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Anche l’esordio di Valerio Magrelli (1957) è molto precoce: il primo libro, Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980) viene pubblicato quando

ha solo ventitré anni. È preceduto da alcune pubblicazioni su rivista (su “Periodo ipotetico” e su “Nuovi Argomenti” nel 1977) e da una selezione di testi in due antologie, La parola innamorata e Poesia degli anni Settanta. Segue Nature e venature (Mondadori, 1987).

Ora serrata retinae conosce due edizioni in dodici mesi. Nei tre

anni successivi è commentato con entusiasmo da critici e poeti mol- to diversi fra loro: Giuliani, Raboni, Porta, Ramat, Lorenzini, Cal- vino, Pedullà. Come Somiglianze due anni prima, viene subito con-

siderato una novità. Quasi trentacinque anni dopo, l’impressione di avere a che fare con una svolta è, al tempo stesso, ridimensionata e

ancora comprensibile. Più che una nuova fase della poesia italiana, l’opera di Magrelli rappresenta una delle sue possibili direzioni. Le caratteristiche principali sono due, già delineate all’interno del pri- mo libro. La poesia non descrive più un’esperienza biografica o esi- stenziale; piuttosto, ha come oggetto la «prodigiosa difficoltà della visione», cioè i modi di percezione della realtà. Non raggiunge ica- sticità affidandosi all’espressione di pathos, bensì ha un andamento ragionativo («Per me la ragione / della scrittura / è sempre scrittura / della ragione»). Tuttavia ciò non è sfruttato per veicolare una vi- sione ideologica o filosofica del mondo; nella maggioranza dei casi, la poesia di Magrelli «ha per tema il tema», cioè riflette sull’atto stesso di scrivere.

Per questi due aspetti Ora serrata retinae è uno dei libri più inno-

vativi e importanti degli ultimi decenni. Come spiegato varie volte dall’autore, il titolo rimanda a una parte dell’occhio che si può definire «linea di confine della percettività». A prendere la parola nei testi è un unico soggetto, che usa la prima persona singolare in modo appa- rentemente tradizionale: Magrelli non ricorre né a interposte persone né a dialoghi. Talvolta si serve di metafore della letteratura classica per descrivere se stesso nell’atto di scrivere. Un esempio è in una poesia famosa di Ora serrata retinae:

Io abito il mio cervello

come un tranquillo possidente le sue terre. Per tutto il giorno il mio lavoro

è nel farle fruttare,

il mio frutto nel farle lavorare. E prima di dormire

mi affaccio a guardarle con il pudore dell’uomo per la sua immagine. Il mio cervello abita in me

come un tranquillo possidente le sue terre.

L’immagine dell’attività agricola, che compare nel distico iniziale e in quello finale, è presente in almeno altri otto testi del libro; risale alla tradizione letteraria premoderna, e precisamente all’Indovinello veronese (Afribo, 2007). Proprio questo elemento di apparente classi-

cità rivela due caratteristiche originali, che spiegano la sensazione di novità creata da questo libro a inizio anni Ottanta. La prima è l’og-

getto del discorso: chi parla usa la prima persona, ma si riferisce a una parte del proprio corpo, poi personificata (il cervello), e alla propria scrittura, che genera una metafora (le terre da «far fruttare», come i testi scritti). La componente autoriflessiva è alla base di tutti i testi di Ora serrata retinae: anche quando si affidano a metafore e a im-

magini, hanno sempre una dimensione cerebrale, come se partissero da un’indagine autoscopica. Le parole «occhio» e «cervello», ma anche «corpo», «pagina» e i loro sinonimi hanno un ruolo centra- le. I punti di riferimento letterari sono Ponge, gli autori dell’Oulipo, Valéry (a Valéry nel 2002 dedica un saggio critico intitolato Vedersi vedersi, il cui titolo è quasi una dichiarazione di poetica). Proprio l’at-

tenzione al momento epistemologico è nuova per la poesia italiana; e questo spiega l’interesse di autori come Calvino e Del Giudice. In questo modo Magrelli dilata ampiamente i confini di ciò che può es- sere detto in versi.

L’autoesplorazione conoscitiva non conosce un’evoluzione nel li- bro; per questo motivo c’è una sospensione di tempo e spazio. Il pre- sente usato per i verbi di Ora serrata retinae è più simile a quello di uno

studio saggistico che non a quello di una poesia lirica. «Io non cono- sco la noia come sensazione; per me rappresenta piuttosto un mate- riale» (Geologia di un padre, 2013), scriverà successivamente Magrelli.

In un altro testo della prima raccolta il libro è esplicitamente definito «studio», «calcolo», «osservatorio», ovvero «una paziente meteo- rologia dell’uomo». I momenti più intensi non sono mai legati a una percezione o riflessione significativa da un punto di vista esistenziale; più spesso si devono a un’acutezza nell’orchestrazione dell’insieme creato da forma, allusioni e calchi letterari, metafore; oppure (e sono i risultati migliori) da un momento di straniamento generato dell’au- toanalisi.

La tragicità non è estranea alle prime raccolte: la poesia non è solo un gioco intellettuale, ma è «accorta analisi del pensiero / e delle mu- tazioni della carne». Partendo da poche parole chiave, spesso Magrelli costruisce analogie e metafore che strutturano i testi, creando un im- pianto di immagini sempre coerente e articolato, costruito con «geo- metrica passione» (Senza accorgermene ho compiuto). Quando descri-

ve parti del proprio corpo con distacco e attenzione più anatomica e medica che viscerale, la voce dei testi assume un tono nevrotico, che si accentua nella seconda raccolta. La vista ha un ruolo privilegiato, ma anche il tatto e tutte le percezioni fisiche entrano nelle poesie; e così il

sesso, per quanto mai con la centralità di De Angelis, ma al contrario sempre come oggetto di studio osservato con distacco.

A me interessava soprattutto rilevare la possibilità di uno spazio intermedio tra una poesia che si vuole tradizionale (ossia intonata sulla strada maestra della lirica italiana) e una di rottura. A me interessa il luogo in cui queste due forze si toccano, si sposano, si intrecciano. [...] È quindi una scrittura di ricer- ca, in cui gli elementi metaoperativi e autoriflessivi sono sempre fortissimi. Un simile atteggiamento (ma forse sarebbe meglio dire “assetto”) non nasce nel Novecento, poiché risale alle grandi correnti del Manierismo (Magrelli, cit. in Cortellessa, 2006, p. 411).

Nella tradizione italiana non è la prima volta che in un testo poetico la realtà viene descritta attraverso uno schermo, esibendo la poesia come strumento di mediazione. Molta della poesia di Zanzotto ha quest’origine, ad esempio. Anche l’attenzione alla corporalità del soggetto non è nuova, ma già tipica delle avanguardie degli anni Sessanta. Tuttavia la scrittura di Magrelli è estranea a questo tipo di avanguardismo, tanto quanto è distante dalla voce poetica di Dietro il paesaggio, per due motivi fondamentali. Innanzitutto non cerca la

scomposizione del linguaggio lirico che genera l’incomprensibilità logica di molta poesia neoavanguardista. Se torniamo alla poesia ana- lizzata, è evidente l’andamento chiaro e deduttivo della sintassi. Dal punto di vista linguistico Magrelli esplora molti codici specialistici, soprattutto in campo medico e anatomico, ma tende più all’equili- brio e al monolinguismo che al pastiche. I termini tecnici non sono

mai eccessivi come potevano essere in Lezioni di fisica di Pagliarani;

alcuni vocaboli aulici riequilibrano il tono, senza creare contrasti. La forma di Ora serrata retinae è molto diversa anche da quella di So- miglianze: entrambi si servono di nessi analogici, ma in Magrelli la

sintassi è molto più fluida e meno sconnessa. Questo sarà importan- te nei dieci anni successivi, quando i suoi primi libri costituiscono un modello per gli autori di “Scarto minimo”. Nonostante abbia le caratteristiche di riuso della tradizione in modo repertoriale, questo tipo di classicismo è lontano dal manierismo più estremo di Valduga e Frasca. C’è poi un altro elemento di novità: Magrelli costruisce una voce poetica sulla base di un soggetto che analizza il proprio modo di conoscere. Nessun testo poetico precedente aveva tentato questa strada, in Italia.

7.6