), con buona pace di mastro Mazzeo. E Dioneo conclude: “Il che vorrei che così a me avvenisse ma non d’esser messo nell’arca”, richiamando le clausole della Terza giornata, quasi a voler cancellare la penitenza inflitta dal re Filostrato col tema indicato per le novelle della Quarta.