• Non ci sono risultati.

In cammino verso il Codice Zanardelli

Il Regno d’Italia nasce nel 1861 sotto il segno dell’emergenza sociale e dell’incertezza giuridica.

Per ciò che concerne il primo aspetto, l’insurrezione di parte della popolazione meridionale, passata alla storia come il fenomeno del brigantaggio, mette in seria crisi l’unità del Paese appena realizzata. La risposta della classe dirigente non si fa attendere e viene realizzata tramite una legislazione eccezionale,

87 Il testo del codice è stato recentemente pubblicato in Codice penale per il Principato di Piombino (1808), ristampa anastatica, Padova, 2001.

34

dal carattere rigorosamente punitivo, necessaria per sedare sul nascere le ribellioni88.

Dal punto di vista più prettamente penalistico, la situazione si presenta alquanto frastagliata, dal momento che all’unità politica non è seguita quella giuridica89. All’interno della penisola italiana, infatti, fino al 1889 vi è la coesistenza di tre diversi codici penali, destinati a regolare la materia in aree territoriali ben definite. Quello quantitativamente più importante è il Codice sardo-piemontese del 185990, in vigore nell’intera Italia centro-settentrionale ma anche, con alcune modifiche e integrazioni, nel meridione: si parla, non a caso e non senza polemiche, di «piemontesizzazione»91 dell’Italia.

Tale anomala tripartizione non può durare a lungo in uno Stato che cerca di trovare un’unione e una coesione sociale anche attraverso il diritto, così, già dal 1863, si fa pressante l’esigenza di una profonda riforma del sistema penale.

In questo scenario in trasformazione, la recidiva si colloca in una posizione centrale, poiché viene affrontata dalle numerose commissioni che si susseguono a cavallo della metà del XIX secolo92, dal primo progetto De Falco del 1866, passando

88 Si sofferma su tale aspetto M.SBRICCOLI, Giustizia criminale, cit., pp. 195-196, il quale definisce il fenomeno delle insurrezioni nel meridione come una «mortale emergenza». Si veda anche D. ADORNI, Il brigantaggio, in Storia d’Italia, Annali 12, La criminalità, Torino, 1997, pp. 283-306.

89 La mancata adozione di un codice penale unitario risalta ancora di più se si pensa che in tutte le altre materie si riesce a promulgare un codice unitario: nel 1865 vengono alla luce, infatti, sia il codice civile e del commercio che quelli di procedura civile e di procedura penale, fino alle fondamentali leggi amministrative. Si sofferma, criticamente sul punto G.VASSALLI, La riforma penale del 1974.

Lezioni integrative del corso di diritto penale, Milano, 1975, pp. 1-3.

90 Il Codice penale sardo-piemontese viene promulgato nel 1859 e sostituisce il precedente Codice albertino del 1839. Entrambi seguono pedissequamente il modello francese tracciato da Napoleone e pongono al centro del ragionamento giuridico la pena, che è il metro di riferimento di ogni singolo istituto penalistico. Approfondisce tali aspetti S.VINCIGUERRA, I Codici penali sardo-piemontesi del 1839

e del 1859, in AA.VV., Diritto penale dell’Ottocento. I Codici preunitari e il Codice Zanardelli, cit., pp. 359-361.

91 La definisce così C.GHISALBERTI, La codificazione del diritto in Italia 1865 – 1942, Roma-Bari, 1994, p. 17.

92 Ripercorre puntualmente l’evoluzione della disciplina della recidiva nei vari progetti di riforma del codice penale R.GAROFALO –L.CARELLI, Dei recidivi e della recidiva, cit., pp. 865-871; F.GIORDANI, voce Recidiva, cit., pp. 396-399; F.PUGLIA, Della recidiva, cit., pp. 699-705. Per un’analisi più generale dei vari progetti di riforma si veda G.VASSALLI, voce Codice penale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, pp. 264-268, il quale evidenzia che uno dei nodi più controversi da sciogliere riguarda il mantenimento o l’abolizione della pena di morte. Per un riepilogo sistematico dei vari progetti che si sono succeduti nel XIX secolo si vedano E.DOLCINI–G. MARINUCCI, Note sul metodo della codificazione penale, in Riv.

35

per quello a firma del ministro Vigliani, fino a giungere al progetto Zanardelli. I lavori preparatori mostrano estrema chiarezza su un punto: le teorie “abolizioniste”, di origine francese e seguite marginalmente anche in Italia, sono superate definitivamente, in quanto incapaci – come è facile immaginare – di offrire un’adeguata risposta repressiva al timore di una criminalità avvertita come in continuo aumento93.

La recidiva, infatti, deve essere necessariamente considerata come una circostanza comportante un trattamento sanzionatorio più rigoroso; tuttavia, se fin qui vi è unanimità di vedute, lo stesso non può dirsi quando si dibatte sul suo fondamento.

Nella disputa tra i giuristi prevale la posizione dell’onorevole Zanardelli, il quale, nella Relazione al progetto, sostiene come la vera ragion d’essere dell’istituto si rinvenga nel maggiore allarme sociale che desta chi ricade nel crimine e che «per tal guisa si dimostra più pericoloso»94. L’aggravante quindi non si riferisce alla pena, ma all’imputazione che è accresciuta nell’elemento politico o sociale, poiché il reo si dimostra più volte insensibile alla legge e così facendo accresce il sentimento di insicurezza nella società.

In queste parole un attento lettore non può non notare il riferimento al concetto di pericolosità sociale, che verrà sviluppato e portato sino all’eccesso nelle correnti di pensiero dei decenni successivi, in particolare con la classificazione dei delinquenti in categorie. Tuttavia non si può affermare che i germi illiberali si insinuino già nel Codice Zanardelli, la cui matrice resta ancora illuminista e liberale95. Le conseguenze sanzionatorie del reato sono proporzionate e calibrate al

93 Cfr., sul punto, D. BRUNELLI, Recidiva e Scuola Positiva nella disciplina del Codice Rocco. Spunti di

riflessione, cit., pp. 334-335, nella parte in cui critica le teorie abolizioniste, in quanto non idonee a

sanzionare «l’intollerabilità sociale (e perciò politica) del ritorno del reo sul luogo del delitto».

94 Cfr. G.ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul Libro Primo del progetto di Codice penale presentato alla

Camera dei deputati nel 22 novembre 1887, Torino, 1888, p. 251.

95 Si può infatti affermare che, in generale, il sistema sanzionatorio del 1889 sia caratterizzato da una tendenziale mitezza, come emerge chiaramente dal rifiuto della pena di morte, dei lavori forzati, delle sanzioni infamanti e di qualsivoglia trattamento afflittivo in fase esecutiva. Sulle scelte normative fondamentali effettuate nel Codice Zanardelli si veda amplius S.MOCCIA, Ideologie e diritto

nel sistema sanzionatorio del Codice Zanardelli, in Diritto penale dell’Ottocento. I Codici preunitari e il Codice Zanardelli, cit., pp. 570-575.

36

fatto commesso, il ruolo della personalità dell’individuo – che pure fa capolino nell’universo penalistico – rimane sullo sfondo.

La disciplina della recidiva, in particolare, è di tono minore, ricalca in gran parte le scelte effettuate in precedenza nel Granducato toscano, ma se ne discosta per una connotazione96. L’aggravio sanzionatorio è lieve, discende direttamente dal mero riscontro che la precedente sentenza sia passata in giudicato non oltre un decennio dal momento della commisisone del nuovo delitto, a nulla rilevando l’avvenuta espiazione o meno della condanna.

L’ultimo aspetto, oggetto di vivaci contrapposizioni e di altalenanti soluzioni nel corso dei vari progetti97, ribadisce come ciò che unicamente conti sia lo «ostinato disprezzo della legge»98 e del magistrato dal parte dell’autore del reato e, inoltre, serve a evitare ingiuste sperequazioni, come nel caso dei latitanti o di coloro che comunque si sono sottratti all’esecuzione della condanna, che andrebbero esenti dall’aumento in caso di recidiva c.d. vera.

Proprio perché il maggior disvalore si ricollega immediatamente con il precedente monito cristallizzato nel giudicato, è coerente che tale forza intimidatrice scemi con il decorso del tempo: a ragion veduta, l’art. 80 del codice del 1889 prevede quindi una recidiva temporanea, i cui effetti non possono prodursi oltre i dieci anni dal primo arresto99. Colui che, dopo essere stato redarguito dall’ordinamento, per lungo tempo tiene una buona condotta viene in un certo senso perdonato dallo Stato e non è equiparato a chi ricade nel reato immediatamente.

La scelta è razionale, si vuole evitare che la recidiva si trasformi in uno status che accompagna il reo durante tutta la sua esistenza. A fondamento di ciò, si adduce

96 L’istituto è disciplinato all’interno del Libro I, Titolo VIII, negli artt. 80-84.

97 Lo stesso Zanardelli, nel primo progetto presentato nel 1883, aveva sostenuto una tesi opposta a quella adottata nella versione definitiva del 1889. Ai sensi dell’art. 70 del citato progetto, infatti, è considerato recidivo «chiunque, scontata la pena per un delitto» ne commette un altro.

98 G.ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul Libro Primo del progetto di Codice penale, cit., p. 251. L’idea di un ostinato disprezzo della legge e della giustizia torna anche in G.B.IMPALLOMENI, La recidiva

secondo il nuovo codice penale italiano, in Riv. pen., 1889, p. 227.

99 L’art. 80 in realtà opera una distinzione: il termine di dieci anni si ha qualora la prima condanna sia stata superiore ai cinque anni di durata; negli altri casi, il termine si riduce alla metà.

37

anche un importante argomento giuridico: così come il tempo fa sì che si prescrivano i delitti, allo stesso modo si deve porre un termine, trascorso il quale «si prescrive il diritto a computare la condanna per la recidività»100.

Per quanto riguarda il profilo sanzionatorio, due sono gli aspetti di maggiore interesse: in primo luogo, si conferma la scelta dell’obbligatorietà dell’aumento di pena, al fine di sottrarre l’ampio margine di discrezionalità in capo al giudice e garantire così un trattamento il più omogeneo possibile a tutti i consociati.

Il trattamento giuridico, inoltre, è ben più lieve nei casi in cui il reo ricada in un qualsiasi delitto, slegato dalla precedente azione criminosa: in tale ipotesi, assente nella gran parte dei progetti preliminari e inserita solamente nell’ultima stesura, il giudice non può irrogare – così come previsto dall’art. 80, comma 1 – il «minimo della pena incorsa per il nuovo reato». Il recidivo generico viene considerato quindi marginalmente dal legislatore, il disvalore della sua condotta non è così elevato, per cui ci si muove solamente nell’ambito della commisurazione della pena in senso stretto101.

Ben diverso il discorso per colui che commette un reato della stessa indole, dimostrando in tal modo una particolare perversione e un medesimo impulso criminoso, meritevole di grande attenzione e di un conseguente inasprimento sanzionatorio, che va al di sopra dei limiti previsti dall’originaria cornice edittale102. Per individuare i casi di recidiva specifica i codificatori utilizzano un elenco casistico, lungo ma necessariamente incompleto: a titolo esemplificativo, tali si considerano ex lege i delitti contro la sicurezza dello Stato e contro l’incolumità pubblica, quelli commessi dai pubblici ufficiali medianti violazione dei doveri inerenti all’ufficio e i reati di furto, rapina, estorsione, ricatto, truffa e altre frodi.

Il carattere liberale della disciplina si coglie anche in questo ultimo aspetto, perché gli aumenti, seppur obbligatori, sono sempre contenuti e di scarso rigore; la

100 Tale brillante spunto lo si ritrova in G.ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul Libro Primo del progetto

di Codice penale, cit., p. 255.

101 Cfr., sul punto, F.PUGLIA, Della recidiva, cit., pp. 759-760.

102 L’art. 80, comma 2, del Codice 1889 prevede diversi aumenti di pena, in ragione delle sanzioni comminate per il nuovo delitto. L’unico limite è posto dal comma seguente, ai sensi del quale «in nessun caso l’aumento stabilito nelle disposizioni precedenti può applicarsi in misura superiore alla più grave delle pene precedentemente inflitte».

38

dogmatica predilige ancora una «matematica delle sanzioni»103, attenta più all’azione che all’autore, quasi a voler svuotare l’individualità di goni essere umano. La figura che complessivamente esce dal testo del 1889 è dunque di «basso profilo»104, dall’ambito applicativo ben più circoscritto rispetto alla gran parte dei codici preunitari, con dei tratti disciplinati in modo logico e coerente; detto altrimenti, la recidiva pensata dal primo legislatore unitario è sicuramente razionale, non si pone quale marchio indelebile che stigmatizza in perpetuo il reo. La personalità di quest’ultimo – come detto – trova sì ingresso nell’analisi globale del reato, ma rimane in disparte, dal momento che le conseguenze sanzionatorie sono tarate oggettivamente e proporzionalmente sulla gravità del fatto commesso, sul diritto leso e sul dolo o sulla colpa.

Il riferimento al concetto di pericolosità sociale, tuttavia, costituisce un «punto di non ritorno»105, una base solida sulla quale la Scuola positiva svilupperà nei decenni successivi la propria feroce lotta volta alla neutralizzazione del delinquente incorreggibile.

7. “Troppo presto”: il manifesto di una Scuola

Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento irrompe bruscamente in Italia una nuova corrente di pensiero, il cui scopo è quello di rileggere i dogmi fondamentali del diritto penale alla luce del reo e delle esigenze di prevenzione sociale determinate dalla sua pericolosità.

Tra le idee più innovative degli esponenti della Scuola positiva vi è quella che il reato non possa essere considerato come un’entità sé stante, ma debba al

103 Efficace espressione utilizzata da V.B.MUSCATIELLO, La recidiva, cit., p. 15.

104 La definisce in tal modo D.BRUNELLI, Recidiva e Scuola positiva nella disciplina del Codice Rocco.

Spunti di riflessione, cit., p. 335.

39

contrario essere studiato in stretta correlazione con l’agente, del quale si devono far risaltare i condizionamenti biologici, psicologici e sociali106.

In questo nuovo palcoscenico, il protagonista indiscusso è il delinquente nato, le cui caratteristiche bio-antropologiche lo rendono irrecuperabile: la ricaduta nel delitto, infatti, non è più vista come l’eccezione dovuta a un infausto processo riabilitativo in sede penitenziaria, ma – secondo il pensiero di Cesare Lombroso – si erge quale regola cui raramente il reo sottrae107. Il compito del diritto penale allora non è quello di cercare invano il recupero del criminale atavico, ma al contrario si deve adoperare al fine di neutralizzarlo e allontanarlo dagli altri consociati, cosicché non possa nuocere nuovamente in futuro.

I concetti appena espressi minano alle fondamenta alcuni tra i postulati tradizionali del diritto penale classico: le pene sono ripensate in un’ottica di prevenzione speciale e difesa sociale, quindi non devono essere proporzionate – come negli insegnamenti di Cesare Beccaria108 – alla gravità fatto di reato ma si calibrano sulla pericolosità del soggetto agente. A tutti i delinquenti, inoltre, si nega in radice la possibilità di autodeterminarsi liberamente nella scelta tra giusto e sbagliato, visto che la tendenza a commettere reati è del tutto indipendente dalla volontà del singolo.

106 Cfr. V.BIANCHI, Positivismo e progetto di codice penale, in La Scuola pos., 1929, p. 17, secondo il quale «prima di studiare il delitto come fatto giuridico, è necessario esaminarlo come fenomeno naturale e sociale, e per conseguenza studiare in primo luogo la persona che commette il delitto e l’ambiente nel quale lo commette, per poter esaminare giuridicamente il delitto non come un’entità astratta in sé stessa, ma come indice del carattere psichico e organico del suo autore». Una puntuale ricostruzione del lasciti della Scuola positiva la si ritrova inoltre in E.FLORIAN, Il metodo positivo nella

scienza del diritto penale, in La Scuola pos., 1926, p. 1 ss.; G.MAGGIORE, Principi di diritto penale. Volume I: Parte generale, cit., pp. 77-82; P.PITTARO (a cura di), Scuola positiva e sistema penale: quale eredità?, Trieste, 2012.

107 Questo pensiero è sviluppato in C.LOMBROSO, L’Uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla

giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, V ed., Torino, 1896, in particolare p. 336 ss., dove l’Autore si

occupa della biologia e della psicologia del delinquente nato. Le opere e le idee di Cesare Lombroso sono analizzate lungamente in U.SPIRITO, Storia del diritto penale italiano: da Cesare Beccaria ai giorni

nostri, II ed., Torino, 1932, pp. 119-127. In argomento si vedano ancheG. MAGGIORE, Principi di diritto

penale. Volume I: Parte generale, cit., p. 78, il quale definisce L’uomo delinquente di Cesare Lombroso

come «la bandiera della rivoluzione»; P. MARCHETTI, Cesare Lombroso e l’«Archivio di psichiatria», in

Dir. pen. XXI sec., 2011, p. 255 ss.

108 Si veda, sul punto, C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene (1764), cit., pp. 78-81. L’Autore dedica un intero capitolo, il XXIII, al rapporto di proporzione che deve intercorrere tra il delitto e la sua sanzione, a dimostrazione della centralità dell’argomento nella sua opera.

40

La rigorosa elaborazione proposta dallo psichiatra veronese viene mitigata e mutuata in ambito penale da altri esponenti della Scuola positiva. In particolare, alla figura del criminale incorreggibile si affianca quella del delinquente d’occasione, privo dei caratteri anatomici, patologici, fisiologici e psichici tipici del primo e necessitante di un diverso trattamento penale109. Secondo Enrico Ferri, infatti, i tipi criminali si devono distinguere in cinque categorie: pazzi e semipazzi, nati incorreggibili, abituali, delinquenti per passione e d’occasione110.

Ebbene, solamente gli appartenenti alle ultime due categorie sono soggetti emendabili e correggibili, ai quali si possono applicare i principi e le regole “classiche” del diritto penale; per tutti gli altri, invece, è necessario un drastico ripensamento delle misure applicabili, lasciando perdere qualsivoglia considerazione in merito alla proporzione tra reato e pena, al fine di garantire una più efficace difesa sociale.

La recidiva, in tale visione, sembra non godere di una particolare visibilità, ma in realtà è presente «ovunque»111, in quasi tutti i passi principali delle opere positiviste: alla figura di per sé non viene conferito a priori un valore rigido e assoluto, è solamente un indizio che può far propendere per la maggiore temibilità del delinquente e quindi come elemento rilevatore del carattere del reo. A ciò consegue che, dal punto di vista sanzionatorio, la stessa «non può e non deve comportare sempre aumento di pena, che deve essere facoltativo e rimesso al prudente arbitrio del giudice»112. Si capovolge così la visione presente nel Codice

109 Tale elaborazione è sviluppata da E.FERRI, La teorica dell’imputabilità e la negazione del libero arbitrio, Firenze, 1878, p. 479 ss. Analizza il suo pensiero scientifico P. COCO, Il positivismo secondo Enrico Ferri, in Giust. pen., 2016, I, c. 228 ss., secondo il quale grazie a Enrico Ferri «la Scuola positiva giunge alla sistemazione più completa, correggendo, da un lato l’indirizzo prevalentemente antropologico di Lombroso, e dall’altro l’astrattismo psicologico-giuridico di Garofalo» (c. 234).

110 La classificazione, con annessa esauriente spiegazione per ogni tipologia di autore, è presente in E.FERRI, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, Bologna, 1881, pp. 35-58.

111 Questa considerazione è di P.MARCHETTI, Teoria e repressione della recidiva nel XIX secolo in Italia, cit., p. 57. Sul ruolo svolto dalla recidiva nell’universo positivista si rimanda a E.ALTAVILLA, Teoria

soggettiva del reato. Ricostruzione dogmatico-positivista del codice penale, Napoli, 1933, pp. 103-106.

112 L’idea di una valutazione da effettuarsi nel singolo caso concreto è di E.FLORIAN, Parte generale

del diritto penale, Milano, 1934, p. 987. Anche secondo Roberto Garofalo «la recidiva, considerata come

sintomo di perversità del reo, dev’essere valutata dal giudice e messa in relazione con le altre circostanze dei singoli reati. In alcuni casi può essere una accidentalità, un fatto senza importanza. Il giudice deve esaminare, in ogni caso speciale, il valore che essa può avere. Quando egli trova che

41

Zanardelli, basata sull’opposto principio di obbligatorietà, necessario per garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

Al giudice, il cui potere discrezionale diviene quindi determinante, si aprono nuovi e diversi scenari qualora si trovi di fronte un soggetto che ha commesso un nuovo reato dopo la sentenza irrevocabile.

La ricaduta può rappresentare in primis una mera accidentalità, un imprevisto non rilevante per l’ordinamento e come tale non punibile con un aggravio sanzionatorio, che sarebbe «affatto arbitrario»113; per contro, può essere sintomatica di una maggiore perversità del reo, comportante un aumento di pena ai fini della rieducazione completa dell’autore114. Tale effetto rieducativo è invece escluso in radice qualora il magistrato accerti, tramite una puntuale indagine calata nel caso concreto, l’incorreggibilità del delinquente abituale: nei confronti di quest’ultimo le sanzioni tradizionali sono inefficaci, l’unica soluzione da adottare è un «mezzo eliminativo»115, cosicché non possa mai più nuocere ai consociati.

Emerge ancora una volta e in modo cristallino come lo scopo dell’ordinamento non sia quello di punire per il singolo fatto, quanto piuttosto per la criminalità dell’autore.

La pena, per i delinquenti abituali, deve essere affiancata o sostituita da una misura di sicurezza, la cui durata è tendenzialmente indeterminata, caratterizzata inoltre da finalità curative e da una ancor più rilevante funzione di difesa sociale. La prevenzione dei reati assurge quindi a fermo caposaldo, rendendo inoltre necessaria l’introduzione dei «sostitutivi penali»116 in campo politico, economico,

essa provi una maggiore perversità, egli dichiarerà il reo recidivo» (R. GAROFALO –L.CARELLI, Dei

recidivi e della recidiva, cit., p. 903).

113 Cfr. E.FLORIAN, Parte generale del diritto penale, cit., p. 988.

Documenti correlati