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Già 12 miglia da Ancona, gli ambasciatori sono raggiunti dal cancelliere della città allo scopo di comprendere se i giovani emissari avrebbero accettato il suo invito.

663 Ivi, f. 47v.

664 Ibidem. Della lettera che Voglia invia a quest'uomo non vi è nessuna traccia presso l'Archivio di Stato di Ancona Non è stata rinvenuta nessuna traccia neppure in merito all'epistola del 13 giugno del 1585, che Ippolito Voglia scrive al governatore di Ancona e della quale lo stesso gesuita ne da notizia al preposito nella lettera del 14 giugno: «Mandai hieri uno de nostri servitori con una mia al Signor Governatore di Ancona»: ARSI, Ital. 159, f. 43.

665 Ivi, f. 47v. 666 Ivi, f. 38v. 667 Ibidem. 668 Ibidem.

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Comprese le loro intenzioni, questi si allontana dal luogo. Dopo 3 o 4 miglia sopraggiungono 5 cavalieri di Santo Stefano in una carrozza e, successivamente, circa 100 soldati a piedi e a cavallo. Avvicinandosi sempre più ad Ancona, lontano dalla porta, incontrano il governatore, Ludovico Todino, nipote del pontefice Sisto V, e il magistrato

con molti cavalli et cavalieri che li facevano compagnia con le carrozze, si entrò nella città con diece di quelle, passavano 100 homini a cavallo et [..] soldati, passato il passo fastidioso per le arteglierie, scaricò il castello 24 pezzi di mortali et 8 di pezzi grossi, andammo al palazzo della communità con magior stretta che quella di Perugia, ci fu molto che fare per consolar tutta la città di vedere questi Signori, finalmente mi adoprai acciò restassero consolati quelli della città669.

La comunità offre un abbondante convito. Nonostante la stanchezza, gli ambasciatori riescono a raggiungere a piedi il porto e la loggia, dove rientrati nelle carrozze si dirigono verso la chiesa di San Siriaco per osservare le reliquie ivi conservate. Inoltre «né bastando questo la sera a un’hora di notte fecero sparar alcuni pezzi d'arteglieria nella piazza de Signori, fecero tre o quatro girandole et cetera»670. I giovani trascorrono la notte ad Ancona e la mattina seguente, con solo tre carrozze, riprendono il loro cammino. Durante il viaggio si imbattono nel conte Malatesta che, a nome del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, «con Sua Altezza a cavallo»671, esorta il gruppo a sostare, seppur fugacemente, a Senigallia (siamo al sabato 15 giugno), promettendo loro di servirli e accoglierli nel migliore dei modi. I giovani, passando per Fano, «dove incontrati, invitati et salutati con molti tiri»672, raggiungono in serata Pesaro, luogo in cui fermarsi per la notte, secondo quanto ragguaglia Alessandro Leni nella minuziosa lettera di Venezia del 4 luglio del 1585, indirizzata ad Alberto Ariosto. I legati accettano e ringraziano per l'invito e, rimontati a cavallo, si incamminano verso il palazzo ordinario, lasciandosi "coccolare" dalle tante attenzioni loro serbate. Intanto, mentre il gruppo si dirige verso Pesaro, Francesco Mercato in compagnia di Benedetto Lopes si allontana dal gruppo, ritornando a Loreto: «dove se ben ci partimmo alle 18 hore arrivammo a 2 hore di notte con una buona carozza che c'haveva imprestato Monsignor Governatore di Loreto con 4 cavalli»673.

669 Ivi, f. 45. 670 Ivi, f. 64v. 671 Ibidem. 672 Ivi, f. 64v. 673 Ivi, f. 64.

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Il conte Malatesta, come asserisce Voglia nell'incipit della sua missiva del 17 giugno 1585, composta a Forlì, accompagna gli ambasciatori per ordine del duca di Urbino, «il qual mandò a invitar di novo il Signor Marchese della Rovera cogino carnale di Sua Altezza un miglio lontano della città con 18 o 20 cavalli»674, fino a Cattolica, passando per Pesaro. Dopo che Sua Signoria fece la sua ambasciata, entra nella carrozza dove è seduto Mancio. Insieme, ingressano in città, circondati da una gran folla fino al palazzo del duca, «dove era desingiato havessero li Signori dui bellissimi appartamenti uno contiguo a quel del Duca, l'altro abbasso rispondente al giardino, bellissimo al possibile»675. Mentre attendono il ritorno del signore, che si era allontanato in compagnia del nobile Paolo Giordano Orsini (1541-1585), essendo di sera quasi tarda, i giovani mutano le loro vesti per poter incontrarlo alcuni istanti e ricevere da lui affettuose parole di cortesia e di accoglienza. La lettera di Voglia, che fornisce qualche ulteriore dettaglio a ciò che già si conosce su questo passaggio e sulla stima scambievole che è manifestata tra il duca e i quattro giovani, comunica, inoltre, il desiderio del nobile Orsini di voler incontrare i giapponesi. Difatti egli giunge pochi minuti dopo, insieme alla duchessa prima di invitare i legati a Padova presso il suo palazzo: «si posero a sedere et ragionorno varie cose per spatio di mezza hora»676. Ippolito Voglia, volendo descrivere quasi fotograficamente la curiosità e l'ammirazione che traspare da questo incontro, continua:

Vedevano con gran contento le armi del Giappone et alcuna veste che il Padre li monstrò, sollicitava il scalco più volte che era portato in tavola onde si lecentiò et non volse Sua Eccellenza che andassero li Signori più inanti che la prima camera, et andando io alla seconda mi sforzò che restasse dicendomi che haveria un'altra figliola spirituale accordandomi la signora sua consorte677.

Il giorno successivo, il 16 giugno, iniziano la giornata con la consueta celebrazione eucaristica, dopodichè salendo sulle carrozze, licenziandosi dal signor duca d'Urbino, si dirigono verso Rimini, luogo in cui si fermano per il pranzo e dove sono mostrati loro i siti più significativi della città, comprese le reliquie. Qui trascorrono la notte. Partono per Cesena il giorno seguente, dove sono accompagnati con due carrozze. Anche in tal posto, come si è verificato altrove, sembra che la città non abbia ricevuto nessun avviso circa la loro venuta, eccetto quello che lo stesso Voglia invia alla comunità di Rimini,

674 Ivi, f. 49. 675 Ibidem. 676 Ibidem 677 Ivi, f. 49v

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«che impedito da uno hoste per il cavallo, non andò molto prima del nostro arrivo»678. Ma, nonostante, tutto a Cesena «gli fecero ogni complimento sonando campane, et accompagnandoci con 2 carrozze gran pezzo»679. Ciò è confermato anche da Leni nella missiva di Venezia del 4 luglio, dove scrive:

A Rimini fussemo visti, et recevuti benissimo, et così in tutta la Romagna con salve d'artellaria, et pasti solenni et cetera et se alcuna cosa mancò fu perché non essendo loro avisati da Roma, ne havendo ordine del Papa, come si pensava giongevamo alla sprovista; et non era poco passar per tutto senza spesa680.

Verso le dieci di sera, tale orario sembra tuttavia smentito dalla successiva missiva che Ippolito Voglia redige da Bologna il 19 giugno del 1585 («arrivassimo intorno alle 23 hore»681), i giovani approdano a Forlì, luogo in cui si fermano per passare la notte, «nel nostro collegio recevuti con grande aplauso»682.

Anche in questa località, come un po' ovunque, gli ambasciatori sono incontrati circa 4 miglia da alcuni gentiluomini in una carrozza e 2 miglia dopo dal governatore e altri, trasportati in un altro cocchio

vicino alla piazza vennero incontra li dui magistrati, li ordinarii et quello che chiamano Pacif[icorum], et ambedui mostrorno l'alegrezza et contento che la città riceveva dalla loro venuta, il che monstrò venendoli incontro con tamburi et trombe, seguitando una bella compagnia di soldati, et passando la piazza scaricò 2 pezzi di mortali, et entrando nel Domo si vedeva il giubilo di tanto populo che non capeva nel loco spatioso683.

In primo luogo entrano in chiesa e successivamente nel collegio, ove è preparato per loro un lauto convivio, allietato da musica e suoni, tra i musicisti vi è un vecchio intorno ai 94 anni, «un dolcemele che chiamano alias il spalterio»684, particolarmente bravo a suonare un insolito strumento, che pare catturi l'attenzione di molti. Ippolito Voglia, visti i problemi di mancata comunicazione avuti in alcune soste, decide di inviare, durante la notte, un servitore a Imola e un altro a Bologna, cioè verso le località successive. 678 Ivi, f. 49v. 679 Ibidem. 680 Ivi, f. 72. 681 Ivi, f. 58. 682 Ivi, f. 49v. 683 Ivi, f. 58. 684 Ibidem.

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Il 18 giugno, attraversando la città di Faenza, «che né loro veddero né seppero cosa alcuna delli Signori né meno essi s'accorsero della città riposandosi in quel'hora fresca di matino»685, (emerge notizia di questo veloce e inosservato passaggio solo da questa corrispondenza), si avvicinano a Imola. Un miglio prima dell'ingresso della città gli ambasciatori sono accolti da alcuni canonici e, più innanzi, da una compagnia di 200 soldati; proprio all'entrata della porta vengono ricevuti dal governatore, che ringrazia il gruppo per aver accettato il suo invito. I giovani sono poi accompagnati al palazzo, e dopo aver partecipato alla messa molto ben preparata e animata con musica, sono condotti a un pranzo ricco di gustose vivande, intrattenuto da musicisti, «uno de quali sonava divinamente il levuto et vedendolo li Signori toccar tanto bene si erano smenticato il mangiare onde io dui volte cel ricordai»686.

La novitas, che emerge da tale comunicazione e che va sicuramente ad arricchire ciò che già è particolarmente noto circa il passaggio degli ambasciatori in questa città, è relativa al famoso "biglietto" di ringraziamento che i giovani lasciano alla città per esprimere la loro gratitudine e per lasciare ai posteri un segno tangibile e concreto del loro passaggio. La carta scritta in lingua nipponica, corredata dalla traslitterazione in caratteri latini e dalla traduzione in italiano, già trascritta da vari studiosi, mostrata nel 1989 a una delegazione di Azuchi e recentemente (2011) esibita a un gruppo proveniente da Hokuto, nella prefettura di Yamanashi, tra i quali si è individuato Kozasa Manabu, un discendente del martire Nakaura Julião, riporta il nome dei quattro legati, ma (come scrive Ippolito Voglia), essa è vergata dalla mano del fratello coadiutore giapponese Jorge de Loyola. Tale informazione non era ancora emersa, né dalle diverse relazioni che narrano fedelmente le varie fasi dell'itinerario, né dai contributi autorevoli pubblicati su questa ambasceria apparsi in Italia o in altra nazione, a partire dai primi anni del secolo scorso. Un accenno a questo messaggio era presente nelle Relationi di Gualtieri, ove è scritto: «Quivi anco bisogno lasciar'un foglio scritto in caratteri Giaponesi, facendon'essi instanza per tenerne memoria perpetua»687. Non vi era riferimento al nome del redattore di tale carta neppure nel codice dove essa è custodita, quindi presso l'ASCI. In un articolo apparso nel giornale Diario nel 1940 si trovava tale informazione: «scritto in lingua e caratteri giapponesi di mano dei componenti la prima

685 Ivi, f. 58. 686 Ibidem.

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missione nipponica che visitò l'Italia e munito del loro sigillo»688, dove l'interprete Mesquita, continua l'autore, vi aggiunge la trascrizione e la traduzione interlineare689. La notizia dell'esistere di questa missiva/biglietto è presente anche in un altro giornale locale, il Corriere Padano, in un articolo edito due anni prima, nel 1938. L'epistola di Voglia, conservata nel manoscritto Ital. 159, è invece l'unica che fornisce la vera identità del compilatore di questo cimelio:

Se ci lasciò un foglio scritto di mano del fratello Giorgio de lettere di Giappone, dimandando loro ad perpetuam rei memoriam et invero il Signore Governatore et li Signori conservatori si mostrorno amorevolissimi690.

Nel pomeriggio i quattro ragazzi si incamminano verso la città di Bologna dove arrivano in serata (siamo ancora al 18 giugno).

Il Tratado di Luís Fróis, invece, racconta che i legati con il loro seguito arrivano a Bologna la sera del giorno seguente: «Chegados [19 juin au soir] a Bolonha, se lhes fez hum grandissimo recebimento»691. In altre relazioni, invece, come quella edita da Gualtieri, si lascia intendere che nel pomeriggio il gruppo si allontana dalla città per approdare in serata a Bologna.

Dieci miglia lontano dalla città di Bologna vengono ricevuti da monsignor Leone e da un gesuita in una carrozza.

Si mossero dui delli Signori Don Mansio e Don Michele in quella con il Padre Meschita mio Signore et il Padre del Collegio. Essendo più fresca doppo 5 miglia venne con un'altra il Padre Augustino Albiti692, nella quale si mossero per la medesma causa li altri dui sacerdoti, quel Padre et io [compagnia], avicinandoci un miglio venne il Signore Vicario da parte del Illustrissimo Arcivescovo ad invitarli et ringratiandosi havendo inteso che il Illustrissimo Legato li voleva in suo palazzo693.

Dopo aver accettato l'invito a prendere parte alla processione del Corpus Domini che si sarebbe svolta la domenica successiva e al pranzo con il legato, ovvero il cardinale Antonio Maria Salviati, i giovani arrivano alla chiesa dei cruciferi lontana mezzo miglia da Bologna, luogo in cui li attende il «Monsignor Vicelegato con il cochio di Sua

688 A. Toschi, Una rara scrittura giapponese del XVI secolo, op. cit., p. 2. 689 Ibidem.

690ARSI, Ital. 159, f. 58v.

691 Luís Fróis, La Première Ambassade du Japon en Europe, 1582-1592, João do Amaral Abranches, Pinto - Yoshitomo Okamoto - Henri Bernard, S.J., (por.). Sophia University, Tōkyō, 1942, p. 216.

692 Questo gesuita nasce a Gaeta intorno al 1551 ed entra nella Compagnia nell’agosto del 1570. Muore a Napoli il 14 settembre del 1600.

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Signoria Illustrissima»694, che comunica loro di accettare la scelta del gruppo di alloggiare presso la residenza gesuitica della città, precisando però che «il vitto et il servitio per la loro tavola»695 sarà offerto dal porporato. Scendono dalla carrozza del vicario per entrarvi in quella del legato, molto più grande e spaziosa, capace di ospitare comodamente 8 persone, seguita da più di 100 cocchi che non poterono entrare tutti in città e da tanto popolo che era accorso in strada meravigliato. La cena è prevista, quindi, presso il collegio a spese del legato. I dignitari, giunti nei loro appartamenti ben ornati e guarniti con particolari, possono concludere la loro faticosa giornata. La mattina seguente del mercoledì 19 giugno gli emissari sono invitati a pranzo dal cardinale Salviati, che manda loro il mezzo per raggiungere il suo edificio; e così i quattro dignitari, con Diogo de Mesquita, Voglia «et il Padre Pietro confessore della guardia di todeschi»696, dopo aver mangiato, possono trattenersi in conversazione con il porporato «in un appartamento più frescho, poi licentiandosi li Signori li accompagnò fuori della prima saletta con molto amore et carità sempre monstrandoli affetto paterno»697. Il giovedì 20 giugno, «che fu del Corpo di Christo»698, Ippolito Voglia decide di non condurre i giovani alla messa del cardinale arcivescovo Gabriele Paleotti699, «fugendo la gran distrattione che haveriano havuto»700 e così dopo aver partecipato alla celebrazione eucaristica presso il collegio gesuitico, i giovani si dirigono «nella casa del Signore Confaloniero della città, acciò de una finestra potessero vedere la processione»701. I due principali cronisti del codice riferiscono attentamente gli onori riservati ai giovani durante questo momento di adorazione solenne e comunitaria. Ippolito Voglia nell'epistola del 24 giugno del 1585, stilata a Ferrara, comunica:

694 Ibidem. 695 Ibidem. 696 Ivi, f. 59. 697 Ibidem. 698 Ivi, f. 72.

699 Paliotti nasce a Bologna da una famiglia appartenente alla media borghesia. Dopo aver concluso gli studi in legge presso l'Università della città e addottoratosi in utroque jure, riceve alcuni incarichi in ambito ecclesiale: canonico del capitolo della cattedrale e, nel 1556, uditore del tribunale della sacra rota. Successivamente è nominato anche canonista e consultore al Concilio di Trento. Viene eletto vescovo di Bologna il 30 gennaio del 1566 e quindi sacerdote il 9 febbraio per essere consacrato vescovo il 10 febbraio per le mani di Carlo Borromeo. Durante gli anni di episcopato esprime le sue idee su tale ministero in due opere: Episcopale pubblicata nel 1580 e Archiepiscopale nel 1594: Ilaria Bianchi, La

politica delle immagini nell'età della Controriforma. Gabriele Paleotti teorico e committente, Editrice

Compositori, Bologna, 2008; Umberto Mazzone, Governare lo Stato e curare le anime. La chiesa a

Bologna dal Quattrocento alla Rivoluzione francese, Libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2012, pp.

85-94.

700ARSI, Ital. 159, f. 66. 701 Ibidem.

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Al fine della messa sollenne furno chiamati che dovendo venire il Santissimo Sacramento in processione portato dall'Illustrissimo Legato, si dovevano questi Signori trovare conforme all’ordine dato la sera avanti. Nel Domo li havevano preparato il loco sopra li 40 sotto al Legato, honoratissimamente dal choro alla porta della chiesa andorno con le torce, mettendo in mezzo li dui Signori Ambasciatori, il Cardinale Paleotto, li altri dui andavano immediatamente doppo. Nella porta lasciorno le torce et pigliorno il baldacchino di otto bastoni, li primi 4° presero il Signor Don Mansio, et li compagni, li altri quelli de 40 il portorno alquanto poi si pigliorno le torce et andorno a loco loro, seguitorno insino a San Francesco per ordine di Sua Signoria Illustrissima, poi montorno in carrozza et andassimo alle stanze del Paleotto avicinandosi l'hora del pranzo quale fecimo con quel buon prelato che venne a pigliarli di camera con tutta la sua corte andando con essi loro con la magior affabilità che dir si possa li introdusse al refettorio passando per il lavatorio come il nostro mangiamo in tutto 27702.

D'altro canto Alessandro Leni nella lettera del 4 luglio del 1585, redatta da Venezia, scrive:

andorno poi in Chiesa, dove era apparecchiato per loro sopra li 40 da sedere al paro dei Cardinali. Et finita la messa dal Cardinale Paleotto, il Legato prese il sacramento portando li Signori le torcie li primi due al paro del Cardinale Paleotto et gli altri appresso insino all'uscir di chiesa, di dove con 4 dei 40 portorno il baldacchino alquanto, et repigliando le torcie seguirono la processione insino a San Francesco dove entrati in carrozza se n'andammo in casa di Paleotto, il quale il giorno avanti la matina havendo visitato questi Signori nel Collegio con molta carità, et lodato sommamente la bona memoria del Padre Francesco Palmio703, havea dato ordine a quanto passò circa la processione, et poi invitandoli seco a desinare704.

Terminata, dunque, la processione, come già programmato il giorno prima, gli ambasciatori e il loro seguito sono invitati a pranzo dal cardinale arcivescovo e dopo aver gradito le pietanze preparate per loro, «si fece recreatione in commune»705, dove si pongono alcune domande e dubbi sulle costumanze del Giappone al portoghese Mesquita: «se erano idolatri, se le statue che adoravano rispondevano, del lor vestire longo o corto, del maritarli con più o con una sola, se vi era nobiltà se vi era civilità»706. La prima parte del pomeriggio continua a essere rallegrata dalla musica e subito dopo da un momento di ristoro, ove i giovani sono condotti nelle loro camere. Il gruppo comincia così la visita ai luoghi religiosi più significativi della città: la cattedrale di San Petronio con le sue reliquie, la numerosa comunità dei frati predicatori in San Domenico, recandosi presso il convento e la chiesa e il giorno seguente, di venerdì (21

702 Ibidem.

703 Il gesuita Palmio nasce a Parma il 10 febbraio del 1518 ed entra nella Compagnia nel mese di giugno del 1547. Emette la professione dei tre voti il 6 gennaio del 1567 a Bologna, dove si spegne il 23 aprile del 1585: ARSI, Schedario Lamalle unificato, sub nomine.

704ARSI, Ital. 159, f. 72. 705 Ivi, f. 72v.

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giugno) si porta alla certosa «per havercelo detto il Cardinale Pregato da quelli frati li quali tutti ci fecero gran accoglienze maravigliati de simili personaggi»707. Anche in questo posto possono sperimentare la gioia dell'accoglienza che i tanti monaci esprimono nei confronti degli emissari, tanto che il superiore, catturato dallo spirito di Martim, prima che questi si allontanasse dal luogo, gli dona un cilicio. Dopo aver consumato qualcosa, i legati sono raggiunti, verso le ore 20.00 dal coppiere del cardinale arcivescovo, e si dirigono dal legato Salviati per salutarlo e ringraziarlo per i benefici che ha loro concesso e questi gli promette per la partenza dell'indomani, mediante il suo vicelegato, di far accompagnare loro «dalli cavalleggeri et dalla sua guardia»708. Lo stesso ringraziamento riservano anche al porporato Paleotti, il quale chiama ciascun giovane nella sua stanza e prima di congedersi da loro dona «a tutti i signori alcune cosette di devotione»709:

al Signor Don Mansio uno angius Dei con alcune reliquie di valuta con perle. Al Signor Don Michele uno bellino crucifisso di argento, al Signor Don Martino una immagine del Salvatore et della Madonna in scatola, al Signor Don Giuliano una garaffa di [madreperla] di Sant'Andrea710.

Da questo manoscritto si evincono, quindi, nuovamente ad altri documenti sulla