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solo quattro anni di vita, dunque, ma quattro anni sufficienti a influen- zare profondamente la critica italiana degli anni Venti. I rondisti inco- raggiano la prosa breve e il frammento lirico, secondo il modello del

poème en prose francese; ma, soprattutto, diffondono la moda critica

del ritorno a uno stile classico: «Lo stile, oltre al resto, è una difesa» si legge in un numero del 19191.

Nonostante la poetica rondista appaia oggi come reazionaria, è interessante che per Cardarelli, Cecchi ecc. la ripresa dei classici e il rifiuto del futurismo («Abbiamo poca simpatia per questa letteratu- ra di parvenu che s’illudono di essere bravi scherzando col mestiere e

giocano la loro fortuna su dieci termini o modi non consueti») rap- presentino un modo per essere contemporanei. Nel prologo del primo numero si legge che:

Il nostro classicismo è metaforico e a doppio fondo. Seguitare a servire con fi- ducia di uno stile defunto non vorrà dire per noi altro che realizzare delle nuove eleganze, perpetuare insomma, insensibilmente, la tradizione della nostra arte. E questo stimeremo essere moderni alla maniera italiana, senza spatriarci2.

Un punto di vista simile è quello di alcuni ex rondisti che – insieme ad Alberto Carocci (1904-1972) – fondano la nuova rivista “Solaria”. Nel periodo in cui viene stampata, dal 1926 al 1936, ne fanno parte anche Montale, Giacomo Debenedetti (1901-1967), Sergio Solmi (1899-1981), Carlo Emilio Gadda (1893-1973). “Solaria” continua a difendere l’indipendenza dell’arte dall’ideologia, anche se una parte della redazione è più impegnata politicamente. Spesso bersaglio della censura, chiude le pubblicazioni poco prima della guerra. Durante gli anni Trenta diffonde in Italia autori contemporanei francesi (Valéry, Gide, Proust), inglesi (Woolf, Joyce, Eliot), statunitensi (Hemingway, Faulkner); pubblica studi importanti su Italo Svevo e Federigo Tozzi; è fra le prime sedi critiche a riconoscere l’importanza di Saba, al quale viene dedicato un numero speciale nel 1928. “Solaria”, insomma, con- tribuisce a diffondere un canone di autori modernisti italiani e stranie- ri (cfr. Baldi, 2011, p. 74).

1. La citazione è tratta da una nota critica della redazione, anonima, intitolata Vecchio fantasma, che si trova nel numero vi, 54-5, 1919.

2. Sia questa citazione sia quella precedente sono tratte dal Prologo in tre parti pubblicato, senza firma, sul primo numero della “Ronda”, aprile 1919, pp. 3-6.

Nel 1932 vi compare un articolo in cui vengono commentate tre opere uscite quell’anno: Òboe sommerso di Salvatore Quasimodo

(1901-1968), Isola di Alfonso Gatto (1909-1976), Realtà vince il sogno

di Carlo Betocchi (1899-1986). L’autore del saggio, Aldo Capasso, le considera parte della «miglior poesia del momento attuale», che ha come caratteristica principale quella di prescindere dalle determina- zioni aneddotiche. L’anno successivo Ungaretti pubblica Sentimento del Tempo (Vallecchi, 1933). Questo libro non solo rappresenta una

svolta nel percorso poetico del suo autore, ma diventa centrale nel dibattito italiano sulla poesia. L’espunzione di riferimenti concreti e realistici, la tendenza all’astrazione e la fiducia nel raggiungimento della verità attraverso la poesia vengono considerati emblemi di uno stile più moderno degli altri, dunque da riprodurre3. Il primo a parlare

in modo sistematico di poesia ermetica è Francesco Flora in La poesia ermetica (1936). Flora si basa soprattutto su testi di Montale, Ungaretti

e Quasimodo, e ne evidenzia la tendenza all’analogismo e all’oscurità, che considera responsabili di una mancanza di comunicazione. Intan- to le caratteristiche di una koinè ermetica si definiscono meglio con la

pubblicazione di altre opere: Erato e Apollion (1936) e Ed è subito sera

(1942) di Salvatore Quasimodo; La barca (1935) e Avvento notturno

(1940), i primi due libri di Mario Luzi. I successivi saggi di De Rober- tis, Gargiulo, Bo (in particolare Letteratura come vita di Bo del 1938) e

dello stesso Flora insistono sulla continuità fra questi libri e il simboli- smo della poesia francese contemporanea.

La rivista “Primato” dedica all’ermetismo un’inchiesta nel 1940. Vi partecipano molti poeti e critici, fra i quali Montale e Contini. In questi anni, Ungaretti e Montale stanno sperimentando soluzioni po- etiche molto diverse: si crea così il paradosso per cui la categoria critica di ermetismo, introdotta soprattutto per definire il loro stile, è inap- plicabile a uno dei due e non è esaustiva per l’altro. Si autodefiniscono ermetici poeti appartenenti a generazioni poetiche successive, nati nel primo decennio del Novecento (Quasimodo, Gatto, Betocchi, Solmi, Bigongiari), o negli anni Dieci (Luzi). Infine, le crestomazie di Lucia- no Anceschi (la prima, Lirici nuovi, è del 1943) considerano l’ermeti-

smo la linea principale della poesia del Novecento.

3. Le caratteristiche stilistiche principali dell’ermetismo vengono elencate da Mengaldo, che ne individua dodici: cfr. Mengaldo (1994, pp. 230-1).

In Lirici nuovi la poesia contemporanea viene descritta in questo

modo:

la parola fruisce di una franca condizione di canto in cui il suo senso logico giunge quasi al limite dell’annullamento: essa ha qui un uso particolare nel dar non so che prevalenza al libero gioco dei riflessi irrazionali e analogici, alla capacità di creare assolute vaghezze di atmosfera, in cui anche i silenzi, le pause, gli spazi bianchi entrano come necessarie urgenze espressive nella spirituale sintassi di periodi lirici che tutti, all’interno, nelle loro parti, e tra di loro, con gli altri, si richiamano e si sostengono secondo ragioni di tono e di durata (Anceschi, 1943, p. 10).

Le antologie degli anni Sessanta contraddicono solo in parte questo bilancio: Letteratura dell’Italia unita 1861-1968 di Contini (1968), per

quanto valorizzi autori modernisti di inizio secolo (che per Contini sono espressionisti), non mette in discussione il primato della poesia ermetica; Poesia italiana del Novecento di Sanguineti (1969) conside-

ra ancora ermetici Saba, Montale e Sereni. L’ermetismo inizia a esse- re ridimensionato nelle ricostruzioni di Fortini (1977) e di Mengaldo (1978), che evidenziano l’alterità profonda di questi tre autori sia nelle realizzazioni stilistiche sia nel modo di intendere la poesia.

Oggi l’ermetismo è considerato meno centrale di quarant’anni fa. La sua influenza è stata lunga, come testimoniano persino le scelte sti- listiche e lessicali delle traduzioni poetiche fino alla fine del Novecento (cfr. Afribo, Soldani, 2012). Alcuni dei più importanti poeti del Nove- cento crescono in un ambiente culturale ermetico, ma poi se ne allon- tanano: ad esempio Mario Luzi, Giorgio Caproni (che esordisce nel 1936 con Come un’allegoria) e Attilio Bertolucci (che pubblica Sirio

nel 1929 e Fuochi in novembre nel 1934). Le opere più importanti degli

anni Venti e Trenta non provengono dall’ermetismo né appartengono a un gruppo poetico; se pure rielaborano i classici della tradizione po- etica italiana, lo fanno in modo del tutto originale.

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