• Non ci sono risultati.

Parallelamente alle prime produzioni di documentari d’arte sonori, prodotti attorno alla metà degli anni Trenta in Italia, Belgio, Germania e Francia, anche la riflessione teorica conosce i primi contributi. Si tratta di episodi ancora isolati e che tuttavia toccano, in maniera seppur abbozzata, gran parte dei temi che nel dopoguerra saranno ampiamente dibattuti e analizzati.

La riflessione sui rapporti tra cinema e arti figurative dell’epoca è dominata dall’esigenza di legittimare il carattere artistico del cinema, attraverso la consueta tematizzazione del “paragone delle arti” e ricorrendo in particolare a un serrato confronto tra pittura e film in grado di rilevare la forte influenza della prima sul secondo5. Dimostrare l’esistenza di uno stretto legame, quasi di una filiazione, del cinema con le arti plastiche – e, per altri versi, con la musica, la letteratura o il teatro – è un passo fondamentale per poterlo annoverare tra le forme espressive, emancipandolo dalle etichette di prodotto industriale o di mero intrattenimento: uno sforzo iniziato sotto varie forme fin dagli anni Dieci, ma che l’avvento della tecnologia sonora aveva drasticamente riproposto e rinnovato.

In uno di questi testi possiamo individuare, specie per quanto concerna l’ambito italiano, il punto di avvio della riflessione sulla relazione tra cinema e opere d’arte, sia per la sua profondità concettuale, sia per la risonanza e l’importanza che assunse nei decenni successivi. Nel 1933, in Cinematografo rigoroso6, Carlo Ludovico Ragghianti dichiara perentoriamente «il valore sostanzialmente visivo proprio dell’espressione cinematografica. Valore visivo non dissimile, anzi della stessa natura di quello in cui si realizza un’opera di scultura o di pittura. Il cinema è “arte figurativa”, senz’altro. Né più, né meno7». Rispetto dunque all’idea di una discendenza del film dalla letteratura, per il suo carattere tendenzialmente narrativo, o dalla musica, per via della componente ritmico-temporale, Ragghianti ne individua l’essenza profonda nella

5 Si vedano, a titolo di esempio e per restare in Italia, A. CONSIGLIO, Cinema: arte e linguaggio, Hoepli, Milano 1936; V. COLLINA, Il cinema e le altre arti, Fratelli Lega, Faenza 1936; E. DELLA PURA, Elevare il cinema al

rango della pittura, «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», vol. II, anno VI, fasc. 131, 10

dicembre 1941; L. DE LIBERO, Il cinema come storia della pittura, «Bianco e Nero. Rassegna di arte, critica e tecnica del film», anno VI, n.1, gennaio 1942; infine il lungo intervento di Domenico PURIFICATO su cinema e pittura apparso in più puntate su «Cinema» nel 1940 e riprodotto in Il cinema dei pittori. Le arti e il cinema

italiano 1940-1980, a cura di F. GALLUZZI [catalogo della mostra, Centro per l’Arte Diego Martelli – Castello Pasquini, Castiglioncello, 14 luglio – 4 novembre 2007], Skirà, Milano 2007, pp. 198-220, già richiamato nel capitolo I.

6 C.L. RAGGHIANTI, Cinematografo rigoroso, «Cine-convegno», anno I, n. IX, 25 giugno 1933, poi in ID.,

Cinema arte figurativa, Einaudi, Torino 1952, seconda edizione aggiornata 1957. Sulla riflessione di Ragghianti

sul cinema si vedano i contributi contenuti in M. SCOTINI (a cura di), Carlo Ludovico Ragghianti e il carattere

cinematografico della visione [catalogo della mostra, Fondazione Ragghianti, Lucca, 28 novembre 1999 – 30

gennaio 2000], Charta, Milano 2000 e V.MARTORANO, Percorsi della visione. Ragghianti e l’estetica del

cinema, Franco Angeli, Milano 2011.

85

figuratività, realizzata attraverso una particolare tecnica nella quale è però possibile infondere la traccia di un’azione creatrice, di una personalità autoriale, rendendola così techné, ars:

«Parimenti, anche nel cinematografo, o si parla di mera tecnica […], o, parlando d’arte, bisogna continuamente e necessariamente riferirsi a una espressione in cui sia risolta o identificata quella tecnica, che ormai non ci interessa più come tale, mentre invece cerchiamo di comprendere il processo ideale, l’attività sentimentale e umana che di sé l’ha informata. E così non possiamo fare a meno di considerare, come sempre che si parli d’arte, una personalità8.»

Il cinema deve dunque essere annoverato senza dubbio all’interno delle arti figurative9: «Così, riguardo al cinematografo, rispetto alle altre arti plastiche, ciò che si deve anzitutto tener ferma e presente è la loro identità fondamentale di arti figurative10». Ciò che lo differenzia da pittura, scultura o architettura è il valore temporale, ossia un concetto e un senso del tempo inteso come “durata” che fin dall’Impressionismo si fa strada sempre più perentoriamente nei movimenti pittorici, esplodendo infine nelle avanguardie del primo Novecento, e che al contempo si estrinseca nel nuovo medium. Il cinematografo «ha appunto la proprietà di giovarsi dello spazio (valori figurativi) distribuendolo, organizzandolo in una serie temporale11», creando così un «innesto di spazio-tempo» che è l’elemento generatore di tutti i possibili effetti (di suggestione, evocazione, analogia, ragionamento) sullo spettatore. È chiaro che ponendo un’identità per così dire “genetica” tra arti plastiche e cinema, entrambi rientranti nella più vasta classe delle arti figurative, Ragghianti pone anche un’indispensabile base per immaginare non solo un confronto teorico, ma anche un incontro reale tra di esse: quello della macchina da presa di fronte all’opera. D’altra parte, l’espressione da lui individuata per il cinema come «svolgimento di valori formali nel tempo12» non riassume già, in nuce, il principio costitutivo del film critico che l’autore svilupperà nel dopoguerra? Sebbene dunque Cinematografo rigoroso non tratti esplicitamente di documentari d’arte, ma anzi sia per lo più dedicato ad analisi di lungometraggi di finzione, le sue indicazioni assicurano solide fondamenta alle nascenti riflessioni sul film sull’arte.

Fino al termine del conflitto mondiale esse sono ancora poco numerose, e si limitano anzi a una manciata di articoli. Il contributo maggiore arriva da Paul Heilbronner13: se Il cinema come arte figurativa14 permane ancora nell’ambito della speculazione sui rapporti astratti tra cinema e pittura (con evidente debito ragghiantiano), il precedente Cinema documentario: il film e le belle arti15 affronta esplicitamente il problema della ripresa delle opere artistiche. Il successivo Cinematografando le opere d’arte16 è invece il resoconto – ricco di osservazioni su problemi concreti ingegnosamente risolti – della realizzazione di un documentario d’arte su alcuni

8 IVI, p. 48.

9 Sulle implicazioni estetiche dell’aggettivo “figurativo”, si vedano le osservazioni di Ragghianti contenute in

Una divulgazione del cinema come arte figurativa e del critofilm d’arte, «Critica d’arte», anno III, n. 16,

luglio-agosto 1956, poi in Cinema arte figurativa, in particolare pp. 299-301. 10 C.L. RAGGHIANTI, Cinema arte figurativa, p. 46.

11 IVI, p. 65. 12 IBIDEM.

13 Paul Heilbronner, storico dell’arte tedesco emigrato in Italia a inizio anni Trenta e in seguito negli Stati Uniti, era stato allievo di Heinrich Wölfflin a Monaco di Baviera.

14 P. HEILBRONNER, Il cinema come arte figurativa, «Intercine», anno VII, n.7, 1935.

15 P. HEILBRONNER, Cinema documentario: il film e le belle arti, «Cine-convegno», anno II, n. XII, 25 luglio 1934.

16 P. HEILBRONNER, Cinematografando le opere d’arte, «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», anno II, vol. I, fasc. 13, 10 gennaio 1937.

86

capolavori architettonici fiorentini: fin dal principio, la figura del teorico si lega strettamente a quella del realizzatore del film d’arte17. Tra i tre scritti, il più interessante è dunque il secondo, che, così come un altro breve ma importante contributo scritto in pieno periodo bellico, I documentari e i pittori di Mario Verdone18, sembra voler condensare in poche righe tutte le possibili questioni che scaturiscono dall’incontro tra camera e opera.

Dopo aver sottolineato il contributo che il cinema potrebbe fornire allo studio delle belle arti, Heilbronner non nasconde che «i mezzi di cui essa [la cinematografia] si serve costringono addirittura ad un severo discernimento e a una precisa presa di posizione»19: richiedono cioè all’autore un rigore e una perizia derivanti sia da una profonda conoscenza della storia dell’arte che da un’esperta padronanza del mezzo filmico. L’interpretazione delle opere d’arte attraverso il cinema è infatti, secondo Heilbronner, operazione rischiosa, poiché le toglie dalle categorie dimensionali tradizionali per porle in una nuova modalità di visione; modalità che, se non correttamente impiegata, può creare un’illusione ingannevole, dal momento che la visione della camera è inevitabilmente soggettiva e impiega elementi (come il primo piano o il montaggio) che potrebbero portare a una deformazione percettiva o conoscitiva. Tuttavia, pur non potendo in alcun modo sostituire la contemplazione dell’originale, Heilbronner sottolinea come «l’arte antica può esercitare un effetto vivo soltanto se viene presentata in una visione ispirata a criteri moderni. E moderna è la visione che dà la cinematografia20».

Dal canto suo Mario Verdone pone l’accento sull’inconciliabilità tra la visione dell’uomo di cinema e quella del critico d’arte nel film dedicato alla pittura: il primo tenderà a «drammatizzare il materiale a disposizione», nonostante «la materia pittorica, come ogni altra materia d’arte, sfugga a una nuova enunciazione artistica», mentre il secondo «è condotto a trattare e commentare professoralmente la materia, con un filo logico apparentato, più o meno, alla conversazione o alla conferenza breve con proiezioni21». Concludendo con la necessità di una stretta collaborazione tra cineasta e critico, Verdone pone in campo la distanza di approccio tra le due figure chiave del film sull’arte, un tema che, come vedremo, percorre l’intero dibattito nei decenni seguenti e sottende concezioni radicalmente diverse della natura del film e delle sue finalità, così riassunte da Verdone: «Il documentario […] può dare diverse annotazioni, se non criticamente creative, almeno indicative per un fine divulgativo, informativo e formativo e, dunque, didattico22».

Effetti della visione della macchina da presa sull’opera d’arte, corretto utilizzo degli elementi del linguaggio cinematografico, problematici rapporti tra regista ed esperto d’arte, finalità e tentativi di classificazione delle diverse tipologie di film sull’arte, resoconti di esperienze concrete: in questi pochi contributi si adombrano già le diverse declinazioni che il dibattito assumerà, con ben altre proporzioni, nel dopoguerra.

17 Si veda a tal proposito anche Valerio MARIANI in Lettura del Barocco, in «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», anno VII, vol. II, fasc. 148, 25 agosto 1942, dove fornisce un resoconto della realizzazione del cortometraggio Roma Barocca, girato insieme a Mario Costa.

18 M. VERDONE, Il documentario e i pittori, in «Cinema. Quindicinale di divulgazione cinematografica», anno VIII, vol. II, fasc. 171-172, 25 agosto 1943.

19 P. HEILBRONNER, Cinema documentario: il film e le belle arti, p. 48. 20 IVI, p. 50.

21 M. VERDONE, Il documentario e i pittori, p. 76. 22 IBIDEM.

87