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«Il film, nel quale produttore e storico giocano un uguale e complementare ruolo con gusto e misura, si dimostrerà probabilmente il più efficace canale di comunicazione tra l’artista e lo studente.» (Benedict Nicolson)170

«Con le crescenti strutture educative della civiltà moderna, la consapevolezza dell’uomo del ruolo dell’arte nella sua vita si è risvegliata. Non sarà probabilmente sbagliato parlare di un “rinascimento dell’apprezzamento dell’arte”. […] È questo un crescente bisogno culturale che richiede l’utilizzo di nuove tecniche171.»

È dalle pagine della rivista ufficiale dell’Unesco che giunge l’invito a sfruttare le nuove tecniche mediali, cinema in primo luogo, per diffondere il più possibile la conoscenza delle arti, così da «adempiere a una missione splendida: quella di sviluppare nella massa l’anelito verso il bello e di affinare la sua sensibilità artistica potenziale172». La funzione primaria e per molti la migliore, se non l’unica, che il film possa svolgere è di portare l’arte a un numero di persone infinitamente maggiore di quelle che potrebbero viaggiare, visitare musei e conoscere le opere dal vivo.

«Io vorrei che un documentario sull’arte si mantenesse entro i limiti dell’illustrazione a fini didattici e non pretendesse di tentare dei lirismi o delle difficoltà critiche che male si accordano con una seria esemplificazione: […] esso dovrebbe essere un mezzo popolare di diffusione della cultura e di quel senso di dignità che l’uomo può raggiungere attraverso l’arte173.»

Ovviamente il film sull’arte, come è puntualmente ribadito, non potrà mai sostituire la visione dell’originale; ma, quanto meno per un’introduzione alla storia dell’arte, ai grandi maestri, ai capolavori, agli artisti contemporanei, la sua validità è universalmente accettata e promossa.

È necessario specificare che non tutti gli autori distinguono nettamente tra un fine divulgativo, rivolto a un pubblico generico, di ogni classe sociale, età, retroterra culturale, e un fine prettamente didattico, indirizzato invece agli studenti delle scuole superiori, delle università, delle accademie.

169 C. MOLINARI, Préface, in Le film sur l’art. Répértoire général international du film sur l’art, a cura di P. ROCCHETTI e C. MOLINARI, Neri Pozza – Istituto Internazionale del Film sull’Arte, Vicenza-Firenze 1963, p. XII.

170 [B. NICOLSON], Editorial, «The Burlington Magazine», vol. 92, n. 565, April 1950, p. 94. 171 J.P. URLIK, Films Bring Art to the People, «Le Courrier», vol. II, n. 12, 1 gennaio 1950, p. 6.

172 R. BARKAN, Cinema e pittura, «Bianco e Nero. Rassegna mensile di studi cinematografici», anno X, n. 7, luglio 1949, p. 94.

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Scrive Enzo Carli su «Cinema»:

«Non comprendo il perché di una distinzione tra documentari didattici e documentari divulgativi. Si fa un documentario didattico proprio allo scopo di divulgare delle cose che non tutti sanno e che è bene che sappiano, e un documentario divulgativo non è tale se non insegna qualcosa: altrimenti che cosa divulga? Ritengo pertanto che per fare degli utili documentari si debba innanzitutto tener presente questa identità tra didattica e divulgazione (il che forse potrebbe tradursi nella raccomandazione di evitare tanto la didattica noiosa e pedante, ad uso esclusivo delle scuole, quanto la divulgazione fatua, riservata al pubblico)174».

Gli fa eco, sulla stessa rivista, Roberto Pane, che eludendo la distinzione tra divulgazione e didattica rimarca che la qualità fondamentale di un film sull’arte è quella di contribuire, anche a livello elementare, alla conoscenza dell’opera di un artista, seppure, a ben vedere, siano ben pochi film sull’arte che documentano davvero l’arte; la maggior parte, con la scusa delle opere, affronta altri argomenti «più facilmente digeribili175».

Se le posizioni di Carli e Pane, che ne riassumono altre analoghe, possono essere condivisibili in linea generale, affrontando la questione più da vicino emerge subito l’indubbia necessità di distinguere tra film divulgativo e film didattico: cambiano la destinazione fisica delle copie e il contesto di fruizione, le esigenze degli spettatori, i temi indagati, la prospettiva e i metodi con cui affrontarli. Certamente entrambe le tipologie convergono nella categoria del film educativo, ma ciò non significa che siano assimilabili senza alcun problema come sostiene Carli. Un film destinato alla divulgazione per il pubblico generico dovrà infatti coniugare l’informazione a una certa, necessaria dose di intrattenimento; potrà fare leva su qualche aspetto più curioso per catturare l’attenzione, e non giungerà mai a un livello eccessivamente approfondito, che potrebbe risultare ostico ad alcune fasce del pubblico (proprio quelle che maggiormente necessitano una formazione culturale). Il film didattico, invece, può preoccuparsi meno di questi aspetti, e concentrarsi invece su altro: evitare qualunque approssimazione nell’analisi dell’opera, scegliere correttamente opere, artisti e temi in base ai programmi di studio, ricercare una corretta impostazione metodologica, e soprattutto il livello di linguaggio più adatto, per la fascia di studenti cui intende rivolgersi (bambini, liceali, universitari). Entrano in campo anche considerazioni tecniche: se il film divulgativo, destinato tendenzialmente alle sale, potrà essere girato in 35mm, per il film didattico viene più volte indicato come preferibile il 16mm, che ne rende più semplice la fruizione in istituti scolastici e accademici, attrezzati spesso solo con proiettori adatti a questo formato.

Nei film destinati a una divulgazione ad ampio raggio, addirittura, sono «da evitare apparati didattici troppo appariscenti176», quasi che una contaminazione tra le due forme ne infici le potenzialità. Non è solo la pedanteria didattica che il film divulgativo deve evitare per attrarre il pubblico al suo argomento, educandolo senza annoiarlo o irritarlo. Da evitare, e condannati da tutti i commentatori del genere, sono gli eccessi romantici, biografici, aneddotici imperniati sulla vita romanzata di un artista. Il rispetto dell’opera e delle sue caratteristiche espressive («non far muovere le statue, non far camminare i quadri177») rimane il criterio imprescindibile per un corretto film divulgativo, accompagnato da un commento adeguatamente competente e

174 Enzo Carli in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (2), p. 64.

175 Roberto Pane in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (3), p. 165.

176 Giulio Carlo Argan in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (1), p. 357.

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piacevole, ma non esornativo, né retorico, né inutilmente complesso. «Il rispetto dello spettatore e il rispetto dell’opera sono i due primi comandamenti di chiunque si lanci nell’impresa della divulgazione artistica178

Henri Lemaître ricollega il film divulgativo sull’arte all’importanza sempre crescente nella società moderna rivestita dai musei e dalle mostre da un lato, dai viaggi e dal turismo dall’altro. All’opposto di quanto generalmente indicato, ossia che il documentario d’arte non deve assolutamente assumere funzione di propaganda turistica (cosa che invece spesso, e si direbbe talvolta quasi inevitabilmente, accade), Lemaître afferma esplicitamente che esso «non sarà il concorrente né del museo né del viaggio; non avrà al contrario assolto al suo compito se non quando avrà moltiplicato il numero di viaggiatori e visitatori dei musei179». Individua quindi due funzioni principali nel film divulgativo: può essere strumento di iniziazione all’arte oppure strumento di conoscenza approfondita dell’arte, senza che tra le due funzioni sussista contraddizione. Nel primo caso non proporrà un’interpretazione dell’opera o dell’artista in esame, ma una semplice presentazione, il più neutra ed oggettiva possibile, evitando di scivolare nel pittoresco, nel reportage giornalistico, nell’intrattenimento frivolo. Nel secondo caso, presupponendo nel pubblico una conoscenza preliminare del tema trattato, il film condurrà invece una vera interpretazione del suo oggetto artistico, sotto forma di un esame più disteso e approfondito, fino ai limiti del film critico sull’arte. In entrambi i casi, però, il documentario esercita anzitutto una forte funzione di orientamento sul pubblico, indirizzando e rafforzando una specifica ricezione e interpretazione dell’arte proposta: di questa funzione, particolarmente rilevante nel caso di un pubblico non munito di strumenti critici e dunque predisposto a recepire e accogliere pedissequamente ciò che il film gli offrirà, il regista deve essere sempre consapevole, possibilmente cercando di adattarsi, nei limiti del possibile, alla psicologia collettiva del pubblico e senza mai venire meno al rigore e alla serietà che il compito divulgativo, quale che sia il mezzo con cui è realizzato, implica in sé.

L’obbiettivo principale resta quello non solo di educare gli spettatori, ma di far sorgere in essi la volontà di avvicinarsi agli originali e all’arte in generale. Lionello Venturi utilizza l’illuminante metafora del romanzo storico:

«[il film divulgativo] non può comunque mirare a una precisazione critica, ma soltanto a un’evocazione di atmosfere culturali, capaci di risvegliare interesse e adesione nello spettatore. A questo proposito si può fare un’analogia tra il documentario d’arte “divulgativo” e il cosiddetto romanzo storico, genere letterario cui ovviamente nessuno penserà di attingere una severa informazione storica ma capace tuttavia di suscitare nel lettore un interesse, un gusto, una possibilità di avvicinamento all’opera d’arte che probabilmente, senza quell’incentivo, non si sarebbe mai verificata180».

Per compiere quest’operazione il film sull’arte non deve temere di ricondurre all’attualità l’opera o l’artista che presenta, andando a individuare quei valori di universalità che contiene, così da attrarre e appassionare il pubblico non specialistico.

«Per i documentari divulgativi mi sembra che il criterio fondamentale da osservare sarebbe quello di cogliere l’aspetto più attuale e il problema più universale e più vivo che una data opera presenta. I commenti cosiddetti “estetici” scocciano tutti e sono assolutamente inutili […]; i problemi tecnici e quelli di cronologia, di attribuzioni ecc.

178 H. LEMAITRE, Beaux-Arts et Cinéma, p. 117. 179 IVI, p. 118.

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interessano solo i critici di mestiere e i commercianti […], che non sono il pubblico. Qualunque momento della storia dell’arte, dal Paleolitico a Picasso, offre, invece, degli spunti che possono interessare il pubblico, perché possono riferirsi a situazioni vive che il pubblico conosce e sulle quali è facile attirare la sua attenzione con pochi accenni, ponendo in risalto il legame dell’opera d’arte con la società del proprio tempo. Con tale criterio si potrà riuscire non certo a impartire al pubblico una lezione di estetica crociana (il che sembra sia l’unico scopo di certuni); ma qualche cosa di più, cioè un vivo contatto con un’opera d’arte, e quindi una esperienza culturale viva; e quindi feconda181.»

Di cinema come strumento didattico al servizio della storia dell’arte, nella più vasta cornice del cinema culturale ed educativo, si comincia già a discutere negli anni Trenta, tanto in ambito italiano quanto francese e anglosassone182. L’utilizzo del cinema come mezzo ausiliario in ambito scolastico e universitario appare, nel dopoguerra, ancora più inevitabile: «quasi sconosciuta fino ad oggi, l’irruzione del cinema nelle accademie, in tutte le scuole d’arte è fatale. Non teniamo il broncio; accogliamola, organizziamola in piena lucidità. Uno schermo e una riserva di film speciali sono indispensabili in tutti i luoghi in cui si insegnano la proporzione, l’espressione, la bellezza, la composizione il gesto creatore183».

In un decennio come gli anni Cinquanta fortemente impegnato nello studio degli effetti del cinema sulla psicologia dello spettatore (basti pensare ai numerosi studi condotti a riguardo in ambito filmologico in Italia e Francia184) non sorprende rilevare che sia stabilmente assegnato al film il ruolo di strumento pedagogico più adeguato per l’arte.

Entrato ormai nella «civiltà dell’immagine», nella quale il ruolo delle arti visive diviene sempre più centrale, «lo spirito umano vede le strutture psicologiche stesse modificate da questa universale invasione dell’immagine, che è uno dei tratti distintivi della cultura moderna185». L’uomo del XX secolo, sempre più caratterizzato da uno spirito intimamente filmico, è anzitutto spettatore prima che lettore, e ciò vale specialmente per le giovani generazioni. Sarà dunque andando ad assecondare e a sfruttare questo cambiamento nelle modalità percettive e d’apprendimento, e non contrastandolo, che si avranno maggiori chance di avvicinare bambini e ragazzi all’arte. «Poiché il merito dell’immagine è che veicola nell’istantaneità un mondo che la lettura impiega molto più tempo a esplorare; […] l’uomo moderno, e anche il bambino, hanno acquisito abitudini e strutture psicologiche che favoriscono su di essi l’azione dell’immagine, la sua efficacia e rapidità186».

181 Ranuccio Bianchi Bandinelli in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (3), pp. 163-164.

182 Limitandomi a un solo anno, il 1934, ricordo l’articolo di M. MENEGHINI, La pellicule de l’enseignement

artistique, in Cinéma et enseignement, Istituto internazionale della cinematografia educativa, Roma 1934; in

Francia è uno storico dell’arte del calibro di Henri FOCILLON a inaugurare la riflessione con Note sur le

cinématographe et l’enseignement des arts, «Bulletin de l'office international des instituts d'archéologie et

d'histoire de l'art», vol.1, n.1, 1934. pp. 42-45; in Inghilterra compare un primo intervento sull’utilità dei film nelle accademie di belle arti con R. RADCLIFF CARTER, The Film in Art Education, «Sight and Sound», vol. 3, n. 12, Winter 1934.

183 P. HAESAERTS, Art plastique et Cinéma, «L’Amour de l’Arts», nuova serie, anno IX, n. 37-38-39, 1949, p. 37.

184 Si vedano i molti articoli teorici e i resoconti degli esperimenti condotti attorno al rapporto tra psiche infantile e visione cinematografica riportati sulla «Révue de Filmologie». Per inquadrare il fenomeno filmologico nel suo complesso rimando invece al numero speciale a cura di F. ALBERA, M. LEFEBVRE (a cura di), Filmologie: le

retour?, «Cinémas: revue d’études cinématographiques», vol. 19, no 2-3, 2009. 185 H. LEMAITRE, Beaux-Arts et Cinéma, pp. 106-107.

186 IVI, p. 109. A conclusioni analoghe era giunto anche Léon MOUSSINAC in una conferenza tenuta qualche anno prima presso la Société Française de Pédagogie, su invito di Henri Wallon, poi pubblicata come Le cinéma et de

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Se, come afferma Pierre Francastel, sul valore didattico del film per la storia dell’arte l’accordo è unanime187, diversamente accade riguardo alle forme e alle metodologie che dovrebbe adottare. Bisognerà anzitutto distinguere secondo il livello e la tipologia di istruzione: per il bambino, è importante che si solleciti il senso della meraviglia e della scoperta di fronte all’arte, e che questo avvenga tramite un’esperienza che si radichi con forza e stabilità nella psiche, sulla quale si potrà in seguito costruire una vera e propria istruzione artistica. Il film, con il suo potere suggestivo, rappresenta il mezzo ideale a tal fine188. Per le scuole superiori, si distinguerà invece tra licei ordinari, che necessitano di film volti a fornire un’iniziazione generale ma accurata all’arte, e istituti tecnici, nei quali saranno utili filmati che illustrino procedimenti pratici in tutti i loro passaggi. In ambito universitario, infine, i film dovranno auspicabilmente raggiungere il livello critico adeguato all’ambiente della ricerca accademica, divenendo anche uno strumento concreto a disposizione degli studenti per i loro progetti di studio.

L’aspetto più significativo dei film didattici, pensati appositamente per la scuola e l’università, è che essi consentiranno non solo di educare all’arte gli allievi, ma anche di formare un pubblico abituato e ben disposto nei confronti del film sull’arte, preparando il terreno allo sviluppo anche delle altre tipologie di documentari d’arte189. Questa produzione, che, visto il target specifico cui si rivolge, ha bisogno di particolari attenzioni in tutte le fasi di realizzazione, dall’ideazione alla distribuzione, stenta però a prendere piede:

«Attualmente, è difficile trovare tra i film educativi e culturali un numero elevato di film che trattino l’Arte. Senza dubbio, è stato naturale che gli educatori abbiano concentrato la loro attenzione sui temi offerti dalle scienze naturali. Tuttavia, la contemplazione delle opere d’arte offre al cinema delle possibilità la cui realizzazione sarebbe estremamente importante190».

Il rigore richiesto a questi film è maggiore rispetto a quelli genericamente divulgativi: per Bianchi Bandinelli il film didattico deve essere essenzialmente «un’edizione critica» dell’opera d’arte esattamente come, per lo studio delle opere letterarie, si utilizzano edizioni critiche del testo191; per Achille Bertini Calosso il documentario didattico deve attestarsi su un livello alto, non meramente contenutistico ma che inquadri con confronti serrati l’opera nella corrente artistica e nel suo contesto storico192. Per Argan, che sottolinea la profonda divergenza tra la semplice divulgazione e l’uso didattico e pedagogico del film, questo dovrebbe essere «un film sul quale si possa studiare come un libro» e negli istituti superiori d’istruzione artistica «interi corsi potrebbero essere sviluppati sulla base di film appositamente prodotti; […] tuttavia – aggiunge – non credo ad una possibilità di larga applicazione, poiché i processi stessi della ripresa impongono al film un carattere interpretativo che troppo facilmente interferirebbe con

la projection fixe dans l’enseignement de l’histoire de l’art, «Image et son. Revue du cinéma», n. 1, 1954, pp.

4-7.

187 P. FRANCASTEL, Le point de vue d’un pédagogue, p. 15. A dire il vero, quasi unanime: una delle rare voci in disaccordo su questo punto è rappresentata da Lionello Venturi, per il quale «di un documentario d’arte didattico, a rigore, non si può parlare. La rapidità stessa di successione delle immagini di un cortometraggio impedisce quella puntuale e attenta osservazione dell’oggetto dell’indagine che è necessaria all’analisi critica». Lionello Venturi in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (2), p. 62.

188 H. LEMAITRE, Beaux-Arts et Cinéma, p. 110.

189 P. FRANCASTEL, Le point de vue d’un pédagogue, p. 18. 190 C. LAMB, L’œuvre d’art et le cinéma, p. 3.

191 Ranuccio Bianchi Bandinelli in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (3), pp. 163.

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l’interpretazione del docente193». Il tema dell’incompatibilità tra la lettura presentata dal film e quella veicolata del docente è una questione di non secondaria importanza, tanto da spingere Valerio Mariani a proporre che il film didattico sull’arte sia privo di commento: non solo questo agevolerebbe gli scambi di pellicole tra paesi diversi, ma consentirebbe all’insegnante di intervenire liberamente sulle immagini un po’ alla maniera degli imbonitori del cinema muto, così da poter modellare il commento, svolto dal vivo, sulle esigenze didattiche della classe194.

Sull’uso didattico del film sulle arti il dibattito è particolarmente stimolante anche in ambito americano: non è certo un caso, se si tiene presente che tra gli anni Cinquanta e i Sessanta gli Stati Uniti sono tra i maggiori produttori mondiali di film sull’arte, ma gran parte di questa produzione è costituita dai cosiddetti how to do films: pellicole che illustrano processi tecnici o creativi (dalla serigrafia al modellato, dalla fusione del bronzo al disegno a carboncino), a supporto degli insegnamenti in istituti d’arte e accademie e considerati la vera e propria “specialità” americana nel campo.

L’alto numero di studenti che affollano i corsi propedeutici di storia dell’arte nei grandi college della East Coast porta rapidamente a introdurre, in alcuni di essi, il metodo delle proiezioni cinematografiche in sostituzioni delle lezioni frontali. Sono tentativi che non vanno a buon fine se, ancora nel 1963, presentando il caso di un grande college dell’area metropolitana di New York che aveva sperimentato il passaggio da un corso tradizionale a una serie di visioni filmiche, Beatrice Farwell ammette che «questo programma non ha apparentemente risolto i problemi, dal momento che il corso introduttivo è stato reinserito dall’anno prossimo». E prosegue:

«I film possono essere una meravigliosa miniera d’oro per scuole e località dove insegnanti qualificati e opere d’arte sono scarsi. Ma l’insegnante qualificato di storia dell’arte preferisce di norma fare la propria presentazione con il mezzo relativamente economico e flessibile delle diapositive. Un film tra quelli disponibili su un qualunque soggetto è a tal punto probabile che fallisca di fronte alle sue competenze, specialmente in materia di accuratezza dell’informazione, che molti film sono considerati peggio che inutili, nonostante possano essere buoni come film. Ciò è dovuto al fatto che l’impulso a realizzare film sull’arte proviene quasi interamente dal cineasta, che raramente ha un budget tale da poter includere i costi di consultazione di un professionista. I professionisti dell’arte, d’altro canto, di norma falliscono miseramente per mancanza di conoscenza del mestiere di regista cinematografico195».

Nel decennio precedente, la situazione non si presentava migliore: nel suo resoconto personale sulle difficoltà di organizzare, all’Indiana University, corsi di storia dell’arte supportati da un programma di proiezioni cinematografiche continue e ben articolate, e non sporadicamente offerte agli studenti senza reale connessione con il programma di studi – poiché, in tal caso, l’efficacia del film va a perdersi196 – Francis Bolen dà anche preziosi

193 Giulio Carlo Argan in M.GANDIN,M.MAZZOCCHI,Cosa pensano del cinema (1), p. 356-357.

194 V.MARIANI,Aspetti didattici del film sull’arte, «Film. Rassegna internazionale di critica cinematografica»,