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La FIFA, l’IIFA e il primato istituzionale sul film sull’arte

«[…] gli elefanteschi organismi internazionali che dicono di occuparsi di cose culturali. Dicono.» (Ranuccio Bianchi Bandinelli)2

26 giugno 1948: all’École du Louvre di Parigi – nel cuore di un luogo cardine dell’arte – Gordon Mirams, rappresentante della Film Unit del Department of Mass Communication dell’Unesco (guidato in quegli anni da John Grierson), inaugura la prima Conferenza Internazionale sul Film sull’Arte, i cui lavori proseguiranno per tre giorni dividendosi tra il Louvre e l’auditorium del Musée de l’Homme, e durante la quale avverrà la fondazione della Fédération Internationale du Film d’Art (FIFA)3. È l’atto di nascita della storia istituzionale del film sull’arte, che vedrà quali protagonisti la FIFA, con baricentro in area franco-belga-olandese, e il Comité CIDALC pour le Cinéma et les Arts Figuratifs, creato da Carlo Ludovico

2 Ranuccio Bianchi Bandinelli in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema. Inchiesta di M. Gandin e M. Mazzocchi sui documentari sull’arte (3), «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», nuova

serie, vol. VII, anno V, fascicolo 83, 1 aprile 1952, p. 164.

3 Report on the First International Conference on Art Film, dattiloscritto MCF/Conf.1.1, Film Unit, Projects Division, Department of Mass Communications, UNESCO, Parigi.

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Ragghianti nel 1950 presso l’Istituto di Storia dell’Arte di Palazzo Strozzi a Firenze, poi divenuto Istituto Internazionale del Film sull’Arte (IIFA) nel 1955.

Si tratta di una storia complessa e di difficile ricostruzione per via della molteplicità delle personalità in gioco, delle intricate relazioni che le legano, della mutevolezza delle situazioni non sempre riportate con chiarezza dalle pubblicazioni o dai documenti d’archivio – complicata dalla dispersione degli archivi stessi4 – e che tuttavia getta luce sui notevoli sforzi, sugli entusiasmi sinceri seppur spesso frustrati da insuccessi, sulle difficoltà e gli ostacoli, talvolta insormontabili, incontrati per promuovere la produzione, la circolazione e la conoscenza di questi film5.

La conferenza parigina fu organizzata congiuntamente da più organismi, in primo luogo l’associazione Les Amis de l’Art, della quale facevano parte personalità come Gaston Diehl, Robert Hessens e Pierre Francastel e che, oltre ad aver supportato finanziariamente la realizzazione del film di Alain Resnais Van Gogh, nei due anni precedenti aveva sviluppato un articolato programma di conferenze accompagnate da proiezioni di cortometraggi6; furono coinvolti anche l’Unesco, l’International Council of Museum (ICOM) e la Cinémathèque Française, mentre il Ministero Francese dell’Educazione e degli Affari Esteri diede il suo avvallo istituzionale.

Presidenti onorari della neonata FIFA furono eletti Férnand Léger e Lionello Venturi, presidente Iris Barry del Museum of Modern Art di New York, vice-presidenti Luc Haesaerts e Denis Forman, direttore del British Film Institute; alla funzione di segretario generale si succedettero nel breve giro di qualche anno i francesi Gaston Diehl, René Huyghe e Pierre Francastel (tutti coinvolti nella direzione dell’associazione Les Amis de l’Art), mentre tesoriere fu nominato Willem Sandberg, direttore dal 1945 del Museo Municipale di Amsterdam, il futuro Stedelijk Museum. Membri del consiglio di amministrazione furono eletti, tra gli altri, Umbro Apollonio, Giulio Carlo Argan, Paul Fierens, conservatore capo dei Musées Royaux de Bruxelles dal 1947, e James Johnson Sweeney, direttore dal 1952 del Solomon R. Guggenheim Museum di New York dopo essere stato per anni curatore del MoMA. La sede sociale fu fissata provvisoriamente presso il Pavillon de Marsan del Louvre, dove rimase fino al 1955. Nonostante questo ragguardevole schieramento di personalità del mondo della storia e della critica d’arte7 – che certamente danno immediata autorevolezza al neonato organismo – i primi anni della Fédération furono caratterizzati da un’incertezza di fondo circa lo statuto dell’associazione, i suoi obbiettivi, la sua stessa organizzazione interna, la direzione verso cui puntare gli sforzi, determinando una certa difficoltà nell’avvio di attività concrete: «Non appena

4 Gli archivi della FIFA, al momento del suo scioglimento nel 1970, andarono dispersi; ne restano alcune parti o labili tracce tra Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Londra, e in alcuni archivi personali, come quello di Pierre Francastel. I documenti inerenti al Comité e all’IIFA, invece, sono conservati presso la Fondazione Ragghianti di Lucca, ma ancora in fase di riordino e inventariazione: non è stato dunque possibile consultarli nell’ambito di questa ricerca.

5 Un lavoro fondamentale per la ricostruzione di questa storia istituzionale è stato compiuto da Marco DEL

MONTE nella sua tesi di dottorato, Il film sull’arte e la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, supervisore Giuseppe Barbieri, Università Ca’ Foscari, Venezia, a.a. 2008/2009.

6 L. LE FORESTIER, Les films sur l’art en France après la Seconde Guerre mondiale: allers-retours entre histoire

de l’art et cinéma, in F. ALBERA, L. LE FORESTIER, V. ROBERT (a cura di), Le film sur l’art. Entre histoire de

l’art et documentaire de création, Presses Universitaire de Rennes, Rennes 2015, in particolare p. 90 e segg.

7 Colpisce il fatto che non sia eletto, nei quadri della federazione, alcun rappresentante della cultura

cinematografica, sebbene l’impulso alla sua fondazione venne in primo luogo anche da personalità come Henri Langlois (fondatore e direttore della Cinémathèque Française e presidente della Fédération Internationale des Archives du Film, FIAF) che, come vedremo, giocherà un ruolo importante nelle vicende successive, sebbene sempre in posizione defilata.

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nata, la Federazione cadde in un sonno letargico8.» Il giudizio di Francis Bolen è forse troppo duro, dal momento che queste incertezze non impedirono l’organizzazione di ben tre conferenze internazionali dopo quella del Louvre al ritmo serrato di una all’anno, a Bruxelles (1950), Amsterdam (1951) e Venezia (1952): tappe indispensabili nella parabola della FIFA che ripercorreremo per delinearne il percorso storico. Anzitutto, però, è bene evidenziare il legame più importante che la FIFA, così come l’ICOM, la FIAF e qualunque altra organizzazione culturale dell’epoca cercò di instaurare fin dal principio, come dimostra la presenza di Gordon Mirams alla conferenza del 1948: il legame con l’Unesco. Porsi sotto l’egida di questa agenzia rappresentava una priorità quasi ineludibile per un’organizzazione di stampo culturale nel secondo dopoguerra, ma fu soltanto nel 1952 che la FIFA ottenne dall’Unesco il riconoscimento a ONG (organizzazione non governativa), il che le consentì, a partire dal 1953, di poter beneficiare delle sovvenzioni per le proprie attività. Non si trattava però di un mero interesse economico, bensì di una comunanza di intenti e di visioni che fecero sì che la FIFA – così come l’IIFA – fossero naturalmente portate a cercare l’alleanza con l’Unesco.

Sebbene rientri solo obliquamente nel quadro della valorizzazione istituzionale del film sull’arte, tramite appunto l’intermediazione della Fédération, è perciò necessario delineare anche il carattere dell’Unesco proprio per mettere a fuoco le intenzioni e gli indirizzi di pensiero profondi che animavano queste organizzazioni.

Una delle agenzie specializzate dell’Organizzazione della Nazioni Unite, l’Unesco (United Nations Education, Science and Culture Organization), fondata a Londra nel 1945 ma la cui prima assemblea generale si tenne nel 1946, si pose fin dal principio su una linea di assoluta continuità con l’azione dell’Istituto di Cooperazione Intellettuale della Società delle Nazioni, che aveva agito nel periodo tra le due guerre in Europa9.

Fu infatti all’indomani della Grande Guerra che la necessità di un’organizzazione che garantisse rapporti di reciproco aiuto e mutua tolleranza tra le nazioni apparve indispensabile per evitare, percorrendo ogni possibile cammino diplomatico, di ripiombare in una nuova catastrofe bellica. Come ben noto, la Società delle Nazioni non poté evitare il sorgere dei regimi totalitari degli anni Venti e Trenta e il successivo conflitto armato; tuttavia, e anzi forse proprio a causa di questo fallimento, il principio di un organismo super partes che vigilasse sull’ordine mondiale si ripropose con ancora maggior vigoria all’indomani della seconda guerra mondiale, con la notevole differenza che, in questo caso, la portata dell’operazione fu autenticamente mondiale, con la partecipazione degli Stati Uniti, del blocco sovietico e via via dei nuovi stati africani e asiatici sorti dalla disgregazione degli imperi coloniali, mentre la Società delle Nazioni era rimasta un fenomeno di scala europea, un coordinamento tra gli stati del vecchio continente10.

La missione dell’Unesco di preservare la pace e l’ordine mondiale con i mezzi dell’educazione, della scienza e della cultura, e di garantire così libertà, giustizia, dignità e sviluppo a tutti gli uomini è chiaramente espressa fin dalla sua costituzione: «che l’ampia diffusione della cultura, e l’educazione dell’umanità alla giustizia e alla libertà e alla pace siano indispensabili alla dignità dell’uomo e costituiscano un sacro dovere che tutte le nazioni devono

8 F.N.BOLEN,Per il film sull’arte, «SeleArte. Rivista bimestrale di cultura selezione informazione artistica

internazionale», anno VI, n. 31, luglio-agosto 1957, p. 29. 9 What is Unesco?, Unesco, Parigi 1969, pp. 9-11.

10 Sulla Società delle Nazioni, rimando a M.C.GIUNTELLA, Cooperazione intellettuale ed educazione alla pace

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adempiere in uno spirito di reciproca assistenza e interesse; che una pace basata esclusivamente su accordi politici ed economici dei popoli non sia una pace che possa assicurare il supporto sincero, unanime e duraturo dei popoli del mondo, e che la pace debba perciò essere fondata, per non essere destinata a fallire, sulla solidarietà intellettuale e morale dell’umanità11». Educazione, scienza e cultura sono dunque mezzi per un fine superiore che è il mantenimento della pace, il progresso morale, il miglioramento della vita di popoli e persone.

L’Unesco incarna dunque un modello di pensiero tipico degli anni successivi al conflitto mondiale, e che a sua volta contribuisce a rafforzare e diffondere: quello di un rinnovato umanesimo condotto attraverso la lotta all’ignoranza, di una fiducia nella capacità della cultura di garantire la comprensione e la convivenza tra le nazioni. Un ecumenismo laico di stampo tardo-positivista, radicato nella convinzione che la luce della scienza e del progresso sia la via per evitare la degenerazione dei rapporti di forza politica o l’inasprimento dei problemi sociali. Non a caso, la genealogia delle organizzazioni a vocazione universale del XX secolo va fatta correttamente risalire al XIX secolo, epoca in cui simili leghe e associazioni abbondarono nelle più diverse forme, da quelle ideali e politiche (il movimento suffragista, l’internazionale comunista, le associazioni di matrice pseudo-religiosa) a quelle più spiccatamente economiche (indirizzate alla diffusione del liberalismo capitalista), costituendo l’esempio di un coordinamento transnazionale a diversi livelli, tra paesi, istituzioni, associazioni e singoli individui12.

La fioritura del film sull’arte nel secondo dopoguerra, che ha le sue premesse nell’Europa degli anni Trenta dove agisce la Società delle Nazioni, può dunque spiegarsi, tra le altre concause, anche grazie all’onnipresenza di questo sentore comune, acuito dai disastri della guerra: diffondere l’alfabetizzazione, la conoscenza e la cultura come rimedio e antidoto alla degenerazione sociale verso forme di violenza bruta, conflitti bellici o violenza istituzionalizzata, come accade nei regimi totalitari. Una sorta di vaccino somministrato in larghe campagne di educazione per eradicare definitivamente questi mali dall’umanità, esattamente alla maniera dei contemporanei sforzi contro malattie come vaiolo o poliomielite.

In una simile ottica, i moderni mezzi di comunicazione assunsero una rilevanza fondamentale e, tra di essi, emerse il film documentario in qualità di vettore privilegiato di acculturamento delle masse: come già ricordato, fin dal 1947, a capo del suo Mass Communication Department, l’Unesco chiamò John Grierson, padre fondatore dell’illustre scuola britannica del documentario sociale. Scrive Grierson sul primo numero del «Courrier», rivista ufficiale dell’organismo internazionale: «Nel 1948 l’Unesco prenderà misure molto importanti per mobilitare le risorse della stampa, della radio e del cinema al servizio della pace13». Di nuovo l’obbiettivo onnicomprensivo della “pace”, costantemente rievocato dalle pubblicazioni e dalle dichiarazioni dell’Unesco, un obbiettivo tanto chiaro a primo impatto quanto articolato e complesso a una più attenta riflessione, nonché estremamente astratto e forse, sotto certi punti di vista, quasi utopico: se ne ricorderanno Alain Resnais e Marguerite Duras spedendo, con sottile e amara ironia, la protagonista di Hiroshima mon amour a recitare

11 Preamble, Unesco Constitution, Unesco, Londra 1946, p. 2.

12 Z. DRUICK, “Reaching the Multimillions”: Liberal Internationalism and the Establishment of Documentary

Film, in L. GRIEVESON, H. WASSON (a cura di), Inventing Film Studies, Duke University Press, Durham-Londra 2008, p. 69. Si veda anche ID., Unesco, Film and Education: Mediating Postwar Paradigms of Communication, in C.R. ACLAND, H. WASSON (a cura di), Useful Cinema, Duke University Press, Londra 2011.

13J. GRIERSON, “Le bureau des idées”. L’information au service de la paix, «Le Courrier», vol. I, n. 1, febbraio 1948, p. 3.

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in un non meglio specificato “film sulla pace” nella città simbolo della catastrofe del XX secolo, all’apice della guerra fredda.

Nell’ambito della promozione cinematografica, l’Unesco partecipa attivamente all’ampio dibattito sul film come mezzo di educazione, con un’azione che ha avuto conseguenze durature sul cinema documentario, instradandolo per lungo tempo verso il modello didattico-informativo e deprimendo altri possibili approcci e direzioni di sviluppo presenti in nuce negli anni Venti, quando l’apporto delle avanguardie europee avrebbe potuto germinare in percorsi diversi14. L’azione di agenti socio-politici quali l’Unesco, specie nel dopoguerra, dettò invece una visione egemonica e monolitica degli scopi e delle caratteristiche del film documentario, influenzandone in una misura notevole l’evoluzione successiva15, riducendo i termini del discorso attorno al documentario, la ricerca di nuove soluzioni narrative, estetiche o produttive, la capacità generale del documentario di rinnovarsi e uscire dal recinto di un cinema paternalisticamente educativo (con l’eccezione di alcuni autori di spicco, ovviamente); un’impostazione che fu particolarmente accentuata in Italia.

Non devono però essere misconosciuti i meriti dell’Unesco: con la sua rete di nazioni sottoscriventi (dalle 35 iniziali alle 117 del 1968), di rappresentanze nazionali e di organizzazioni non governative ad esso collegate (217 nel 1968, tra cui la FIFA16) esso promosse l’incentivazione se non talvolta l’autentica creazione di circuiti alternativi per la distribuzione di pellicole che non sarebbero mai potute entrare nel circuito commerciale. Fu proprio sulla diffusione di beni culturali, di progetti scientifici, di modelli educativi, di persone, idee e media che si concentrarono i maggiori sforzi dell’agenzia, fin dal principio; un problema di enorme portata che ritornerà di continuo anche nelle conferenze e nelle risoluzioni finali – che spesso non sortirono alcun effetto concreto – della FIFA e dell’IIFA.

A dispetto dell’universalismo ecumenico proclamato dall’Unesco, infatti, il mondo del secondo dopoguerra era un mondo di frontiere, di dogane, di confini, letteralmente spaccato a metà dalla divisione tra blocco orientale e blocco occidentale, che mal si conciliava con i proclami delle Nazioni Unite e delle sue agenzie specializzate. Sul fronte della libera circolazione e del ricongiungimento, quantomeno culturale, dei due fronti contrapposti l’Unesco si impegnò alacremente, proponendosi anzitutto come ente coordinatore di iniziative e progetti realizzati a livello nazionale e locale, e incentivandone la circolazione. Nella missione di diffusione della cultura rientravano infatti l’organizzazione ricorrente, articolata e capillare di un enorme numero di conferenze, tavole rotonde, gruppi di lavoro su specifiche tematiche; la realizzazione di pubblicazioni direttamente finanziate o parzialmente supportate; o ancora, cosa che ci interessa particolarmente, la realizzazione (a dire il vero sporadica) di film sull’arte17, di etnografia, o ancora scientifici18. Oltre a ciò, tuttavia, fu la libera circolazione di materiale educativo a essere un ambito di sforzi intensi e continui. A questo scopo era interesse dell’Unesco abbatterne i possibili ostacoli:

14 Si veda in tal senso la riflessione sviluppata da M. HAGENER, Moving Forward, Looking Back: The European

Avant-garde ad the Invention of Film Culture, Amsterdam University Press, Amsterdam 2007.

15 Z. DRUICK, “Reaching the Multimillions”, p. 68. 16 What is Unesco?, pp. 16-17.

17 Come i film di Enrico Fulchignoni Art précolombien (1954) e Orient-Occident (1960).

18 «Nel quadro del suo programma, l’Unesco favorirà la produzione di film documentari inerenti le realizzazioni di qualche paese considerato individualmente, o su soggetti che interessano dei gruppi di nazioni nel loro insieme. Questi documentari di carattere educativo, scientifico e culturale saranno prodotti in cooperazione dagli stati membri dell’Unesco e saranno l’oggetto di una distribuzione nazionale e internazionale.» J. GRIERSON, “Le

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«Decisa a stimolare l’impiego dei mezzi d’informazione di massa in un senso propizio alla comprensione internazionale e alla cooperazione tra le nazioni; decisa inoltre a permettere di espandere più largamente la conoscenza del patrimonio culturale dell’umanità, l’Organizzazione della Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura intraprende primariamente lo studio di misure pratiche suscettibili di ridurre gli ostacoli alla libera diffusione delle informazioni. Dunque l’Unesco si sforzerà di sopprimere ostacoli come le tariffe telegrafiche e postali eccessive, le barriere doganali troppo elevate, la censura, i contingentamenti, le restrizioni postali, e le difficoltà di controllo degli scambi nella misura in cui essi si applicano a materiale educativo, scientifico e culturale19».

Un primo passo in tal senso venne già compiuto alla terza Conferenza Generale di Beirut del 1948, con la proposta agli stati membri di un Accordo per facilitare la circolazione internazionale di materiale visivo e audio a carattere educativo, scientifico o culturale. Il testo dell’accordo, ratificato solo da sedici stati20, permette di comprendere meglio quali fossero i materiali audiovisivi considerati dall’Unesco come mezzi educativi e quali caratteristiche li rendevano tali:

«a) film, filmstrips e microfilm sia in forma negativa, esposta e sviluppata, che positiva, stampata e sviluppata; b) registrazioni sonore di qualunque tipo e forma; c) diapositive in vetro, modelli, statici o in movimento; tabelle a muro, mappe e manifesti. […] a) quando il loro scopo primario è di istruire o informare attraverso lo sviluppo di un soggetto o di un aspetto di un soggetto, o quando il loro contenuto è tale da mantenere, accrescere o diffondere la conoscenza, e aumentare la comprensione e il consenso internazionale; e b) quando il materiale è significativo, autentico e accurato; e c) quando le qualità tecniche non interferiscano con l’uso del materiale21».

La natura educativa del mezzo audiovisivo è dunque definita da un generico incremento della conoscenza e della comprensione dello spettatore sul soggetto trattato, dalla qualità del materiale audiovisivo (autentico e accurato) e dalla possibilità di effettivo utilizzo del materiale, che non deve essere ostacolato dalla tecnologia impiegata a realizzarlo. Indicazioni piuttosto generiche, come in una certa misura è inevitabile per un accordo che interessa oggetti, realtà e ambiti diversissimi tra loro.

Solo due anni dopo, alla Assemblea Generale di Firenze del 1950, venne stipulato il noto Florence Agreement22, che espande le opportunità di scambi libere da dazi e sanzioni, oltre ai materiali a stampa e audiovisivi a carattere educativo (compresi cinegiornali e trasmissioni di stazioni radiotelevisive), anche a dipinti, statue, mappe, manoscritti, strumenti scientifici.

Non è qui possibile seguire ulteriormente le molteplici iniziative prese dall’Unesco e che nella maggior parte dei casi non toccano neppure tangenzialmente l’argomento di questa ricerca; sulla reale efficacia dell’operato dell’Unesco, dei suoi accordi e dei suoi protocolli, i cui risultati appaiono spesso sproporzionati rispetto alla gigantesca macchina burocratica da cui derivano – autentica montagna che partorisce un topolino – e inficiati ab origine dallo scarso, se non inesistente, potere che essa ha sulla sovranità dei singoli stati, diversi intellettuali esprimono dubbi e scetticismo, a partire da Ranuccio Bianchi Bandinelli nell’intervista concessa a «Cinema» e richiamata in esergo a questo paragrafo. Come già detto, l’Unesco va più correttamente considerata un’organizzazione-ombrello sotto il cui supporto risultava

19 IBIDEM.

20 Afghanistan, Brasile, Canada, Danimarca, Repubblica Domenicana, Ecuador, El Salvador, Grecia, Haiti, Iran, Libano, Paesi Bassi, Norvegia, Filippine, Stati Uniti d’America, Uruguay.

21 Agreement For Facilitating the International Circulation of Visual and Auditory Materials of an Educational,

Scientific and Cultural (Beirut Agreement),

http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=12064&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html, ultimo accesso 07/10/2019. 22 Poi ulteriormente integrato dal Protocollo di Nairobi, ratificato all’Assemblea Generale del 1976.

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naturale porsi per ottenere non solo, e non tanto, finanziamenti economici quanto soprattutto prestigio internazionale e maggiore visibilità. Non che ciò risultasse facile: i rapporti con una simile struttura burocratica erano spesso difficoltosi, come testimoniano alcune lettere presenti nell’archivio di Pierre Francastel, segretario per alcuni anni della FIFA23.

Dopo l’iniziale momento propulsivo parigino, la FIFA entra dunque in una fase di stallo. Manca uno statuto che ne delinei la missione a lungo termine e ne regoli l’organizzazione e la struttura interna, mentre nell’immediato le azioni concrete si limitano alla comunque meritoria curatela di un primo repertorio di film sull’arte, contenuto in un numero della rivista belga «Les Arts Plastiques24».

Al secondo congresso della FIFA tenutosi a Bruxelles dal 19 al 22 febbraio 1950 – in concomitanza con una serie di proiezioni che diedero vita al primo Festival del film sull’arte europeo25 – le discussioni si concentrarono sull’esatta definizione da dare a questa tipologia di