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Concettualmente, l’operazione compiuta da questa ricerca sull’oggetto “film sull’arte” è analoga a quella che, in ogni film sull’arte, la camera compie sull’opera: le si avvicina il più possibile nel tentativo di illustrarla, spiegarla, contestualizzarla e infine interpretarla. Secondo le consuetudini riscontrabili nella maggior parte dei documentari artistici, ciò avviene seguendo un ben preciso percorso d’analisi: da una visione a distanza, che mostri il quadro e la sua cornice nella loro interezza, ci si avvicina con un lento carrello a procedere per cogliere l’intera composizione. A questo punto, l’esame dettagliato parte generalmente dallo sfondo del dipinto, per procedere verso le figure principali nei primi piani. Queste figure principali sono mostrate a distanza ancor più ravvicinata, giungendo ad isolarne i dettagli pittorici, alla minima distanza possibile dalla superficie dipinta. La struttura di questa tesi è modellata su questo modus operandi frequentemente riscontrabile nei film sulla pittura di graduale avvicinamento dal totale del quadro ad alcune figure e alcuni dettagli in esso contenuti.

Nella prima parte ci si concentrerà sulla cornice che delimita e definisce il quadro generale del film sull’arte: i problemi concettuali e l’abbondante speculazione critica e teorica prodotta nel dopoguerra, che problematizzano il rapporto tra mezzo cinematografico e disciplina storico-artistica. Il primo capitolo si sofferma inizialmente sul pensiero di alcuni storici dell’arte che si sono interrogati sulla collocazione del cinema nella storia delle arti; in un secondo momento, indaga il ruolo basilare che fotografia ed editoria d’arte hanno ricoperto nei periodi interbellico e postbellico per la costituzione di un ambiente culturale favorevole al fiorire del film sull’arte, ricollegandosi al dibattito sulla riproducibilità dell’opera d’arte e all’influenza esercitata dall’immagine fotografica sulla storia dell’arte. Il secondo capitolo si concentra propriamente sul dibattito dedicato al documentario d’arte e si articola focalizzandosi sui punti salienti di esso: peculiarità ed effetti, vantaggi e svantaggi dell’uso del cinema nell’esame dell’arte; definizioni, classificazioni e scopi dei film sull’arte; la relazione tra cineasta e storico dell’arte.

110 Si tornerà su questa posizione nella Conclusione, esaminando il contesto contemporaneo dove questa dinamica è ancora più cristallina.

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Il terzo capitolo, coniugando riflessione estetica e analisi storica di puntuali casi di studio, affronta il legame tra artisti e cinema, distinguendo tra cinema sugli e con gli artisti (che rientra nel documentario biografico e nel film processuale sulle arti) e cinema degli artisti, che invece si ritiene afferisca a categorie concettuali diverse.

Esplorate queste cornici che delimitano il campo, si passa nella seconda parte ai contesti di sviluppo del documentario d’arte, ossia istituzioni ed eventi, associazioni e federazioni internazionali, musei, festival, oltre che l’industria cinematografica nazionale e la legislazione in materia di documentario. Tutte realtà che operavano regolando e sanzionando la realizzazione e la ricezione dei singoli film. All’altalenante posizione del film sull’arte, costantemente oscillante tra orizzonte internazionale e panorama nazionale, è dedicato il quarto capitolo: nella sua prima parte viene affrontata la storia delle due istituzioni maggiori (FIFA e IIFA) che si occupavano di documentari d’arte, evidenziandone dinamiche, problemi, obbiettivi (raggiunti o solo auspicati) e soffermandosi sui cataloghi da esse prodotti tra 1948 e 1970, oggetti che incarnano al più alto grado sia l’internazionalismo del genere e la sua proliferazione mondiale, sia l’istanza regolatrice che le due istituzioni intendevano incarnare. La seconda parte del capitolo recupera invece il contesto nazionale, riportando il film sull’arte nell’alveo della storia del cinema documentario italiano, con le sue peculiari problematiche e le sue figure di spicco. Nel quinto capitolo, l’attenzione è rivolta all’atteggiamento dell’istituzione museale nei confronti del film sull’arte: come erano considerati e accolti i film sull’arte nei musei, nel mondo e in particolare in Italia? Quanto era avvertita la loro importanza? Quanto erano utilizzati, e a che scopi? Cosa comportava il loro uso in termini di gestione del museo, allestimento degli spazi, azione educativa, fruizione del pubblico? Quanto partecipavano i musei alla produzione e alla valorizzazione del film sull’arte? Il discorso sulla diffusione e sulla valorizzazione avviato in questi due capitoli culmina nel sesto, nel quale si ricostruiscono parallelamente le vicende storiche delle due manifestazioni maggiori dedicate al genere (non solo in Italia, ma a livello internazionale): la Mostra Internazionale del Film sull’Arte di Venezia e il Gran Premio Bergamo Internazionale del Film sull’Arte e d’Arte, svoltesi tra 1958 e 1970. La loro parabola permette di esaminare da un punto di vista privilegiato la crisi del genere, ripercorrendo le diverse strategie con le quali i due festival tentarono di affrontarla: affiancandosi alla Biennale d’Arte e puntando a una funzione “storicizzante” tramite le retrospettive per quanto riguarda Venezia, aprendo alla contaminazione con altri generi e spostandosi progressivamente verso il film d’autore e il film sperimentale, marginalizzando così il film sull’arte, per Bergamo.

Esplorato lo sfondo del quadro, il passo successivo è dedicarsi alle figure che lo animano in primo piano, senza più la preoccupazione di affrontarle e restituirle avulse dal loro contesto. Nella terza parte, dunque, il discorso si appunterà su due casi specifici di declinazione personale del genere111. Il direttore del Gran Premio Bergamo Nino Zucchelli, che fu anche regista di diversi film sull’arte tra anni Cinquanta e Sessanta, rappresenta il trait d’union ideale tra seconda e terza parte della tesi, e a lui è dedicato il settimo capitolo; l’ottavo indaga invece l’attività cinematografica di Corrado Maltese (che spesso collaborò con Zucchelli), storico dell’arte tra i maggiori del XX secolo in Italia, i cui cortometraggi d’arte sono stati ingiustamente dimenticati fino ad anni recentissimi, e dei quali si propone una lettura

111 Il discorso autoriale emergerà in realtà anche in altri passaggi: nell’analisi della produzione di Aglauco Casadio (capitolo III) e dei tre autori maggiori del panorama italiano ossia Emmer, Ragghianti e Andreassi, la cui importanza non poteva essere trascurata (nella terza e ultima parte del capitolo IV).

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approfondita. Nei capitoli della seconda e terza parte, un contributo essenziale alla ricerca è venuto dalla ricerca puntuale in diversi archivi, ricchi di materiale documentario.

La quarta parte della tesi scende al livello dei dettagli: i ventisette film di Zucchelli e Maltese sono ripartiti in schede catalografiche individuali che ne riassumono tutti i dati salienti. Completano la tesi alcuni strumenti di consultazione, riferiti a specifici capitoli. Il Regesto degli articoli e dei saggi di area italiana sul film sull’arte raccoglie circa centocinquanta articoli redatti tra 1945 e 1970, catalogati per anno e strettamente attinenti all’argomento: ne vengono forniti gli estremi bibliografici e una sinossi per punti chiave. Il lavoro di reperimento e di sistemazione di questi scritti è stato propedeutico all’intera ricerca, e in particolare all’elaborazione del capitolo II. L’Analisi grafica dei cataloghi storici prodotti da IIFA e FIFA consente di cogliere con immediatezza alcuni dati estrapolabili dalle pubblicazioni analizzate nel capitolo IV. Il Regesto delle edizioni della Mostra Internazionale del Film sull’Arte di Venezia offre uno sguardo dettagliato su partecipanti, giurie, retrospettive e premi assegnati negli anni dal festival lagunare discusso nel capitolo VI112.

Infine, una “non conclusione”, nel tirare le fila del discorso elaborato nei diversi capitoli, rilancia temi e problemi lasciati aperti, apre a nuove direzioni d’esplorazione e riflessione, si interroga sull’evoluzione odierna del film sull’arte e della mediazione delle arti visive attraverso l’audiovisivo, nella convinzione che una ricerca, per quanto accurata e approfondita, quasi mai può dirsi chiusa.

Al centro di questo lavoro, come è facile rendersi conto, si incontra un repentino scarto di prospettiva. Se le prime due parti assumono uno sguardo panoramico e tendenzialmente onnicomprensivo, le ultime due si focalizzano su singoli tasselli del mosaico. Dal macroscopico si passa al microscopico, dalla veduta totale al minutissimo particolare. Eppure, si ritiene che questo non infici la struttura del lavoro: i case studies sarebbero incomprensibili senza l’attenta disamina preventiva del quadro generale, e quest’ultimo si concretizza nelle (e può essere meglio compreso dalle) loro specificità. Certamente, la possibilità di coordinare la microstoria del singolo film o del singolo autore con la macrostoria del genere cinematografico genera sempre un inevitabile attrito113. Si ritiene però che questa sia una tensione produttiva, poiché impone un continuo aggiustamento di focale, un costante sforzo di problematizzazione che non può che giovare alla comprensione della complessità dei fenomeni. La ricerca storica si può compiere per tematiche maggiori e ampi tracciati, o per ristrette problematiche e scavi puntuali. Nell’ambito tutto sommato contenuto delfilm sull’arte italiano del dopoguerra si è tentato di esercitare e coordinare entrambi questi approcci.

Il film sull’arte è costitutivamente anfibio, diviso tra l’ambito della storia dell’arte e quello della storia del cinema, tra rigore accademico, istanze autoriali, logiche produttive industriali, tra funzione riproduttiva e spinta creativa del medium, tra regimi di sguardo diversi. Il suo volgersi in doppia direzione, come un Giano bifronte, verso la disciplina storico-artistica e verso il mondo cinematografico ne ha fatto territorio di contesa tra schieramenti opposti: chi se ne deve occupare? Gli storici dell’arte o quelli del cinema? La domanda si rivela irrilevante nel momento in cui si constata che se ne occupano entrambi, con sensibilità e interessi diversi, con

112 Un analogo lavoro sul Gran Premio Bergamo non è stato compiuto poiché già realizzato altrove: cfr. la nota introduttiva al Regesto delle edizioni della Mostra Internazionale del Film sull’Arte di Venezia.

113 Sul dibattito relativo al concetto di “microstoria” cfr. J. RAVEL (a cura di), Jeux d’échelles. La micro-analyse

à l’expérience, Seuil, Parigi 1996; ed. it., Giochi di scala. La microstoria alla prova dell’esperienza, Viella,

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approcci complementari che ne arricchiscono la conoscenza complessiva. Questo studio guarda al fenomeno dal versante della storia del cinema, pur riconoscendo l’indispensabile apporto della storia dell’arte e sconfinando spesso nei suoi territori.

Come spesso accade, le zone di confine tra discipline diverse si rivelano le più ricche e appassionanti da esplorare, cariche di suggestioni e di connessioni che si diramano in direzioni a volte impreviste. Una (buona) dose del fascino del film sull’arte sta probabilmente in questo intimo carattere ibrido e di confine, nell’essere, come già definito, un oggetto bifronte al contempo chiaro e sfuggente, o, per riprendere una delle illuminanti metafore di André Bazin, «un lichene tra l’alga e il fungo114».

114 A. BAZIN, Peinture et cinéma, in ID., Qu’est-ce que le cinéma?, Editions du Cerf, Parigi 1958-1962 ; trad. it.,

Pittura e cinema, in G. GRIGNAFFINI (a cura di), Visioni di superficie. Cinema e pittura, «Cinema & Cinema», nuova serie, anno 16, n. 54-55, gennaio-agosto 1989, p. 130.