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Conseguenze in ordine alla ritenuta natura circostanziale dell’istituto

Le prospettive future della recidiva

3. Conseguenze in ordine alla ritenuta natura circostanziale dell’istituto

Il problema della natura giudica della recidiva, lungi dall’essere meramente teorico, porta con sé numerose conseguenze pratico-applicative: l’appurato carattere circostanziale, invero, fa sì che l’istituto debba seguire peculiari regole, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, che cercheremo di illustrare nelle pagine seguenti.

In primo luogo, la recidiva è un’aggravante soggettiva, nello specifico inerente alla persona del colpevole ex art. 70, comma 2, c.p., per cui, in caso di concorso di persone, non si applica agli altri concorrenti nel reato: tale assunto trova conferma nel nuovo testo dell’art. 118 c.p., così come novellato dalla legge 7 febbraio 1990, n. 1921, e nella giurisprudenza immediatamente successiva alla riforma22.

20 Ai sensi dell’art. 63, comma 4, c.p., «se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla». Nel caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite, all’imputato era stata contestata la circostanza di aver commesso una rapina con armi, da più persone riunite e travisate (art. 628, comma 3, n. 1, c.p.), oltre alla recidiva reiterata: quest’ultima è stata ritenuta dalla Cassazione la più grave.

21 Ai sensi del novellato art. 118 c.p., «le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono».

22 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 24 marzo 1993, n. 853, in Cass. pen., 1995, p. 277, nella quale si chiarisce che «a seguito della sostituzione del testo dell'art. 118 c.p. ad opera dell'art. 3, l. 7 febbraio 1990, n. 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilità ed alla recidiva. Conseguentemente, sono ancora valutate riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'art. 70 comma 1, n. 2 c.p., cioè quelle attinenti alle qualità personali del colpevole ed ai rapporti

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Restando sempre in tema di imputazione soggettiva, si deve ritenere che la recidiva, come tutte le altre aggravanti, soggiaccia al criterio di cui all’art. 59, comma 2, c.p., ai sensi del quale, quindi, la precedente sentenza di condanna deve quantomeno essere conoscibile per il reo23. La giurisprudenza non si è mai soffermata troppo sul punto, mentre autorevole dottrina ha sostenuto come tale conseguenza sia frutto di una precisa scelta del legislatore, che ha consapevolmente deciso di non inserire, all’interno della disposizione in esame, una disciplina derogatoria per la recidiva e l’imputabilità24.

Si potrebbe persino affermare, interpretando l’istituto in un’ottica di maggiore colpevolezza per il fatto25, che la sentenza irrevocabile debba svolgere il ruolo di “monito”26 e, per tale ragione, sia necessaria la sua conoscenza in termini effettivi da parte del reo27. Tale lettura, che disattende il disposto dell’art. 59, comma 2, c.p., sembrerebbe essere avvallata anche da una recente pronuncia dei giudici di legittimità, i quali hanno chiarito come il soggetto autore del nuovo crimine debba

tra il colpevole e la persona offesa». Si veda altresì Cass. pen., Sez. VI, 28 aprile 1993, Battuello, in

Giust. pen., 1993, III, c. 686; Cass. pen., Sez. VI, 26 aprile 1991, in Cass. pen., 1993, p. 82.

23 Com’è noto, la l. 7 febbraio 1990, n. 19, ha modificato il regime di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti, differenziandolo da quello obiettivo previsto per le attenuanti. In argomento si veda, per tutti, A.MELCHIONDA, La nuova disciplina di valutazione delle circostanze del reato, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1990, p. 1433 ss., il quale, significativamente, parla di «un’importanza storica di questo

intervento legislativo».

24 Così E.M. AMBROSETTI, Recidiva e recidivismo, cit., p. 38, nella parte in cui chiarisce che l’assenza, nella disposizione ex art. 59 c.p., di un’esplicita deroga per le circostanze inerenti alla persona del colpevole «non può essere affatto letta come frutto di errore o dimenticanza legislativa. Di conseguenza, essa deve intendersi come espressione di una precisa voluntas legis diretta ad includere nel nuovo regime di imputazione personale anche la recidiva e l’imputabilità».

25 Sul dibattito in merito al fondamento della recidiva si rinvia al paragrafo settimo del presente Capitolo.

26 Sembra attribuire un siffatto ruolo alla precedente condanna A.R.LATAGLIATA,Contributo allo studio della recidiva, cit., p. 253. Secondo l’Autore, «il ricordo del giudicato arricchisce l’attitudine del

soggetto a comprendere il contenuto del divieto legislativo ed a conoscere il disvalore dell’azione».

27 In termini non dissimili si veda la posizione di R. BARTOLI, Lettura funzionale e costituzionale della

recidiva e problemi di razionalità del sistema, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, pp. 1700-1701, secondo il quale

«è indispensabile che la precedente condanna sia conosciuta in termini effettivi dal reo, non essendo sufficiente la mera conoscibilità, anche in virtù dell’inesistenza di un dovere di conoscere le proprie condanne». Analogamente G.MARINUCCI –E.DOLCINI,Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed.

(aggiornata da E.DOLCINI –G.L.GATTA), Milano, 2015, p. 574: «perché la commissione del nuovo delitto possa denotare nel caso concreto insensibilità all’ammonimento derivante dalla precedente condanna è necessario, in deroga alla disciplina generale dell’imputazione delle circostanze aggravanti, che l’agente sia a conoscenza di quella condanna».

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essere «a quel momento in condizione di conoscere tutte le conseguenze penali che ne derivano e, dunque, anche le condanne a quella data irrevocabili»28.

Da un punto di vista processuale, l’aggravante di cui all’art. 99 c.p. – per costante giurisprudenza – deve essere obbligatoriamente contestata dal Pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio29. La soluzione offerta dalla Suprema Corte si pone in linea con quanto stabilito dalla normativa del codice di rito: l’art. 519, comma 1, c.p.p., infatti, pur prevedendo una disciplina derogatoria in ordine al diritto del termine di difesa per la contestazione suppletiva della recidiva, implicitamente conferma che a quest’ultima si applica la regola della previa contestazione30.

Nell’ambito del giudizio abbreviato non condizionato, in particolare, la Cassazione ha chiarito che il Pubblico ministero non possa modificare l’imputazione con la contestazione aggiuntiva della recidiva, dal momento che l’art. 441, comma 1, c.p.p., non richiama l’art. 423 c.p.p. in tema di circostanze31. L’arresto è di particolare interesse, proprio perché, una volta ancora, i giudici qualificano l’istituto ex art. 99 c.p. come «una aggravante del reato a tutti gli effetti»32 che, come tale, deve seguire le regole sancite dall’ordinamento per tale categoria.

28 Tale rilevante passaggio, che sembrerebbe derogare alla disciplina prevista dall’art. 59 c.p., è presente in Cass. pen., Sez. II, 27 settembre 2013, n. 41806, in Riv. pen., 2013, p. 1244, fattispecie concernente un caso di recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma 4, c.p.

29 Cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35738, cit., laddove si afferma che «la recidiva opera infatti nell'ordinamento quale circostanza aggravante, che come tale deve essere obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero in ossequio al principio del contraddittorio». Si veda, inoltre, Cass. pen., Sez. I, 26 marzo 2009, n. 16001, in www.iusexplorer.it, nella parte in cui stabilisce che la recidiva può determinare l'aumento di pena se contestata, «a nulla rilevando che non risulti dal certificato penale».

30 Cfr., sul punto, le considerazioni di G.PIFFER, I nuovi vincoli alla discrezionalità giudiziale: la disciplina

della recidiva, in www.penalecontemporaneo.it, 30 dicembre 2010, p. 17, il quale fa espresso riferimento

alla normativa processuale di cui agli artt. 516 ss. c.p.p.: l’art. 519, comma 1, del codice di rito, in particolare, sancisce la possibilità per l’imputato di chiedere un termine per la difesa «salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva».

31 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 13117, in Cass. pen., 2011, p. 1852. Nella sentenza si legge espressamente che «nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, non è applicabile la disposizione di cui all'art. 423 c.p.p. in tema di modifica dell'imputazione, sicché il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva determina la nullità della sentenza pronunciata all'esito di tale giudizio».

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Sempre in tema di contestazione, quest’ultima deve essere anche specifica e non generica, posto che alle diverse forme dell’aggravante conseguono distinti effetti sanzionatori: basti qui pensare al “doppio binario”, ben più afflittivo, previsto per i recidivi reiterati. Ebbene, il giudice non può ravvisare una forma di recidiva più grave rispetto a quella contestata, pena violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sancito dall’art. 521 del codice di rito33.

Per ciò che concerne l’indefettibile presupposto del precedente giudicato, si rendono necessarie alcune precisazioni. Tale è considerato anche il decreto penale

ex artt. 459 ss. c.p.p.34 nonché la pronuncia di patteggiamento, che, secondo l’art. 445, comma 1 bis, del codice di rito è espressamente «equiparata a una sentenza di condanna»35, mentre non rileva la sentenza di proscioglimento, neppure se si applica il perdono giudiziale36.

Ai sensi dell’art. 106 c.p., inoltre, il legislatore del 1930 ha specificato che il giudice debba tener conto, ai fini della recidiva, di tutte quelle condanne per le quali

33 Cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 gennaio 2010, n. 5849, in www.iusexplorer.it; Cass. pen., Sez. II, 7 luglio 2009, n. 37523, ivi, nella parte in cui afferma che «costituisce violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza l'affermazione, in sentenza, della recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma quarto, cod. proc. pen., con il conseguente divieto di comparazione con le circostanze attenuanti, a fronte della contestazione soltanto della recidiva di cui all'art. 99, comma secondo, cod. proc. pen.». Una delle prime sentenze nelle quali è enunciato in modo chiaro tale principio è Cass. pen., Sez. VI, 27 febbraio 1996, n. 5335, in Cass. pen., 1997, p. 2075: «la necessità di contestazione puntuale dei singoli tipi di recidiva sussiste tutte le volte che il giudice, con riferimento alla medesima, debba praticare un correlativo aumento della pena e comunque in ogni ipotesi in cui dalla sussistenza di una determinata ipotesi di recidiva debba derivare all'imputato uno svantaggio giuridicamente apprezzabile. Invero, essendo la recidiva una circostanza aggravante del reato, essa non può produrre l'effetto dell'inasprimento della pena se non quando risulti contestato il correlativo tipo».

34 Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 15 novembre 2006, n. 40302, in www.iusexplorer.it, la quale chiarisce come anche le condanne riportate a seguito di procedimento per decreto rilevino ai fini della recidiva. Nella pronuncia si legge che «l'art. 99 c.p. richiede solo che vi sia stata una statuizione di condanna, non anche che questa consegua solo ad un giudizio ordinario, anziché ad un giudizio svoltosi nelle forme di procedimento speciale».

35 Anche i giudici di legittimità hanno ribadito il medesimo concetto, affermando che «la condanna a pena patteggiata costituisce precedente idoneo a determinare aumenti a titolo di recidiva, giacché l'ultimo periodo del comma 1 bis dell'art. 445 c.p.p. stabilisce che salve diverse disposizioni di legge, la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una pronuncia di condanna» (cfr. Cass. pen., Sez. II, 4 novembre 2008, n. 90, in Guida dir., 2009, 11, p. 66).

36 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2012, n. 41231, in Cass. pen., 2013, p. 3992, nella quale si chiarisce come «la concessione del perdono giudiziale, pur presupponendo un accertamento della colpevolezza dell'imputato, si sostanzia nella rinuncia da parte dello Stato alla condanna che avrebbe meritato per il reato commesso e ne determina il proscioglimento, cosicché non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva». Nello stesso senso, si veda la più recente Cass. pen., Sez. V, 16 ottobre 2015, n. 2655, in www.iusexplorer.it.

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sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena – come l’indulto37, la sospensione condizionale38 e l’amnistia impropria39 – salvo che questa estingua anche gli effetti penali.

Rientrano in quest’ultima categoria la riabilitazione ex art. 178 c.p., le sentenze seguite da dichiarazione di illegittimità costituzionale e alcune specifiche cause estintive del reato, previste nella parte speciale: si pensi alla nullità del primo matrimonio o all’annullamento di quello contratto successivamente dal bigamo per causa diversa dalla bigamia40.

Secondo le Sezioni Unite, che si sono recentemente espresse sul punto, non si tiene conto neppure della condanna estinta in seguito all’esito positivo dell’affidamento in prova a servizio sociale41.

Per giungere a tale soluzione, evidentemente ispirata a logiche di prevenzione speciale, il Supremo collegio ha valorizzato in primis il dato normativo, dal momento che il nuovo art. 47, comma 12, ord. pen. parla di estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale42. Nella motivazione, inoltre, viene data

37 Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 30 settembre 1996, n. 516, in www.iusexplorer.it: «l'indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l'esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sentenza di condanna, tra i quali va compresa la recidiva. Ne consegue che quest'ultima può essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia stata condonata». Più recentemente si veda Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2015, n. 34147, in

www.iusexplorer.it.

38 Si veda Cass. pen., Sez. III, 26 marzo 2015, n. 28746, in www.iusexplorer.it, nella parte in cui afferma che «l’estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena non elimina gli effetti penali della condanna, della quale deve, pertanto, tenersi conto ai fini della recidiva»; Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010, n. 45351, in www.iusexplorer.it.

39 Cfr. Cass. pen., Sez. II, 28 aprile 1989, Sanzone, in Cass. pen., 1989, p. 2013: «in tema di recidiva, spiegano effetto le condanne per i reati rispetto ai quali vi sia stata applicazione di amnistia impropria perché quest’ultima fa cessare l’esecuzione della condanna e delle pene accessorie, ma non gli effetti penali della medesima».

40 L’art. 556, comma 3, c.p., infatti, prevede che in tali casi «il reato è estinto, anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato, e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».

41 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 5859, in Proc. pen. giust., 2012, fasc. 4, p. 58 ss., con nota di S. CIAMPI,L’affidamento in prova, la recidiva e le tessere mancanti nel mosaico delle Sezioni Unite. Nel

dispositivo si legge che «l’estinzione di ogni effetto penale prevista dall’art. 47, comma 12, ord. pen., in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, comporta, a mente dell’art. 106, comma 2, c.p., che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva».

42 Si riporta, per comodità, il testo dell’art. 47, comma 12, ord. pen., così come modificato dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito nella l. 21 febbraio 2006, n. 49: «L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora

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grande rilevanza al «comportamento virtuoso del condannato»43, il quale, ha dimostrato così di essere recuperato e presumibilmente non ricadrà più nel reato, per cui è opportuna la neutralizzazione di tutti gli effetti negativi della condanna.

Il discorso diviene più complesso quando ci si occupa delle condanne seguite da abolitio criminis: l’art. 2, comma 2, c.p., invero, stabilisce la regola generale, ai sensi della quale, nel momento in cui un fatto non costituisce più reato, devono cessare sia l’esecuzione sia – per quello che qui ci interessa – gli effetti penali.

Tuttavia, nonostante la chiara lettera della legge, un discutibile arresto della Cassazione ha sancito un principio di diritto diametralmente opposto, sull’assunto che la norma successiva non può in alcun modo «intaccare l'ormai acquisito status personale»44 del recidivo.

4. Dalla “recidiva internazionale” alla “recidiva europea”: una figura in via

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