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Antonio Porta, Nanni Balestrin

Antonio Porta (1935-1989), come abbiamo visto, pubblica il libro d’e- sordio con il proprio vero nome, Leo Paolazzi. Si tratta di Calenda- rio, molto diverso dalla sua opera successiva. Quattro anni più tardi

Porta inizia a collaborare con Anceschi al “Verri”; nel 1960 pubblica una plaquette, La palpebra rovesciata, che sarà antologizzata nei No- vissimi ed entrerà a far parte del suo primo libro importante, Rap-

7. La poesia prosastica va separata dalla poesia in prosa, cioè dai testi non versi- ficati inseriti all’interno di raccolte poetiche: cfr. a questo proposito Giusti (1999) e, soprattutto, Giovannetti (1998; 2008).

porti (Feltrinelli, 1966). Nei due decenni successivi contribuisce alla

fondazione o partecipa attivamente a varie riviste d’avanguardia, tra le quali “Quindici”, “Tabula”, “Alfabeta”; collaborerà anche al “Corrie- re della Sera”, “L’Europeo”, “l’Unità”. Rapporti, insieme al successivo Cara (Feltrinelli, 1969), appartiene alla fase poetica più sperimentale

di Porta. Un cambiamento avverrà con i libri degli anni Settanta, fra i quali vanno ricordati soprattutto Metropolis (Feltrinelli, 1971), Week- end (Cooperativa Scrittori, 1974, con Prefazione di Maria Corti) e la

silloge complessiva Quanto ho da dirvi (Feltrinelli, 1977, Prefazione di

Giuseppe Pontiggia). È molto interessante la sua autoantologia com- mentata, pubblicata nel 1985 per Sansoni; le opere successive conflui- scono, postume, nell’Oscar Mondadori curato da Niva Lorenzini nel 1998, all’interno del quale si trova anche Calendario.

Fra i neoavanguardisti, Porta è senz’altro uno dei più fortunati. Oltre a quella di poeti a lui vicini per poetica (Giuliani, Sanguineti), ottiene l’attenzione di critici del tutto opposti, come Ramat, che lo de- finisce «uno dei lirici più indubitabilmente tali». Per Mengaldo è «il più dotato di vera necessità espressiva» e «il più ricco di fiato» della Neoavanguardia. All’opposto, secondo Ferroni la sua poesia costitui- sce la medietà del gruppo. A più di vent’anni dalla sua morte, I rapporti

e Cara sono fra le opere più originali della poesia neoavanguardista

italiana, e sono state giustamente canonizzate molto presto8. Cionono-

stante – e a differenza, ad esempio, di Zanzotto e Rosselli – l’esperien- za di Porta inizialmente è tutta interna al Gruppo 63, soprattutto per la militanza e le dichiarazioni di poetica9. Cosa la caratterizza, allora,

rispetto a Balestrini, Sanguineti, Giuliani? Consideriamo un esempio tratto da I rapporti:

«Della mia vita, in un certo giorno, non seppi più nulla, soltanto quello che rivelò il barbiere domandando dei miei figli e m’accorsi di non averne mai saputo, guardandomi bene negli occhi sopra

8. Come nota Cortellessa, le pubblicazioni Oscar Mondadori dedicate alla po- esia del Novecento iniziano proprio con le opere di Porta (Poesie 1956-1988, a cura di N. Lorenzini, Mondadori, 1998) e di Pagliarani (Romanzi in versi. La ragazza Carla e la ballata di Rudi, Mondadori, 1997). Cfr. Cortellessa (2006, p. 278).

9. Porta non partecipa all’incontro di Palermo che dà vita al gruppo, ma è pre- sente ai successivi; ad esempio a quello sul romanzo sperimentale del 1965.

la schiuma e i riflessi del rasoio. Uscii e impolverai le scarpe tra le pietre, e proseguii, le stringhe slacciate, sulla via di casa, il

gocciolío del sudore: entrando qualcosa accadde, non ricordo; dietro il portone, immobile tra i cristalli, l’ostilità di mia moglie e mi chiesi chi era.

Per togliere la polvere, chinato, si recidevano le stringhe, la fronte mi sanguinava, tra i cristalli spezzati, le stringhe tra i capelli, e premevo, frugando tra le schegge, scrivendo nella polvere, la lingua mi si tagliava,

lambendo, il sangue colava dagli occhi, sulle tempie, i figli non sanno nulla... »

Il titolo di questa poesia è Rapporti umani, xi. La poesia di Porta

ha come punto di partenza «l’importanza dell’evento esterno» e la

necessità di definire «le immagini dell’uomo o degli uomini, delle cose

e dei fatti che operano all’esterno e all’interno dell’esistenza» (Giulia- ni, 1965, p. 194). Il soggetto scompare, dunque, o diventa personaggio (cfr. Testa, 2005): in questo modo Porta è pienamente in sintonia con la poetica riassunta da Giuliani nell’Introduzione ai Novissimi. Cose e

fatti sono presentati per spezzoni, a volte senza legami sintattici o se- mantici fra le frasi (soprattutto in Week-end); tuttavia non si arriva mai

alla decostruzione e al livello di asemanticità di Balestrini o Sanguineti (cfr. Siti, 1975, pp. 47-62). Permangono, invece, una componente di attrazione per le cose – probabilmente ereditata dalla vicinanza alla poetica fenomenologica di Anceschi – e una tendenza narrativa, che coesistono con momenti di oscurità e con una ricerca quasi di violenza all’interno dei versi (cfr. Agosti, 1995, pp. 153-65; Cortellessa, 2006, pp. 273-84). «La condizione allegorica della poesia di Porta consiste pro- prio nella compresenza dialettica, o piuttosto nel fort-da, di positivo e negativo, di comunicazione e oscurità» (Cortellessa, 2006, p. 279). La

necessità di comunicazione prevarrà nei libri dell’ultima fase, da metà anni Settanta in poi (cfr. cap. 7); ma la parte più interessante della sua opera è la prima. Qui l’orrore e la grandezza del mondo quotidia- no sono rappresentati attraverso l’ossessione per immagini sessuali e violente, con un «ritmo antinomico», ovvero fondato su coppie e op- posizioni antinomiche (Corti). A differenza di altri neoavanguardisti,

Porta non demolisce il linguaggio per contestarlo, quanto – almeno nelle intenzioni – per rivitalizzarlo.

Fin dalle sue prime poesie notevoli che apparvero sul “Verri” quattro anni fa, Nanni Balestrini mostrò una particolare predilezione a usare non tanto la letteratura quanto la carta stampata. Come i biglietti scaduti, le bancono-

te svalutate, i vecchi avvisi economici, i morti titoli di giornale dei collages di Kurt Schwitters, le parole già scritte che Balestrini preleva dal fuggevole mondo quotidiano sono pezzetti di realtà di per sé insignificanti e desti- nati a scomparire nella ruota del consumo; recuperati e sorpresi nella loro inattesa libertà e capacità di sopravvivenza, essi vengono montati nel più

stupefacente e ordinato disordine che si possa immaginare (Giuliani, 1965, pp. 27-8).

Con queste parole Alfredo Giuliani introduce le poesie di Nanni Ba- lestrini (1935) nella sua antologia del 1961. Nello stesso anno esce Il sasso appeso (Scheiwiller), libro d’esordio di Balestrini. È il decennio

della Neoavanguardia: Balestrini è tra i fondatori del Gruppo 63 e tra gli organizzatori dei suoi principali incontri. Già redattore del “Verri”, contribuirà a creare alcune riviste italiane (ad esempio “Quindici” e “Alfabeta”) e a promuovere sia festival sia numerose iniziative legate alla performance poetica. Dopo una lunga collaborazione con la Fel- trinelli e una militanza politica altrettanto lunga, fugge in esilio in Francia nel 1979, in quanto accusato di associazione sovversiva, banda armata e partecipazione a diciannove omicidi; rientrerà in Italia una volta prosciolto, nel 1984.

Fin dagli esordi, la poesia di Balestrini aspira a sovvertire la lingua per sovvertire la società – o, quanto meno, per manifestare dissenso verso il proprio tempo. L’opera in versi di Balestrini, così come i suoi romanzi, è esplicitamente politica; e lo è nelle forme tipiche dell’arte neoavanguardista. «Un atteggiamento fondamentale del fare poesia diviene dunque lo “stuzzicare” le parole», si legge nella sua dichiarazio- ne di poetica contenuta nell’antologia di Giuliani. Nelle prime raccol- te prevalgono l’asintassia, la scompaginazione semantica e strutturale fra le parole, l’uso del cut-up e di formule per costruire la versificazio-

ne: l’autore decostruisce la lingua, ne mostra e esaspera gli elementi di automatismo, sfida il lettore a ricomporre il senso (ad esempio, con le

Tavole presenti in Appendice a Come si agisce). Per Balestrini, influenza-

to dallo strutturalismo che si afferma in questi anni, la poesia è innan- zitutto linguaggio, inteso come

fatto verbale, impiegato cioè in modo non-strumentale, ma assunto nella sua

totalità, sfuggendo all’accidentalità che lo fa di volta in volta riproduttore di immagini ottiche, narratore di eventi, somministratori di concetti... Questi aspetti vengono ora situati sullo stesso piano di tutte le altre proprietà del linguaggio, come quelle sonore, metaforiche, metriche..., tendono al limite a essere considerati puro pretesto10.

Negli anni Settanta le sperimentazioni di Balestrini continueranno. Una delle sue opere più interessanti è senz’altro Le ballate della si- gnorina Richmond (Cooperativa Scrittori, 1977). La signorina Rich-

mond è un personaggio allegorico: una donna-uccello immagine del- la rivoluzione impossibile. Ma, come sottolinea Cortellessa, è anche una controfigura di Balestrini stesso, il quale «non esclude né dissi- mila, a differenza di [...] Pagliarani, la messa in scena dell’io e delle sue autobiografiche vicende». Per questo motivo Cortellessa parla di un’«epica paradossale» (Cortellessa, 2006, p. 285).

Anche partendo dalla premessa che la poesia è e deve essere oppo- sizione al mondo conformista in cui l’autore vive, tuttavia, e anche accettandone la possibile natura ambigua e assurda (ibid.), rimane

irrisolto un problema: su cosa fondare il testo poetico? Come evita- re che l’unica via d’uscita dall’assenza di senso sia il volontarismo, la decisione arbitraria e momentanea della verità di un gesto (cfr. Siti, 1975, p. 46)? Ma questo, d’altronde, è il rischio intrinseco di tutta la Neoavanguardia.

5.5