• Non ci sono risultati.

Per far fronte all’«anarchica situazione» della produzione e della circolazione dei film sull’arte – per usare l’espressione utilizzata da Lemaître alla tavola rotonda madrilena – una delle principali attività delle associazioni internazionali fu da subito quella di raccogliere e sistematizzare incessantemente notizie e informazioni sui film.

Sia la FIFA che l’IIFA, seppur in maniera diversa, si impegnarono a redigere ampi repertori e veri e propri cataloghi fin dalla loro fondazione. Alla fine degli anni Quaranta, presa coscienza del fenomeno e della sua vitalità, si avvertì con particolare acutezza questa necessità di sistematizzazione. Nel breve giro di quattro anni, dal 1949 al 1953, videro la luce ben sette pubblicazioni tra repertori e cataloghi, alcune legate tra loro da stretti legami, ciascuna con le proprie caratteristiche, rivelatrici delle intenzioni e delle visioni dei curatori.

L’attività di schedatura e catalogazione non si arrestò negli anni seguenti, concentrandosi su alcune imprese di ampio respiro (i cataloghi della FIFA del 1960, 1966, 1970 o quello dell’IIFA del 1963) e ricercando al contempo formule più snelle di diffusione delle informazioni, come bollettini periodici o rubriche ricorrenti sulle riviste, dal momento che chiaramente non bastava scovare i film e tracciare periodicamente il panorama generale, ma era soprattutto necessario rimanere al passo con una produzione in pieno fermento tra anni Cinquanta e Sessanta. Bisogna considerare che spesso questi film non uscivano dai confini nazionali, o circolavano solo parzialmente per vie non commerciali (ambasciate, festival, cineclub): il lavoro per reperire dati e informazioni sui film, specie se di provenienza extraeuropea, e averne esatta contezza era dunque laborioso e di lunga durata. In questo frangente un’istituzione come la FIAF non pare aver fornito esplicito appoggio alla FIFA – meno ancora all’IIFA – se non per quanto riguarda il Centro di Documentazione previsto ad Amsterdam. Non va dimenticato che diversi membri della FIAF erano anche tra le fila della FIFA; tuttavia, non sembrano esserci stata azioni coordinate da parte della FIAF in favore di questi cataloghi (cosa che forse non fu neppure richiesta da parte della FIFA), nemmeno per la definizione di uno standard univoco per la catalogazione.

Una vera e propria “ansia catalografica” caratterizza l’attività delle organizzazioni internazionali, ansia che ci ha fornito oggetti di studio preziosi. I repertori accuratamente stilati, le scarne rubriche periodiche, i voluminosi cataloghi prodotti tra 1949 e 1970 sono infatti oggetti che riuniscono in sé tre componenti essenziali: sono anzitutto catalizzatori dell’ampio dibattito che si muove tra riviste e contributi sparsi costituendo una “teoria del film sull’arte”, della quale i saggi e le prefazioni di queste pubblicazioni fanno spesso il punto a una certa altezza cronologica; sono emanazioni rivelatrici delle istituzioni preposte allo studio, alla catalogazione, alla diffusione, alla valorizzazione del patrimonio dei film sull’arte; contengono, infine e forse banalmente, informazioni dettagliate sugli oggetti concreti, sui singoli film

97 Cfr. capitolo VI.

198

sull’arte. Oggetto stratificato, dalle molteplici possibilità di lettura, il catalogo rappresenta perciò un’ineludibile fonte storica primaria che merita specifica attenzione99.

Un primo gruppo coerente è quello rappresentato dai repertori apparsi tra il 1949 e il 1951 in Belgio, Italia e Francia. In tutti i casi, essi sono numeri speciali di riviste d’arte o di cinema dedicati al film sull’arte, dei quali il repertorio occupa soltanto l’ultima parte. Ampio spazio è invece dedicato a saggi teorici e interventi critici di notevole respiro e con varie finalità.

Nel 1949 il numero doppio speciale Le film sur l’art della rivista belga «Les Arts Plastiques»100 diretta da Luc Haesaerts rappresenta il primo tentativo di sistemazione della produzione dei documentari d’arte. I saggi critici occupano ben più spazio del catalogo finale, e, al di là dei due iniziali101 che riflettono sulle condizioni generali del rapporto tra cinema e pittura, e il successivo articolo di André Souris sull’apporto del compositore musicale al film sull’arte102, i successivi interventi tracciano il quadro nei quattro principali paesi produttori, spesso rifacendosi alle maggiori figure autoriali. Henri Storck e Paul Haesaerts firmano un articolo sul loro film Rubens, riportando ampie parti di sceneggiatura in uno schema grafico che affianca immagini, commento verbale e partitura musicale, e illustrando così la loro peculiare analisi filmica dell’opera pittorica; Lauro Venturi porta la propria esperienza di operatore per Luciano Emmer, al fine di esporre l’approccio del regista italiano, mentre un breve articolo dello Studio Italiano di Storia dell’Arte introduce il primo critofilm di Ragghianti, La deposizione di Raffaello; Arthur Knight e Gaston Diehl si occupano, rispettivamente, del panorama americano e francese, sfuggendo a un arido elenco di registi e titoli e sviluppando invece acute riflessioni (in particolare Diehl). Il repertorio internazionale che segue, realizzato con l’ausilio della Cinémathèque royale de Belgique, è immediatamente dichiarato come «ancora incompleto103» e destinato ad integrarsi con successivi supplementi. Ordinato per nazionalità, come sarà lo standard per praticamente tutti i cataloghi tranne rarissime eccezioni, Le film sur l’art presenta informazioni estremamente sintetiche su ciascuno film: oltre al regista, al compositore, all’autore del commento e ai dati tecnici (colore o bianco e nero, durata, formato, sonoro, versioni disponibili), alla voce «produttore» (talvolta integrata da «distributore») viene indicato l’ente o l’indirizzo cui rivolgere richieste di noleggio o acquisto. Segue una stringatissima descrizione del tema del film, spesso limitata a una frase o a un paio di parole chiave. Sono solo tredici le nazioni rappresentante104, e nel panorama complessivo dominano Belgio, Francia, Italia e USA, esattamente com’era prevedibile aspettarsi dai saggi introduttivi.

Il repertorio predisposto l’anno successivo, in occasione del Festival del Film sull’Arte di Bruxelles cui si accompagna la seconda Conferenza della FIFA, non modifica di molto i numeri e la composizione di questo scenario. Si tratta del numero speciale di una rivista, questa volta «Les Beaux-Arts» di Bruxelles, predisposto da Luc Haesaerts, direttore del comitato

99 Per uno sguardo d’insieme di tipo quantitativo sul contenuto di questi cataloghi storici cfr. negli Apparati,

Analisi grafica dei cataloghi storici prodotti da FIFA e IIFA (1949-1966).

100 Le film sur l’art, numero speciale di «Les Arts Plastiques», n. 1-2, gennaio-febbraio 1949.

101 R. MICHA, Double saut périlleux, ivi, pp. 3-8; P. DAVAY, Contraindre à voir, ou la peinture révélée, IVI, pp. 9-19.

102 A. SOURIS, Musique et tableaux filmés. Notes sur la musique dans Le monde de Paul Delvaux, IVI, pp. 20-24. 103 Répertoire international de films sur l’art, ivi, p. 59. La lista sarà riprodotta sulla rivista francese «L’Amour de l’Art» nel numero speciale dedicato a cinema e arte, anno XXIX, nuova serie, nn. 37-38-39, 1949.

199

organizzatore della Conferenza FIFA105. Nuovamente, largo spazio viene assegnato agli articoli, e anche in questo caso l’ottica è strettamente nazionale, con affondi sulla produzione dei singoli paesi: oltre alla Francia, al Belgio106 e all’Italia107, conquistano il privilegio di un proprio articolo Canada, Danimarca, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Cecoslovacchia e Svezia. Si tratta dei paesi già presenti nel repertorio del 1949, la cui produzione viene aggiornata con una manciata di titoli per ognuno di essi. Si aggiungono nuove nazioni come Australia, Polonia e Persia, sebbene con un solo titolo a testa. Il passo in avanti rispetto all’anno precedente non è dunque estremamente significativo, e tuttavia il numero di «Les Beaux-Arts» ha il merito di estendere l’attenzione oltre le nazioni canoniche per iniziare ad abbracciare una prospettiva autenticamente mondiale.

Ulteriore e fondamentale esempio di questa tipologia di repertorio allegato a una raccolta di saggi teorici arriva dall’Italia, nel Quaderno della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia dal titolo Il cinema e le belle arti, apparso nel luglio 1950, e riedito con l’aggiunta di saggi di notevole importanza nell’agosto-settembre dello stesso anno come numero speciale della rivista «Bianco e Nero»108. Si tratta di un testo fondamentale per lo studio del documentario d’arte, specie in Italia, cui infatti si è già fatto cenno in molteplici occasioni109 proprio per la ricchezza di spunti e prospettive d’analisi, dalla riflessione eminentemente estetica (negli articoli di Carlo Ludovico Ragghianti, Claudio Varese, Giulio Carlo Argan) a quella sugli influssi pittorici nel cinema narrativo (Domenico Purificato), fino a interventi su questioni specifiche (Bruno Zevi sul documentario d’architettura, Roman Vlad sull’apporto musicale), raccogliendo voci di storici dell’arte, critici cinematografici, realizzatori (Umberto Barbaro, Luciano Emmer, Marcel L’Herbier), talvolta anche fortemente critiche se non esplicitamente polemiche verso il film sull’arte (nei casi di Domenico Paolella o Giuseppe Fiocco). La volontà che emerge è di affrontare l’argomento nella maniera più esaustiva possibile, senza cercare una forzata conciliazione tra visioni differenti ma costituendo un dialogo unico nel panorama degli studi dell’epoca. In conclusione, due panorami nazionali di notevole esaustività sono tracciati per la Francia, a firma di Jean Vidal, e l’Italia, in un articolo di Mario Verdone, cui segue una bibliografia ragionata sui rapporti tra cinema e arti figurative redatta da Guido Aristarco che rimarrà per anni un riferimento sull’argomento.

È sempre Verdone a curare il regesto finale, indicato semplicemente come «Filmografia»: sebbene sia presentato come una mera combinazione delle informazioni presenti nei repertori belgi del 1949 e del 1950, si avvale in realtà anche dei «dati avuti da varie manifestazioni internazionali, soprattutto dalle Mostre veneziane di arte cinematografica110», fornendo molto più che un semplice centone di dati disponibili altrove. L’aumento delle informazioni è desumibile già dal numero di nazioni rappresentate, dove compaiono per la prima volta Austria, Finlandia, Germania e Haiti, ma soprattutto da quello di film regestati, con un aumento

105 L. HAESAERTS (a cura di), Le film sur l’art, «Les Beaux-Arts», febbraio 1950. Non sono presenti sulla rivista né annata, né numero del fascicolo.

106 Con interviste a André Cauvin, Henri Storck e Charles Dekeukeleire.

107 All’Italia sono dedicati due spazi, l’uno a firma di Mario Verdone che riflette sui problemi del colore, l’altro di Lionello Venturi che traccia un quadro piuttosto disincantato della produzione del Belpaese nel biennio precedente.

108 Le belle arti e il film, Quaderni della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, edizioni Bianco e Nero, Roma 1950; riedizione aggiornata in «Bianco e nero. Rassegna mensile di studi

cinematografici», anno XI, n. 8-9, agosto-settembre 1950. 109 Cfr. capitolo II.

110 M. VERDONE, Filmografia, «Bianco e nero. Rassegna mensile di studi cinematografici», anno XI, n. 8-9, agosto-settembre 1950, p. 146.

200

vertiginoso per l’Italia (da 33 a 91 pellicole): la filmografia di Verdone si pone dunque come l’analisi più accurata del panorama del documentario d’arte italiano fino al 1950, nel quale rientrano film sulla pittura, sull’architettura, sui centri storici e le città d’arte, sulle novità dell’arte contemporanea, le arti applicate e l’artigianato, fino ad argomenti più eccentrici come la tradizione del presepe o i monasteri buddhisti del Tibet111. La maggior parte dei film sono realizzati a partire dal 1946, mentre le produzioni degli anni Trenta, a firma Cines, sono solo una manciata (tra cui però l’importante Assisi di Alessandro Blasetti). Ricorrono alcuni nomi notevoli come Romolo Marcellini, che nell’immediato dopoguerra si dedica con particolare fervore al cortometraggio di argomento storico-artistico, o Glauco Pellegrini, i cui film (Parliamo del naso, L’esperienza del cubismo, Ceramiche umbre) ricevono particolare attenzione nel dibattito dell’epoca. La quantità e la qualità dei dati per ciascun film variano molto da caso a caso e accanto a schede (come quelle dei film dello Studio di Storia dell’Arte di Ragghianti) con l’esplicitazione di tutte le responsabilità, dalla regia al colore, dal commento ai dati tecnici, in altre ci si limita alla durata, alla produzione e alla regia: film che evidentemente non solo oggi, ma anche all’epoca dovevano essere di difficile reperimento. La medesima situazione si ripropone per le pellicole dei paesi stranieri, per i quali la raccolta di informazioni doveva risultare ancora più ardua.

Nel 1951 viene realizzata a Parigi una brochure, in doppia versione francese e inglese, contenente il repertorio belga di «Les Arts Plastiques» del 1949 opportunamente integrato. Per garantirne la più vasta diffusione, è l’Unesco stessa a produrre questa breve guida al film sull’arte indicata dal titolo di «Bilan 1950», distribuita in tremila copie in francese e altrettante in inglese112. È significativo che l’Unesco si faccia direttamente carico di questa missione di divulgazione, rivelando un senso d’urgenza improcrastinabile, mentre nei vent’anni successivi lo sforzo di raccolta e diffusione delle informazioni sarà delegato alla Fédération, in quel momento ancora in fase embrionale. La guida risponde all’intenzione «di riunire in un’ulteriore opera le informazioni sui film e i paesi che erano sfuggiti alla nostra prima inchiesta» e tuttavia «malgrado gli sforzi dei suoi compilatori, un repertorio internazionale non può mai pretendersi completo113». L’apporto di riflessioni critico-teoriche appare numericamente più scarso (i saggi sono infatti soltanto sette); qualitativamente, accanto a interventi che toccano punti nevralgici del dibattito dell’epoca, a firma di eminenti personalità (Paul Haesaerts sulla possibilità di fare critica d’arte tramite il film114, Pierre Francastel sulla pedagogia dell’arte a mezzo cinema115), altri si appuntano su prospettive più limitate, analizzando la produzione nazionale (India, Canada) o singoli esempi di film particolarmente significativi116.

Questo II Répértoire international de film sur l’art è una diretta integrazione di quello del 1949: non ripete i titoli già presente nel I Répértoire, bensì «riporta i titoli venuti alla nostra conoscenza da allora117». L’integrazione appare notevole in termini numerici, anche solo constatando l’ingresso in campo della Germania, totalmente ignorata nel repertorio precedente, con un contingente di ben trentuno film o, in misura minore, della Grecia con dieci titoli. Ma

111 Il Presepe, della Cineteca Scolatisca (1943), con la collaborazione di Valerio Mariani; Tibet proibito, di Pietro F. Mele (1949).

112 Le film sur l’art. Bilan 1950, Unesco, Parigi 1951. 113 IVI, p. 2.

114 P. HAESAERTS, Sur la critique par le cinéma, IVI, pp. 17-19. 115 P. FRANCASTEL, Le point de vue d’un pédagogue, IVI, pp. 13-16. 116 J.P.HODIN, Deux films anglais, IVI, pp. 20-30.