• Non ci sono risultati.

La forma biografica compare frequentemente, negli interventi teorici, come uno dei modelli fondamentali (e purtuttavia non privo di rischi) cui attenersi per realizzare un film sull’arte. L’ancoraggio alle vicende del pittore, dello scultore o dell’architetto fornisce al documentario una struttura cronologica e narrativa chiara, facilmente intuibile e dunque immediatamente accettata dallo spettatore generico. D’altra parte, quello biografico è da sempre un modello ampiamente utilizzato nella letteratura artistica europea, e italiana in particolare. Questa lunga e radicata tradizione storiografica delle “vite d’artista” (incarnata al massimo grado dalle celebri vite vasariane2) agisce anche sulla forma filmica, generando la tentazione di tracciare l’intera parabola della vita e della carriera dell’artista, «dalla culla alla tomba3». Nel caso di artisti contemporanei le scelte possono però orientarsi anche su altri indirizzi, prediligendo interviste o sequenze dedicate alla creazione di un’opera e alle pratiche d’atelier, delle quali si parlerà in seguito.

Oltre al modello critico-storiografico delle vite d’artista, un’influenza estremamente significativa, nel frangente del documentario biografico, è quella esercitata dal biopic di finzione; un ascendente che, sebbene non determinante, risulta più accentuato rispetto alle altre

1 Cfr. Introduzione.

2 G. VASARI, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori,1550 e 1568, a cura di P. BAROCCHI e R. BETTARINI, Firenze S.P.E.S., già Sansoni, 1966-1987.

3 Come recita la formula tipica del biopic di tradizione hollywoodiana. Cfr. l’Introduzione in T. BROWN, B. VIDAL (a cura di), The Biopic in Contemporary Film Culture, Routledge, Londra-New York 2014.

143

varianti del film sull’arte. Non si tratta solo di coincidenza di nomi (dal momento che sono spesso le vite dei medesimi artisti a essere di volta in volta indagate e riproposte tra documentari e finzione), ma della struttura stessa del film: anche nel documentario si predilige di frequente lo schema fondato su nette opposizioni che informa le biografie fiction, regolato da forti tensioni binarie: contrasti insanabili tra artista e famiglia, tra artista e critica, tra vita e opera, tra il clima culturale di un’epoca o di un determinato contesto sociale e l’individualità del protagonista che mal si adatta ad essi, spesso precorrendo i tempi con le sue intuizioni e la sua arte. A tali contrapposizioni, chiaramente utilissime per creare situazioni drammatiche all’interno di un’opera finzionale, anche il film sull’artista fa di norma ricorso, seppure in maniera meno accentuata e drammatica.

Rappresentare la vicenda biografica di un artista, anche in un film documentario, significa ovviamente crearne consapevolmente un’immagine, sottolineandone certi aspetti e tralasciando altri dettagli. Il rischio è di scivolare in alcuni modelli predeterminati, divenuti cliché familiari al pubblico a causa di un uso reiterato e talvolta fuorviante, poco attinente alla realtà del soggetto narrato, come quello dell’artista incompreso e reietto, sofferente e ribelle, oppure titanico ed eroico. Un rischio, in un certo senso, quasi inevitabile: nel porre al centro del film lo studio della singola personalità, tanto più se universalmente riconosciuta come geniale, la si riverbera di una luce di straordinarietà, contribuendo ulteriormente a investirla di un’“aura” speciale. L’artista al cinema si assimila con facilità a figure estreme, in senso negativo o positivo, come l’eroe, il profeta, il santo, il pazzo, l’escluso. «Il genio creatore rinnova la figura eroica dell’avventuriero solitario che incarna la contraddizione tra la libertà individuale e le forme dell’organizzazione sociale, […] sempre in vista di rappresentare l’immagine del “demiurgo geniale” all’apogeo della sua arte, e/o la figura del “pittore maledetto”, in preda a una sofferenza fisica o esistenziale4

Il modello biografico – è il richiamo più volte reiterato nella critica degli anni Quaranta e Cinquanta – non dovrà scadere in aspetti cronachistici, aneddotici o addirittura favolistici, non dovrà concentrarsi esclusivamente su vicende minute, aspetti minori o episodi di secondaria importanza. Non dovrà neppure cedere alla rievocazione pittoresca e nostalgica, che nuoce alla corretta interpretazione delle opere e alla giusta ricollocazione dell’artista nel suo contesto storico. Ciò non significa, ovviamente, che il documentarista intenzionato a seguire uno schema biografico non possa strutturare il suo film in maniera anche umanamente partecipe delle vicende del protagonista, ma semplicemente che fulcro della sua operazione saranno considerazioni oggettive e ragionamenti critici fondati: «erede della tradizione antica il metodo, [biografico] coniuga la fedeltà del ritratto, la critica artistica e la speculazione storiografica, senza mai trascurare l’osservazione personale e l’invenzione5». Fedeltà storica, approccio critico rigoroso, sguardo personale costituiscono i tre elementi cardine che, giustamente dosati, permettono uno studio accurato dell’artista per mezzo del film.

In uno dei migliori e più espliciti interventi sulla biografia cinematografica d’artista, Umbro Apollonio ci fornisce, nell’inchiesta su «Cinema», due modelli:

«Avremo, grosso modo, due tipi di film: uno che si limita a presentare l’artista nella sua casa, nel suo studio, nelle sue abitudini, nel suo modo di lavorare, ecc. e che sarà perciò

4 P.L. THIVAT, Vies d’artistes au cinéma. L’Histoire, le mythe et le miroir, in ID. (a cura di), Biographies de

peintres à l’écran, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2011, p. 10.

5 P.H. FRANGNE, G. MOUËLLIC, C. VIART, Les vies au cinéma, in EAD. (a cura di), Filmer l’acte de création, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2009, p. 187.

144

propriamente aneddotico, e un altro che riguarda l’artista e ne segue la biografia, presentando l’ambiente nel quale lavora (cultura figurativa contemporanea, primi studi, paesaggio, città…) e l’opera che via via egli viene compiendo negli anni, rilevandone gli sviluppi e i riflessi con quelle opere e quei temi che più lo impressionarono. Sarebbe quest’ultimo film quello che si potrebbe chiamare divulgativo, in quanto divulga la storia biografica e poetica di un artista. […] non sarebbe opera filmica che sviluppi proprio una valutazione critica, ma certamente che precisa lo sviluppo di una personalità, illustrandone la formazione e i progressi, oltre che la maturità intellettuale e creativa6».

Da un lato, dunque, la semplice ripresa della quotidianità dell’artista, poco utile proprio perché aneddotica; dall’altro la rievocazione dei fattori che ne costituiscono la personalità artistica: primi contatti con l’arte, rapporto coi luoghi e il paesaggio, educazione artistica, possibili maestri e modelli, e ovviamente l’attento esame di alcune opere, accuratamente scelte perché particolarmente indicative delle diverse fasi e dei momenti di transizione del suo percorso creativo.

Ancora più precisa è la descrizione di un ideale film biografico compiuta dalle pagine della «Rivista del cinema italiano», quasi un vademecum per realizzare un perfetto “ritratto d’artista” su celluloide:

«Desidero perciò mettermi nelle vesti di regista, e comporre qui, davanti a voi, in forma succinta, un film su un pittore. In questo senso sono d’accordo col Ragghianti, e tenderei proprio a rappresentare la storia del suo sviluppo artistico, delle sue esperienze, dei suoi modi: in sostanza la cronaca biografica del suo processo artistico. Più precisamente: visioni dell’ambiente in cui è nato ed ha trascorso la sua infanzia e la sua fanciullezza; paesaggio, architettura, opere che per documenti sicuri o per supposizioni molto probabili può aver visto, così da dare una sintesi dell’atmosfera culturale che ha respirato; primi lavori, finché possibile raffrontati alle opere che più l’hanno influenzato, diretto, consigliato; seguirei cronologicamente, con lo stesso metodo, via via, le opere e gli ambienti che ha accostato, le opere che ha realizzato; mediante raffronti e soste su dettagli cercherei di far risaltare quella costante modalità di linguaggio figurativo che ha segnato la sua personalità. Il tutto con molto rispetto per l’opera d’arte in sé, senza compiacimenti estetizzanti e senza eccessi di letteratura cinematografica: proprio puntando l’obbiettivo sull’essenziale e sul tipico. Non mi preoccuperei tanto cioè di fare un film, quanto di servirmi del film per illustrare un fatto d’arte.7»

È certamente un modello alto di biografia filmata d’artista, che infatti la riconduce all’interno dell’alveo del film critico sulle arti: lo schema biografico è solo la traccia sulla quale sviluppare il discorso critico, vero centro dell’interesse; la produzione dell’artista deve sempre essere strettamente relazionata all’arte che la circonda, a possibili modelli, ai luoghi, al paesaggio, all’ambiente urbano e agli stimoli di natura extra-artistica (sociale, politica, culturale) nei quali egli si trova. Questa attenzione alla cornice sociale e culturale nel quale la personalità artistica viene a formarsi si allinea agli indirizzi della storia sociale dell’arte, che negli anni Cinquanta punta l’attenzione sui fattori di contesto che influiscono in modo profondo sulla produzione artistica; l’esigenza di includere ed esaminare ampiamente nei film sugli artisti tali fattori

6 Umbro Apollonio in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema. Inchiesta di M. Gandin e M. Mazzocchi sui documentari sull’arte (4), «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», nuova serie,

vol. VII, anno IV, fascicolo 89, 30 giugno 1952, p. 352.

7 U. APOLLONIO, Quesiti su cinema e critica d’arte, «Rivista del cinema italiano», anno II, n. 8, agosto 1953, pp. 52-53.

145

contestuali viene ribadita in diversi altri interventi. Si vedano per esempio le indicazioni di Enrico Crispolti, rielaborate a sua volta da Paul Haesaerts, nel suo intervento su «Cinema documentario»: «Dunque quella ricostruzione storico-ambientale dell’opera o dell’attività dell’artista che Haesaerts poneva come uno dei fattori principali (svalutata invece da Ragghianti) mi sembra invece di fondamentale importanza e può attuarsi, anche qui, nel mezzo filmico, con una ampiezza e puntualità sconosciute alla pagina scritta anche se ampiamente illustrata. Penso alla presentazione di documenti del tempo, di vario genere, o ad inserti filmati riguardanti fatti storici contemporanei8». Ciò che conta è la «cronaca biografica del suo processo artistico»: la biografia non soltanto (e non tanto) dell’uomo, quanto della sua opera complessiva e della sua personalità artistica. L’utilizzo del termine “processo”, rimando a Ragghianti esplicitamente richiamato poche righe sopra, ribadisce la funzione del film come estrinsecazione dell’atto creativo dell’artista9.

Su posizioni simili si allinea anche Cesare Molinari10: il film sull’artista deve anzitutto prendere in esame i luoghi dove egli ha vissuto e sforzarsi di localizzare le sue possibili fonti d’ispirazione visiva, marcando poi chiaramente le tappe dell’attività creatrice, appoggiandosi alla presentazione di opere significative. Molinari, che scrive nel 1963, sente la necessità di mettere in guardia dalla forma del film-intervista che, sotto l’influsso del mezzo televisivo ormai entrato stabilmente nel panorama mediale italiano da quasi un decennio, prende progressivamente sempre più piede. I film che optano per questa formula (ovviamente privilegiata dai diretti interessati, che possono raccontarsi in prima persona e scavalcare così la mediazione del critico d’arte) si rivelano nella maggior parte dei casi dannosi: in primo luogo, danno la parola ad artisti spesso mediocri e diventano così un mero mezzo di autopromozione, privo di qualunque spirito critico e utilità conoscitiva. Inoltre, e paradossalmente, pur raggiungendo un ampio numero di persone, questi film non sono facilmente fruibili se non da chi ha già una preparazione solida e un senso critico sviluppato, poiché «gli artisti sono i meno qualificati a presentare il proprio lavoro11». L’apporto critico e divulgativo di queste interviste è, nella maggior parte dei casi, scarso se non nullo. L’aspetto più interessante del film sull’artista, per Molinari, rimane la possibilità di osservare l’artista al lavoro, non di intervistarlo.

Un punto che suscita alcune osservazioni e qualche dubbio è il modo corretto con cui presentare le opere all’interno del racconto biografico. Questa indispensabile operazione non deve infatti trasformarsi in una rapida sequela, meramente cronologica, di dipinti o sculture, trasformando le opere nel supporto visivo di una narrazione o di un’indagine psicologica che proseguono in maniera autonoma attraverso il commento parlato. «Tutti questi tentativi intendono raccontare un pittore aiutandosi con le sue tele. Evidentemente, il dipinto non è più considerato né nella sua specificità, né nei limiti della sua cornice; l’opera non è più rispettata nella sua discontinuità, nel suo “momento” si potrebbe dire12.» Incasellata nella griglia biografica, l’opera corre cioè il rischio di perdere la sua unicità (la “discontinuità” di cui parla Porcile), la possibilità di emanciparsi dal suo autore e così l’apertura a un senso e un valore

8 E. CRISPOLTI, Arte figurativa e film documentario, «Cinema documentario», n. 1-2, 1966, pp. 36-37. 9 Si vedano a tal proposito nel capitolo II (§ Film come critica d’arte) le considerazioni di Ragghianti sul critofilm.

10 C. MOLINARI, Préface, in Le film sur l’art. Répértoire général international du film sur l’art, a cura di P. ROCCHETTI e C. MOLINARI, Neri Pozza – Istituto Internazionale del Film sull’Arte, Vicenza-Firenze 1963. 11 IVI, p. XI.

146

universali. Tra la vita e l’opera dell’artista, quest’ultima rischia di essere marginalizzata, spinta ai margini dell’attenzione per lasciare che il centro sia occupato dalle vicende del suo autore, quando in realtà dovrebbe essere il contrario: la traccia biografica dovrebbe fungere da supporto alla comprensione dell’universo artistico creato dall’artista, che spesso la trascende.

Il film biografico sull’artista si ritrova potenzialmente davanti a un’aporia: concentrarsi sul percorso biografico o la personalità psicologica significa rischiare di snaturare o strumentalizzare le opere; rimanere focalizzati sulle opere spesso deprime la dimensione biografica che invece costituisce il punto di maggior interesse sia per il cineasta che per il pubblico, specie nel caso di artisti dalle vite “cinematografiche” o romanzesche che ben si prestano alla narrazione o alla spettacolarizzazione come Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh, Gauguin (detentori, non a caso, di un alto numero di biografie filmate). La contrapposizione tra vita e opera, vero topos narrativo dei biopic, diviene una reale contrapposizione all’interno del documentario biografico: privilegiare l’una o l’altra dimensione significa, nel primo caso, assecondare l’aspetto più appetibile per il cineasta e il pubblico, nel secondo caso ricercare un più oggettivo e chiaro contributo critico alla conoscenza dell’artista.

Questo contrasto si riflette anche nel rapporto tra le due componenti strutturali che, mi sembra, sono sempre individuabili e fortemente interconnesse in ogni film che si concentri, dichiaratamente o meno, su un artista, l’una o l’altra maggiormente rilevante a seconda dei casi: la componente biografica propriamente detta, e quella che indicherò come “ritrattistica”. Componenti che, pur agendo in simbiosi, emergono in momenti diversi del film, si pongono fini differenti e puntano a evidenziare caratteristiche diverse dell’artista.

La componente della “biografia” si estrinseca nei momenti in cui emerge una chiara sequenzialità di eventi, tipica della narrazione; si sviluppa in una serie di informazioni fornite allo spettatore secondo un ordine cronologico e progressivo, privilegiando il canale del commento verbale, e tende a ridurre l’analisi delle opere per non interrompere la successione degli eventi raccontati. Quello che caratterizza la componente biografica è dunque la sua natura narrativa (azione-conseguenza-azione), di costante progressione da un avvenimento dell’altro13.

La componente del “ritratto”, invece, si realizza ogni qualvolta il film, in momenti di particolare pregnanza, si sforza di tracciare una sintesi della personalità artistica del pittore, quasi un’istantanea della sua essenza, e a tale scopo si concentra su una o più opere significative, analizzandole in profondità per cogliervi il riflesso della personalità creatrice e del processo di generazione, come indicava Apollonio. La componente ritrattistica punta a individuare il fulcro profondo della personalità dell’artista, a cogliere il suo mondo interiore attraverso le opere14.

La componente biografica è sequenziale, segmenta la vicenda dell’artista in una serie di dati e informazioni discrete, facilmente veicolabili allo spettatore; la componente ritrattistica è sintetica, accentrante, punta a fissarne e immortalarne l’essenza artistica, l’io profondo. I fini di queste due elementi costitutivi del film sull’artista sono dunque diversi ma entrambi importanti

13 Sulle strutture narrative della biografia e del racconto del sé, cfr. I. TASSI, Storie dell’io. Aspetti e teorie

dell’autobiografia, Laterza, Bari 2007.

14 Un film molto noto ed estremamente apprezzato che accentua la dimensione ritrattistica al punto da far scomparire quella biografica è Le Monde de Paul Delvaux di Henri Storck, nel quale il regista, concentrandosi solo sui quadri del pittore belga, intende restituirci soltanto il suo mondo interiore e onirico, del tutto svincolato da riferimenti biografici. Sul documentario-ritratto cfr. R. PILZ, Das Portrait als Film. Zwischen sujet trouvé und

147

per il buon esito di un film sull’artista, che dovrà riuscire a farli convivere in simbiosi, nel giusto (ma difficile) equilibrio di una forma biografico-ritrattistica che sia analitica e sintetica al contempo.

Questo arduo equilibrio tra biografia e ritratto, tra presentazione di avvenimenti storici, esplorazione della personalità artistica e analisi dell’opera pittorica, e in generale le osservazioni fin qui fatte possono chiarirsi ulteriormente prendendo in esame un caso concreto e poco noto: la serie di ritratti cinematografici realizzati da Aglauco Casadio.

Nella prima metà degli anni Sessanta, precisamente tra il 1959 e il 1964, Aglauco Casadio realizza per la Corona Cinematografica, una delle “major” dell’epoca nell’ambito della produzione di cortometraggi, una serie di documentari dedicati ad artisti italiani15.

Non sono gli unici cortometraggi documentaristici del regista, ma la consistenza numerica di questo gruppo coerente di film è chiaro indizio di un interesse non passeggero né momentaneo, ma costitutivo dell’autore. La familiarità con il mondo dell’arte era infatti pregressa, e dovuta alla collaterale attività di critico d’arte di Casadio, iniziata già a partire dal periodo bellico e proseguita nell’immediato dopoguerra.

Figura schiva e riservatissima, sulla quale si hanno poche informazioni, Aglauco Casadio si muove tra ambiti eterogenei e forme espressive diverse, dalla poesia alla critica d’arte su periodici e riviste, trovando nel cinema – e nella forma documentaristica in particolare – una dimensione che gli corrisponde e alla quale si dedica per circa un decennio, tra la metà degli anni Cinquanta e la metà dei Sessanta, prima di tornare a occuparsi a tempo pieno del suo primo amore, la poesia.

Nato a Faenza nel 1917, studia a Firenze e frequenta, negli anni del conflitto, il Caffè delle Giubbe Rosse, dove viene in contatto con intellettuali, artisti e letterati (tra cui Rosai, Pratolini, Montale) e in particolare con Curzio Malaparte16.

Dall’inizio degli anni Cinquanta si cimenta nell’avventura cinematografica; il suo film più celebre è il lungometraggio di finzione Un ettaro di cielo del 1958, da lui diretto e sceneggiato

15 I film sono tutti della lunghezza di circa 300 metri (per una durata approssimativa di dieci minuti), in 35mm con colonna sonora ottica, girati in Eastmancolor. Il gruppo dei cortometraggi sugli artisti è composto da

Gentilini (1959, su Franco Gentilini), Clerici (1960, su Fabrizio Clerici), Tomea (1960, su Fiorenzo Tomea), Viviani (1960, su Giuseppe Viviani), Il pittore di stanze (1961, su Domenico Cantatore), Il diavolo ad Arona

(1961, su Gian Filippo Usellini), Cesetti (1961, su Giuseppe Cesetti), Failla (1962, su Fabio Failla), Un pittore

nella città (1962, su Eliano Fantuzzi), Beppe Guzzi (1962), Ludovisi (1963, su Felice Ludovisi), Enotrio (1963,

su Enotrio Pugliese), Le favole di Tabusso (1963, su Francesco Tabusso), Migneco (1963, su Giuseppe Migneco), Remo Brindisi (1964). È registrato dai visti di censura anche il cortometraggio Ebdomero, del 1963, su Giorgio de Chirico.

I film sono depositati, come tutto il fondo della Corona Cinematografica, presso la Cineteca di Bologna e sono stati visionati nei mesi di marzo e aprile 2018; sebbene generalmente in buono stato, alcune pellicole denotano un’iniziale sindrome acetica, che ha comportato il viraggio al magenta e così la perdita del colore originale. L’archivio cartaceo della Corona Cinematografica è attualmente in fase di riordino e inventariazione presso la stessa Cineteca; non è dunque stato possibile effettuare una ricerca al suo interno per rinvenire possibili documenti riguardanti la collaborazione, gli accordi o le indicazioni di lavoro tra Casadio e la casa di

produzione. Ci si limiterà dunque, in questa sede, a un’analisi dei film, prima tappa di uno studio che potrà forse proseguire in futuro con uno scavo archivistico più accurato.

16 I rari resoconti biografici su Casadio, compresa la relativa voce dell’Enciclopedia Treccani, riportano una collaborazione alla rivista «Prospettive» fondata da Malaparte nel 1937. Nell’accurato studio critico accompagnato dallo spoglio integrale della rivista compiuto da Luigi MARTELLINI (Le «Prospettive» di

Malaparte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2014) il nome di Casadio non risulta né tra quello dei

collaboratori, né tra i traduttori, i recensori, gli autori di poesia, e neppure viene mai citato nella rivista. La sua partecipazione effettiva alla rivista va quindi posta in dubbio, o quantomeno ridimensionata a un ruolo marginale, magari come autore di uno dei molti contributi anonimi o a firma generica della redazione.

148

(con il contributo di Ennio Flaiano, Elio Petri e Tonino Guerra, amico di lungo corso di Casadio) e che vede protagonisti Marcello Mastroianni e Rosanna Schiaffino. Si tratta di una variazione surreale e picaresca del neorealismo, un film in qualche misura anomalo nel panorama italiano di quegli anni, in grado di mettere in luce lo sguardo personale e poetico dell’autore e la sua