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La fine annunciata di un discutibile automatismo: Corte costituzionale e recidiva obbligatoria a confronto

La recidiva dinanzi alla Carta costituzionale

9. La fine annunciata di un discutibile automatismo: Corte costituzionale e recidiva obbligatoria a confronto

Il lungo cammino costituzionale della recidiva si conclude (per ora) con la sentenza 185 del 2015127, mediante la quale la Consulta sferra un attacco deciso a uno degli aspetti più controversi dell’aggravante, così come rimodellata dalla legge

ex Cirielli: ci riferiamo al regime di obbligatorietà previsto dal quinto comma

dell’art. 99 c.p. nelle ipotesi di commissione di reati di particolare gravità e allarme sociale128.

126 Così P.PITTARO, voce Recidiva, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 1996, p. 368, il quale sottolinea come il reato continuato si caratterizzi per un maggior favor nei confronti del reo, che discende dal medesimo disegno criminoso, a differenza della recidiva, con la quale il legislatore vuole punire più severamente il soggetto che non si è distolto dal crimine neppure in seguito a una sentenza irrevocabile di condanna. Ugualmente critici sono E. ALTAVILLA, Appunti sulla recidiva, in Arch. pen., 1965, p. 261, poiché «recidiva e continuazione hanno una struttura giuridica essenzialmente diversa»; V.MIRANDA, Recidiva aggravata e reati della stessa indole, in Giust. pen., 1971, II, c. 302, il quale parla di istituti «in aperta antitesi tra di loro»; S.TIGANO, La recidiva reiterata fra teoria e prassi, cit., p. 305, laddove ritiene «alquanto improbabile che possa fruire del cumulo giuridico di pene, in luogo di quello materiale, chi si sia visto applicare l’aggravante della recidiva». In giurisprudenza si veda Cass. pen., Sez. V, 11 novembre 2010, n. 5761, in Cass. pen., 2012, p. 972, la quale ha affermato che «non vi è compatibilità tra recidiva e continuazione, con la conseguenza che non può tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunciata sentenza passata in giudicato, valutato come più grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un'unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso, con la conseguenza che non è possibile ritenere la recidiva per gli episodi successivi al primo. Tra i due istituti esiste, pertanto, assoluta antitesi, valorizzando la recidiva la speciale proclività a delinquere, espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse ed elidendo la continuazione proprio la predetta autonomia, collegando ed unificando i diversi episodi criminosi».

127 Corte cost., sent. 23 luglio 2015, n. 185, in Giur. cost., 2015, p. 1400, con nota di M. PELISSERO,

L’incostituzionalità della recidiva obbligatoria. Una riflessione sui vincoli legislativi alla discrezionalità giudiziaria. Sulla medesima pronuncia si vedano R. BARTOLI, Recidiva obbligatoria ex art. 99.5 c.p.: la

Corte costituzionale demolisce l’ultimo automatismo, in Giur. it., 2015, p. 2484 ss.; D. BIANCHI, Cade l’ipotesi

speciale di obbligatorietà: la Consulta prosegue nell’opera di disinnesco degli automatismi della recidiva, in Cass. pen., 2016, p. 30 ss.; R. ENNA, La recidiva riformata e il suo naufragio costituzionale, in Studium Iuris, 2016, p. 417 ss.; F. ROCCHI, Cadono l’obbligatorietà della recidiva “qualificata” e il relativo automatismo

sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2015, p. 1493 ss.; F. URBAN, Sulla illegittimità costituzionale

dell’applicazione obbligatoria della recidiva anche ai reati di particolare gravità e allarme sociale, in www.penalecontemopraneo.it, 4 febbraio 2016.

128 Sulla genesi della disposizione di cui all’art. 99, comma 5, c.p. si veda, per tutti, T. PADOVANI,

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La pronuncia, non così innovativa nei principi sottesi, è di fondamentale importanza perché, per la prima volta, censura in via diretta la disposizione di cui all’art. 99 c.p. e non, come avvenuto in precedenza, tutte le norme satellite che prevedono gli “effetti indiretti” della recidiva.

Le questioni di legittimità costituzionale che hanno condotto all’arresto del Giudice delle leggi in commento sono due: l’una sollevata dalla Cassazione129, l’altra dalla Corte di appello di Napoli130.

Entrambi i giudici a quo lamentavano la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della manifesta irragionevolezza della norma censurata e dell’identità di trattamento di situazioni diverse, nonché dell’art. 27, comma 3, Cost., posto che il denunciato automatismo lederebbe il principio di proporzionalità della pena.

La Consulta, mediante un’articolata motivazione, giunge a una dichiarazione di parziale illegittimità della norma, limitatamente alle parole «è obbligatorio e,»131, valorizzando due aspetti: da un lato, la discrezionalità della recidiva, quale

materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), in Leg. pen., 2006, in particolare pp. 450-452.

129 Ci riferiamo a Cass. pen., Sez. V, ord. 10 settembre 2014, n. 37443, in Dir. pen. proc., 2015, p. 47, con nota di F.ROCCHI, «Semel malus semper praesumitur esse malus»: dubbi di legittimità costituzionale

del regime obbligatorio di una recidiva generica. Si veda altresì A.LONGO, La Corte di cassazione apre le

porte di Palazzo della Consulta alla recidiva obbligatoria, in www.osservatorioaic.it, 16 gennaio 2015. È

opportuno sottolineare come in precedenza la Suprema Corte fosse già stata chiamata a valutare la legittimità costituzionale del regime obbligatorio previsto dall’art. 99, comma 5, c.p., senza tuttavia ritenere mai fondate le eccezioni sollevate: cfr. Cass. pen., Sez. II, 21 novembre 2012, n. 8076, in

www.iusexplorer.it; Cass. pen., Sez. II, 9 febbraio 2011, n. 6950, in Cass. pen., 2012, p. 156, nella quale si

legge testualmente che «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, c.p., proposta, con riferimento agli art. 3, 25 e 27 Cost., per la maggiore severità della disciplina della recidiva reiterata nel caso di realizzazione di un delitto di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., stante la non irragionevolezza della previsione normativa, in quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da notevole allarme sociale, e indicative del perdurare della capacità a delinquere del reo».

130 Cfr. Corte app. Napoli, Sez. III, ord. 19 novembre 2014, in Gazz. uff., 25 marzo 2015, n. 12.

131 In seguito alla parziale declaratoria di illegittimità, quindi, l’aumento di pena apportato per l’aggravante ex art. 99, comma 5, c.p., non può essere legato esclusivamente al dato formale del titolo del reato. Cfr., sul punto, Cass. pen., Sez. V, 7 dicembre 2015, n. 48341, in Riv. pen., 2016, p. 608: «alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015, l’aumento di pena apportato per la recidiva presuppone un accertamento della concreta significatività del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresì riguardo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo»; Cass. pen., Sez. I, 4 febbraio 2016, n. 25143, in www.ilpenalista.it, 28 settembre 2016, con nota di G. BONIFACIO, Incostituzionalità della recidiva obbligatoria aggravata. Prime applicazioni.

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presupposto indefettibile di legittimità della stessa, dall’altro, la tendenziale incostituzionalità di tutte presunzioni assolute in materia penale.

In primo luogo, la Corte ricostruisce i lineamenti della recidiva e in ciò condivide quanto da lei stessa già affermato nella sentenza 192 del 2007, vera e propria «stella polare nell’interpretazione del nuovo art. 99 c.p.»132, secondo la quale l’aggravante rispecchia una più accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosità del già reo, che devono essere accertate nel caso concreto133.

Il fondamento “ambivalente” della recidiva è stato più volte riconosciuto anche dalla Cassazione, finanche nella sua composizione più autorevole, nel momento in cui ha stabilito che in tutte le ipotesi previste dall’art. 99 c.p. – ad eccezione di quella di cui al quinto comma – è compito del giudice verificare concretamente se la ricaduta nel crimine è un sintomo effettivo di riprovevolezza e/o pericolosità, in relazione alla natura degli illeciti, alla qualità dei comportamenti, alla distanza temporale e a ogni possibile parametro individualizzante134.

Il discorso muta in radice qualora ci si debba occupare del peculiare caso della recidiva obbligatoria: un simile accertamento è difatti precluso, in quanto l’aumento di pena è obbligatorio e discende unicamente dall’appartenenza del nuovo delitto al “catalogo” di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.

Un così rigido automatismo, basato solo sul dato formale del titolo del nuovo reato, è del tutto privo di ragionevolezza, perché «inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo. L’obbligatorietà stabilita dal quinto comma dell’art. 99 cod. pen. impone l’aumento

132 Espressione utilizzata da F. ROCCHI, «Semel malus semper praesumitur esse malus»: dubbi di

legittimità costituzionale del regime obbligatorio di una recidiva generica, cit., pp. 53-54.

133 Cfr. Corte cost., sent. 14 giugno 2007, n. 192, cit.

134 Cfr. gli arresti a Sezioni Unite e le pronunce ivi richiamate: Cass. pen., Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35738, cit.; Cass. pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798, in Cass. pen., 2011, p. 4193, con nota di L.AGOSTINI, Sez. un., 24 febbraio 2011, Indelicato: il sistema neutralizza un corpo estraneo.

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della pena anche nell’ipotesi in cui esiste un solo precedente, lontano nel tempo, di poca gravità e assolutamente privo di significato ai fini della recidiva»135.

In altri termini, la Corte censura l’aumento obbligatorio fondato su una presunzione assoluta di maggiore pericolosità e colpevolezza poiché quest’ultima non riflette l’id quod plerumque accidit. È noto, infatti, che il Giudice delle leggi non sia aprioristicamente contrario alla presenza di presunzioni assolute in materia penale, tuttavia richieda un’attenta verifica in merito alla validità della regola alla base delle stesse, con la conseguente illegittimità ex art. 3 Cost. di tutte quelle prive di un solido fondamento empirico o scientifico136.

Tale linea argomentativa ha iniziato a svilupparsi già nel momento in cui la Corte si è dovuta confrontare con le ipotesi di pericolosità sociale presunta nell’ambito delle misure di sicurezza prima della legge c.d. Gozzini137: così ha dichiarato l’incostituzionalità della presunzione di pericolosità del minore di anni quattordici perché priva di fondamento, in quanto semmai, «data la giovanissima età del soggetto, la pericolosità rappresenta l'eccezione, per cui l'obbligatorietà ed automaticità del ricovero in riformatorio giudiziario non ha giustificazione alcuna»138.

Nello stesso modo, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’applicazione automatica, anche a notevole distanza dal fatto, della misura dell’ospedale psichiatrico giudiziario al soggetto prosciolto per inferiorità psichica,

135 Rlievante passaggio presente nella motivazione di Corte cost., sent. 23 luglio 2015, n. 185, cit.

136 Cfr., ex plurimis, Corte cost., sent. 18 luglio 2013, n. 213, in Giur. cost., 2013, p. 2970; Corte cost., sent. 12 maggio 2011, n. 164, ivi, 2011, p. 2149. In generale sulle presunzioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale si veda l’ampio e dettagliato quadro tracciato da L.PACE, Gli automatismi

legislativi nella giurisprudenza costituzionale, in www.gruppodipisa.it, 18 settembre 2014, il quale affronta

la tematica in un’ottica critica, parlando di una sorta di «presunzione di irragionevolezza» delle stesse (p. 2).

137 Legge 10 ottobre 1986, n. 663, recante “Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, in Gazz. uff., 16 ottobre 1986, n. 241, il cui art. 31 ha abrogato l’art. 204 c.p. e ha stabilito che «tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa».

138 Cfr. Corte cost., sent. 20 gennaio 1971, n. 1, in Giur. cost., 1971, p. 1, con nota di G. VASSALLI,La pericolosità sociale presunta del minore non imputabile, il quale correttamente sostiene come il principio

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in quanto poggiava su una presunzione di persistenza della stessa infermità priva di basi scientifiche139.

Ora, ritornando a occuparci della disposizione di cui al quinto comma dell’art. 99 c.p., è palese che – come condivisibilmente affermato dalla Consulta – la presunzione assoluta ivi stabilita sia priva di un fondamento conforme a dati di esperienza generalizzati, poiché l’aumento di pena si giustifica unicamente sull’appartenenza del nuovo episodio delittuoso all’elenco dei reati indicati dall’art. 407 c.p.p., fatto che di per se non è in grado di esprimere nulla di significativo in ordine alla maggiore colpevolezza ovvero alla più accentuata pericolosità sociale del reo.

Tant’è vero che è abbastanza agevole ipotizzare situazioni concrete contrarie alla predetta generalizzazione: si pensi al caso di un soggetto condannato per un’ingiuria che commetta, molti anni dopo, una rapina aggravata, delitto quest’ultimo rientrante nel “catalogo” previsto dalla norma del codice di rito140.

A sostegno di quanto detto si può ricordare anche la fattispecie che ha dato luogo al giudizio di legittimità, nella quale un individuo, con alle spalle un lontano precedente per rissa, era imputato per l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione minorile. Ebbene, il giudice di primo grado, pur errando nel non ritenere il delitto ex art. 600 bis c.p. tra quelli indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., aveva escluso la recidiva, proprio perché tra i due illeciti non vi sarebbe stata nessuna relazione “qualificata” tale da rendere necessaria l’applicazione dell’aggravante141.

Per salvare la presunzione censurata non sarebbe stato neppure sufficiente recuperare l’interpretazione assolutamente minoritaria e più restrittiva del quinto

139 Ci riferiamo a Corte cost., sent. 27 luglio 1982, n. 139, in Giur. cost., 1982, p. 1191.

140 F. ROCCHI, Cadono l’obbligatorietà della recidiva “qualificata” e il relativo automatismo sanzionatorio, cit., p. 1502, sostiene inoltre come sia ben possibile che il nuovo reato sub judice, che dovrebbe essere espressivo di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale del reo, in realtà manifesti una «modesta rilevanza offensiva». In termini analoghi R. BARTOLI, Recidiva obbligatoria ex art. 99.5 c.p.: la

Corte costituzionale demolisce l’ultimo automatismo, cit., p. 2487, osserva come la gravità del nuovo reato

venga presa in considerazione «non in termini di disvalore concreto ma – per così dire – astratto. Più che l’offensività oggettiva del delitto, ciò che rileva è la sua qualificazione formale».

141 Cfr. Cass. pen., Sez. V, ord. 10 settembre 2014, n. 37443, cit., nella quale si afferma come tale situazione di fatto sia «esemplare» per dimostrare l’irragionevolezza della presunzione assoluta.

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comma dell’art. 99 c.p., propugnata da parte della dottrina e da alcuni tribunali di merito, ai sensi della quale il richiamo al “catalogo” di reati di particolare gravità e allarme sociale fosse «riferito congiuntamente sia al delitto fondante che a quello espressivo»142. Proprio tramite la valorizzazione dell’omogeneità tra i due distinti reati si sarebbe potuta ravvisare una base empirica più sicura per la supportare la fondatezza della presunzione assoluta cardine della recidiva obbligatoria143.

Tuttavia, tale omogeneità è soltanto apparente poiché – come ricordato dalla Corte – «l’elenco contenuto nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., concerne reati eterogenei, collegati dal legislatore solo in funzione di esigenze processuali e in particolare del termine di durata massima delle indagini preliminari»144, con la conseguenza che sono assolutamente inidonei a esprimere un comune dato significativo ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 99 c.p.

Tale ultimo passaggio ci spinge a formulare una considerazione. Probabilmente, se l’art. 99, comma 5, c.p. avesse previsto una recidiva effettivamente specifica, con la presenza di fattispecie omogenee dal punto di vista criminologico, il Giudice delle leggi non avrebbe dichiarato l’incostituzionalità di un siffatto automatismo sanzionatorio, fondato su una ragionevole – o quantomeno

142 Sostiene tale interpretazione S. CORBETTA, Il nuovo volto della recidiva: “tre colpi e sei fuori”?, cit., pp. 79-80. In giurisprudenza si veda Trib. Milano, 24 novembre 2006, in Foro ambr., 2006, p. 406: in tale pronuncia si afferma espressamente che «l’obbligatorietà dell’aumento presuppone che tanto il reato espressivo che quello presupposto siano richiamati dalla disposizione processuale di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.». Come detto, tale interpretazione è assolutamente minoritaria in giurisprudenza, specie dopo l’arresto a Sezioni Unite del 2011, nel quale è stata adottata la soluzione opposta, per cui «la maggiore rigidità degli effetti si ha nei soli casi in cui il nuovo delitto commesso rientri nell’elenco dettato dall’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.» (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798, cit.). Condivide appieno la tesi accolta dai giudici di legittimità M.CASSANO, La

recidiva nella giurisprudenza di legittimità: questioni irrisolte, problemi ancora aperti, in Dir. pen. proc., 2012,

Gli Speciali, p. 31, secondo cui «tale conclusione appare maggiormente coerente con riguardo alla ratio complessiva sottesa all’intero istituto», dal momento che «è incontestabile che la commissione da parte del recidivo di un nuovo, più grave reato, ricompreso nel catalogo è espressiva di una più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità sociale».

143 Cfr. F.ROCCHI, «Semel malus semper praesumitur esse malus»: dubbi di legittimità costituzionale del

regime obbligatorio di una recidiva generica, cit., p. 62, secondo la quale l’interpretazione restrittiva che

richiede l’omogenea particolare gravità dei due delitti sembra essere «l’unica che possa rendere conforme ai principi costituzionali di uguaglianza, personalità della responsabilità penale e finalismo rieducativo un simile regime presuntivo di maggiore pericolosità».

144 L’eterogeneità del “catalogo” ex art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., è puntualmente sottolineata da Corte cost., sent. 23 luglio 2015, n. 185, cit.

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non irragionevole – presunzione di maggiore pericolosità o colpevolezza dell’autore.

La soluzione qui proposta parrebbe essere avvallata da una precedente sentenza della Corte, che dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ipotesi di recidiva obbligatoria prevista dall’art. 296 d.P.R. 43/1973 (c.d. recidiva in contrabbando)145.

Tale norma prevede due ipotesi speciali di recidiva, una specifica e l’altra reiterata specifica146, che si differenziano rispetto alla figura generale di cui all’art. 99 c.p. proprio per il regime di obbligatorietà che le caratterizza147. Ebbene, la Consulta non ha ritenuto la disciplina in contrasto con l’art. 3 Cost., valorizzando l’affinità strutturale degli illeciti, tutti ricompresi nell’ambito doganale, materia quest’ultima che necessita, inoltre, «per la delicatezza degli interessi protetti, una tutela particolarmente efficace»148.

145 Per comodità, si riporta in nota il testo dell’art. 296: «1. Colui, che dopo essere stato condannato per delitto di contrabbando preveduto dal presente testo unico o da altra legge fiscale, commette un altro delitto di contrabbando per il quale la legge stabilisce la sola multa è punito, oltre che con la pena della multa, con la reclusione fino ad un anno. 2. Se il recidivo in un delitto di contrabbando preveduto dal presente testo unico o da altra legge fiscale commette un altro delitto di contrabbando per il quale la legge stabilisce la sola multa, la pena della reclusione comminata nella precedente disposizione è aumentata dalla metà a due terzi. 3. Quando non occorrono le circostanze prevedute in questo articolo, la recidiva nel contrabbando è regolata dal codice penale». Il d.P.R. 43/1973 è stato recentemente oggetto di alcune modifiche, attuate tramite il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che hanno interessato – seppur indirettamente – l’art. 296. In argomento si veda amplius S. BOLIS,

Depenalizzazione del contrabbando e attenuata tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, in www.penalecontemporaneo.it, 8 novembre 2016, in particolare pp. 4-5.

146 Per una puntuale analisi di queste due peculiari figure di recidiva si rimanda a G.FLORA, Le

disposizioni speciali sulla recidiva, abitualità e professionalità, in A.DI AMATO (diretto da), Trattato di

diritto penale dell’impresa, vol. VI, I reati doganali, Padova, 1999, pp. 138-141; M.G. MAGLIO – F. GIANNELLI, Aspetti sostanziali e processuali della recidiva in contrabbando, in Riv. pen., 1998, pp. 417-420, i quali tuttavia dubitano della legittimità costituzionale delle stesse, dal momento che l’obbligo di aumento di pena appare viziato da una «enorme irragionevolezza» ex art. 3 Cost.

147 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 5 novembre 1991, Bismuto, in Cass. pen., 1991, p. 2614, laddove afferma che «la formulazione dell’art. 296 l. doganale prevede che la recidiva in contrabbando ha una connotazione autonoma rispetto a quella di cui all’art. 99 c.p. in quanto è obbligatoria e non facoltativa e va considerata come una particolare circostanza aggravante soggettiva siccome inerente alla persona del colpevole».

148 Fondamentale passaggio argomentativo presente in Corte cost., sent. 12 gennaio 1977, n. 5, in Giur.

cost., 1977, p. 25. Commenta criticamente tale pronuncia E.DINACCI, Contrabbando e reati doganali, in Giust. pen., II, 1986, in particolare cc. 669-670, la quale sostiene come le argomentazioni della Consulta

si basino esclusivamente su «clausole di stile», giungendo a soffocare «una delle più significative riforme penali», che aveva esaltato il ruolo e il potere discrezionale dei giudici.

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Certo, non si può sottovalutare la circostanza che tale pronuncia risale alla fine degli anni Settanta, nel momento in cui i “giudizi di fatto”149 sulla misura delle pene non erano ancora penetrati nel sindacato costituzionale, né era maturato in seno alla Corte l’ostracismo nei confronti delle presunzioni assolute di pericolosità soggettiva. Lo stesso cammino costituzionale della recidiva era agli albori, non erano stati ancora enunciati i requisiti “sostanziali” per l’applicazione dell’aggravante, per cui è ipotizzabile anche uno scenario diverso, nel quale la Corte decida di modificare il proprio precedente orientamento e di dichiarare l’illegittimità della recidiva in contrabbando, senza con ciò intaccare le prerogative

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