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«Niente è più ingannevole di questa espressione (film d’arte) che, come quella di “nouvelle vague”, di “avanguardia” o di “cinéma-vérité” è un’etichetta di comodo che si può incollare dappertutto e che in fin dei conti non vuol dire nulla.» (François Porcile) 126 Film e arte appaiono inconciliabili fin dalla relazione grammaticale.

Quale preposizione dovrebbe unire questi due elementi? Sembrerebbe un problema marginale, mentre in realtà nasconde la complessa diatriba sulla possibile definizione di questo genere cinematografico. La scelta di un semplice elemento linguistico implica già una precisa indicazione d’intenti, l’adesione a una certa visione del rapporto tra i due termini che accorda predominanza all’uno o all’altro, o ancora un’implicita sistemazione concettuale delle sottocategorie del film legato alle arti.

La ricerca di una definizione condivisa e soddisfacente è un problema che tiene banco soprattutto nei primissimi anni dello sviluppo del film sull’arte e del dibattito su di esso; come generalmente accade, l’ansia definitoria attorno a un nuovo fenomeno si accompagna a un’effettiva difficoltà nel racchiudere entro confini certi un oggetto sfuggente e multiforme, ancora in piena evoluzione: «quando un campo è nuovo, c’è un’inevitabile tendenza ad ammassare insieme tutto quello che è legato ad esso127».

Che il problema sia reale e sia distintamente avvertito ne è prova il fatto che la Fédération Internationale du Film d’Art (FIFA)128, fondata a Parigi nel 1948, impiega due anni per decidere se adottare nella propria denominazione la formula “film d’art” o “film sur l’art”. La pilatesca decisione finale è di adottare “film d’art”, ma di lasciare al contempo i membri della federazione liberi di utilizzare a proprio piacimenti l’una o l’altra espressione.

«Non è stato ancora possibile raggiungere un unanime accordo se, in francese, si debba usare l’espressione “film sur l’art” o l’espressione “film d’art”. La prima è più esplicita, la seconda più eufonica. È una scelta ardua davanti alla quale i più metodici pensatori esiterebbero. La Fédération International du Film d’Art ha impiegato due anni per decider il proprio nome e consente ai membri affiliati di usarli entrambi129.»

In francese come anche in italiano la differenza tra film d’arte e film sull’arte è significativa, in particolare perché l’uso della prima espressione si presta a maggiori ambiguità e tende ad allargare il campo a categorie diverse rispetto al semplice documentario con oggetto un’opera

125 IBIDEM.

126 F. PORCILE, Défense du court métrage, Editions du Cerf, Parigi 1965, p. 131.

127 A. KNIGHT, A Short History of Art Film, in W.McK. CHAPMAN (a cura di), Films on Art, The American Federation of Arts, New York 1952, p. 6.

128 Sul contesto istituzionale, cfr. il capitolo IV. 129 F. BOLEN, Films and the Visual Arts, p. 3.

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d’arte plastica. Più complessa ancora la situazione in inglese dove l’utilizzo assolutamente non regolato tra “art film” e “film on art” genera confusione. «Gli americani e gli inglesi si confrontano con lo stesso problema: la maggioranza dei primi è favorevole ad “art film”, mentre i secondi preferiscono “film on art”130.» “Art film”, specie negli Stati Uniti, è però una categoria che a partire dal dopoguerra raccoglie qualunque film di carattere genericamente artistico: dai film sperimentali a quelli sulle arti, fino ai film che nel contesto europeo sono definiti d’autore. Il minimo comun denominatore di queste opere disparate è la provenienza europea e l’essere generalmente proiettati al di fuori del circuito commerciale, in circoli cinefili e sale d’essai (denominate appunto art houses) concentrate nelle città culturalmente più avanzate (New York, Chicago, San Francisco, Boston, Philadelphia) o in prestigiosi centri universitari. Nella categoria onnicomprensiva di “art film” possono così confluire i film d’animazione del canadese Norman McLaren, le opere sperimentali di Maya Deren o Chris Marker, quelle dell’avanguardia storica come Ballet Mécanique, i film sull’arte di Emmer o Resnais, e ancora film autoriali, rigorosamente stranieri, come La corazzata Potëmkin, Metropolis, Roma città aperta, Au hasard Balthazar o 8½131.

Tornando in Europa, alla scelta della corretta denominazione è strettamente connesso il tentativo di enucleare una definizione universalmente valida di film sull’arte (o d’arte). Già in occasione del Congresso internazionale di Bruxelles del 1950, la FIFA ne stila una: «Per film d’arte bisogna intendere i film che contribuiscono alla conoscenza, allo studio e alla diffusione di tutte le branche dell’arte132». È ovviamente inevitabile, in una definizione ad ampio raggio, una certa dose di genericità; tuttavia, l’espressione “tutte le branche dell’arte” risulta fin troppo vaga e apre a innumerevoli possibilità e forme artistiche, che infatti entreranno nei due decenni successivi nell’orbita delle attività e delle pubblicazioni della Fédération: film sulla musica, l’opera, il teatro, il mimo, la danza, addirittura il folklore.

Alcuni autori avvertono quindi il bisogno di un restringimento del campo d’azione, limitando l’attenzione alle arti figurative, ma accolgono entrambe le espressioni, film sull’arte e film d’arte, facendo dei sottili distinguo tra le diverse declinazioni che il documentario d’arte può assumere. Sulle stesse pagine di «Le Courrier» Francis Bolen rileva come già al Congresso di Bruxelles l’uso dell’una o dell’altra era indizio nell’utilizzatore di una precisa idea di film sull’arte: «Secondo alcuni il film deve limitarsi strettamente ad un ruolo didattico al servizio dell’opera d’arte; secondo altri è permesso al cineasta il diritto a un’interpretazione personale e a servirsi dell’opera d’arte per nuovi fini133». Si tratta della distinzione fondamentale che, variamente reinterpretata, continuerà a essere riproposta dalla maggioranza degli autori. Il film sull’arte implicherebbe un ruolo di sudditanza totale del medium all’arte presentata, volto a un fine strettamente illustrativo o didattico; il film d’arte prevede invece la possibilità di esprimersi creativamente a partire da un’opera d’arte, e il suo scopo principale è produrre un film espressivamente valido, un’opera d’arte cinematografica. La categoria si avvicina insomma moltissimo all’art film americano e può dunque includere, potenzialmente, film di finzione, film sperimentali, astratti, d’animazione.

Theodore Bowie torna nuovamente sull’argomento dalle pagine di «SeleArte»:

130 IBIDEM.

131 «Naturalmente l’arte implicata è l’arte del film, non l’arte nei suoi aspetti più tradizionali. Si ritiene che i film stranieri siano più “artistici” dei nostri varietà domestici.» A. KNIGHT, A Short History of Art Film, p. 6.

132 F.N. BOLEN, Film sur l‘art ou film d’art?, «Le Courrier», vol. III, n.3, 1 aprile 1950, p. 11. 133 IBIDEM.

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«C’è una differenza tra il termine “film d’arte” e “film sull’arte”: se usiamo “film d’arte” indiscriminatamente a proposito dell’Alessandro Nevski di Eisenstein, del Titano di Oertel, o del Fiddle De Dee di McLaren, poche persone sapranno quali elementi artistici questi tre films hanno in comune, ma la grande maggioranza resterà confusa. Perciò “film d’arte” è di solito riservato per quei films – in gran parte stranieri – che sono artistici nel senso lato della parola, ma non concernono direttamente le arti figurative in quanto tali134».

Propone poi una definizione piuttosto accurata: «Il film sull’arte, dunque, si preoccupa della descrizione, dimostrazione, analisi o interpretazione di opere esistenti di pittura, scultura, architettura, delle varie arti tecniche correlative, viste storicamente, biograficamente, tecnicamente, culturalmente, entro un contesto filosofico, lirico, satirico, propagandistico o puramente pedagogico135». Sono escluse tutte le arti non prettamente figurative; è escluso qualsiasi rimando a intenti creativi, difficilmente quantificabili e valutabili. Il focus è sulla capacità di penetrare, più o meno analiticamente, l’essenza dell’opera attraverso il film. Ancora più stringato, e più efficace, era stato Lauro Venturi due anni prima, quando, dopo aver anch’egli rilevato la confusione (specie in ambito anglosassone) tra avanguardia, documentario, sperimentalismo e film d’autore era giunto a constatare che «film sull’arte dovrebbe perciò arrivare a significare: film che trattano di belle arti – pittura, incisione, disegno, scultura, architettura e tutti i loro derivati136». La definizione di Venturi si accorda e si completa con quella data da Jean Quéval su «Sight and Sound», secondo il quale «i film sulle belle arti – pittura, scultura, archeologia e architettura – sono film solo in seconda battuta. Trovano il loro materiale in altri media, e restano subordinati a opere già esistenti e di diversa natura. Ma ciò non implica che questi film escludano necessariamente seri tentativi di ricreazione137».

La distinzione tra film sull’arte e film d’arte rimane comunque aperta a ogni genere di interpretazione: Gillo Dorfles, per esempio, dopo aver specificato che né l’una né l’altra espressione possa applicarsi a film genericamente “artistici”, fa slittare la distinzione all’interno delle sottocategorie nelle quali il genere viene di volta in volta scomposto e classificato: i film sull’arte risponderebbero a un’istanza di didattica e di critica delle arti a mezzo del cinematografo, e dunque non hanno obblighi di ricercare «né l’efficacia commerciale […] né quella filmica vera e propria, dovendo essere considerati quali docili e del resto utilissimi strumenti d’insegnamento138»; dall’altra parte, i film d’arte sarebbero invece «documentari d’argomento artistico, maggiormente divulgativi e destinati a un ampio pubblico, che devono essere creati con un linguaggio piuttosto filmico che plastico e rispondere ai requisiti comuni a tutti i documentari per essere proiettabili come “avanspettacolo” in una sala pubblica139».

La distinzione operata da Dorfles indica come, al di là della ricerca di una definizione generale, l’altro sforzo preponderante nel dibattito speculativo sia quello della classificazione interna del genere, di una sistemazione il più possibile chiara e definita delle sottocategorie del film sull’arte. Non c’è praticamente autore che non sia toccato da quest’ansia di catalogazione. Ogni scritto propone una propria tassonomia, un albero concettuale che a partire dal tronco del film sull’arte si suddivide in rami sempre più definiti e sottili.

134 T. R. BOWIE, Film sull’arte, «SeleArte. Rivista bimestrale di cultura selezione informazione artistica internazionale», anno III, n. 16, gennaio-febbraio 1955, p. 10.

135 IBIDEM.

136 L. VENTURI, Films on Art: An Attempt at Classification, «The Quarterly of Film, Radio and Television», Vol. VII, n. 4 (Summer, 1953), p. 386.

137 J. QUÉVAL, Film and fine Arts, «Sight and Sound», vol. XVIII, gennaio 1950, p. 33. 138 G. DORFLES, Linguaggio filmico e linguaggio plastico nel film sull’arte, p. 44. 139 IBIDEM.

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Compiendo una rapida carrellata tra alcune proposte, una delle prime classificazioni è già esposta alla conferenza FIFA di Parigi del 1948 ad opera di Pierre Francastel, che nel suo breve intervento distingue tra film pittoreschi, film documentari, film storici e film educativi140. L’anno successivo Arthur Knight propone una suddivisione in film sulle tecniche d’arte, film sull’opera individuale dell’artista, film che tentano di interpretare un’opera d’arte141. Entrambi gli autori danno per scontata una finalità generale prettamente educativa del film sull’arte. Simile, seppure più inclusiva, la proposta di Francis Bolen che differenzia tra «film che tentano un’analisi scientifica dell’opera d’arte, film che puntano a una sintesi del lavoro di un artista, film che gettano luce sul metodo e le tecniche di un artista, film che trascrivono o interpretano l’opera d’arte, film sperimentali142».

Paul Haesaerts rimarrà nel corso degli anni fedele a una categorizzazione da lui proposta già alla fine degli anni Quaranta, composta da aneddoto, analisi critica, presentazione lirica143. Qualcuno si orienta su un criterio basato sul diverso “sfruttamento” dell’opera d’arte da parte del film. In questo modo Lauro Venturi distingue tra «1. film per i quali le opere d’arte sono realizzate espressamente [come l’animazione]; 2. film che trattano prevalentemente o esclusivamente il contenuto narrativo di opere d’arte già esistenti; 3. film che trattano aspetti storici, critici o tecnici dell’arte e degli artisti; 4. film in cui le opera d’arte sono pretesto per qualcos’altro144». Non manca chi ordina i film secondo l’attitudine e il ruolo che il realizzatore assume: narratore dell’opera d’arte, psicanalista del pittore, storico dell’arte, iconografo, documentarista puro145.

Il rischio della proliferazione incontrollata delle categorie è sempre dietro l’angolo, come avviene sul catalogo FIFA del 1951 dove compare una fumosa tassonomia strutturata in sei gruppi e in grado di includere i film più diversi, dai cartoni animati alle pellicole dada degli anni Venti fino al documentario critico146. Alla fine degli anni Cinquanta, le categorizzazioni si fanno sempre più complesse (e dunque meno chiare e funzionali) come avviene nel saggio di Thomas Milani su «La Biennale di Venezia», che assume un’ottica “metodologica” per distinguere le tipologie di film sull’arte147. O ancora, nell’ampia disamina del genere condotta da François Porcile nel suo studio del cortometraggio148, sono individuate ben nove classi di film sull’arte, alcune di esse ulteriormente divise in sottoclassi. Questa continua, a tratti sclerotizzata germinazione di categorie sempre più specifiche, con conseguente difficoltà di inserimento del singolo film nell’una o nell’altra, procede parallela alla moltiplicazione delle

140 P. FRANCASTEL, The Art Film and Teaching, p. 7.

141 A. KNIGHT, Le film sur l’art aux Etats-Unis, in Le film sur l’art, numero speciale di «Les Arts Plastiques», n. 1-2, gennaio-febbraio 1949, Editions de la Connaissance, Bruxelles 1949, p. 46.

142 F. BOLEN, Films and the Visual Arts, p. 7.

143 P.HAESAERTS,La critica e la storia dell’arte per mezzo del cinema, p. 219.

144 L. VENTURI, Films on Art: An Attempt at Classification, p. 385-391.

145 M.T. PONCET, Peinture et mouvement, «Cinéma Educatif et Culturel», n. 5, 1953, pp. 16-17.

146 Queste le sei categorie: 1) interpretazione drammatica o epica del contenuto narrativo dell’opera; 2) biografia dell’artista; 3) analisi storico-critica dell’opera; 4) artista al lavoro; 5) film sperimentale e d’avanguardia; 6) interpretazione fedele dell’opera attraverso il linguaggio filmico. J.P. HODIN, Deux films anglais, in Le film sur

l’art. Bilan 1950, pp. 20-22.

147 Milani distingue a seconda che il film risponda a 1) metodo dell’analisi scientifica; 2) metodo dell’analisi tecnica; 3) metodo dell’analisi narrativa; 4) metodo della sintesi dell’opera; 5) metodo della sintesi regionale o temporale; 6) metodo della sintesi biografico o storica 7) metodo della sintesi didattica; 8) metodo sperimentale. T.MILANI, Vie del film sull’arte, «La Biennale di Venezia. Rivista dell’Ente Autonomo “La Biennale di Venezia”. Arte / cinema / musica / teatro», anno IX, n. 34, gennaio-marzo 1959, pp. 38-39.

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categorie di presentazione nei festival del film sull’arte di Bergamo e Venezia149. Se da una parte ciò è funzionale a una sempre maggior inclusione di nuove tipologie all’interno del calderone film sull’arte, dall’altra questa esasperata frammentazione del panorama impedisce, o quantomeno intralcia, la visione e la comprensione del quadro d’insieme nella sua complessità e nella sua evoluzione.

Sottoponendo a un esame sinottico questa mole di varie proposte di ordinamento, è tuttavia possibile intravvedere un principio dominante adottato da gran parte degli autori, seppure declinato in differenti declinazioni, talvolta risolto in specificazioni ridondanti, talaltra nascosto da etichette fantasiose. Non tanto il tipo di opera esaminata né la metodologia impiegata, ma la funzione del film è considerato l’elemento classificatorio perfetto. Vengono così a delinearsi quattro gruppi maggiori: la “cinedrammatizzazione”, la divulgazione, la didattica vera e propria, infine la critica d’arte realizzata attraverso il film. Si tratta di categorie ovviamente interdipendenti e osmotiche: non è raro che lo stesso film possa essere incluso in più d’una di esse, e anzi un ottimo film sull’arte dovrebbe riuscire a soddisfare i requisiti di tutte e quattro. Proprio per questo, come si vedrà nel caso del film divulgativo e del film didattico, non sempre è facile tracciare una netta distinzione tra di esse. Una simile sistemazione concettuale implica che l’autore del documentario operi, a monte della realizzazione del film, una preventiva e precisa scelta delle finalità del suo film e di conseguenza del pubblico al quale rivolgersi: generico, di studenti, accademico o di addetti ai lavori. È un’indicazione preziosa da più autori ribadita: «La natura del medium filmico forza il regista che desidera sussumere un’opera d’arte nel suo film a decidere, anzitutto, il suo fine esatto150».