• Non ci sono risultati.

STRUTTURE COMPLESSE DI CATEGORIZZAZIONE SOCIALE

1. Il Common Ingroup Identity Model: un approccio alla riduzione del bias intergrupp

1.1 Antecedenti delle rappresentazioni di gruppo

Gaertner, Dovidio, Anastasio, Bachman e Rust (1993) hanno ipotizzato e riscontrato che la creazione di rappresentazioni di gruppo maggiormente inclusive rispetto a quelle attive in un contesto sociale permette di ridurre il bias intergruppi. Il suddetto processo di ricategorizzazione è fortemente influenzato dalla presenza di condizioni che diminuiscono la differenziazione intergruppi, aumentano l’interdipendenza cooperativa tra i gruppi stessi o permettono di percepirli secondo una concezione sovraordinata mediante l’affettività positiva e i fattori associati all’ipotesi del contatto (Allport, 1954).

Per quanto riguarda la diminuzione della differenziazione intergruppi, la letteratura scientifica ha mostrato che anche la sola presenza di cues visivi forniti dal contesto influisce sulla riduzione dell’intergroup bias: ad esempio, è stato possibile evidenziare che una disposizione integrata piuttosto che separata dei membri di due gruppi intorno ad un tavolo di lavoro favorisce la formazione di una rappresentazione sovraordinata e riduce l’ingroup bias nei processi di valutazione e scelta del leader del gruppo (Gaertner e Dovidio, 1986); allo stesso modo, dare il medesimo aspetto a gruppi di laboratorio distinti mediante l’utilizzo di camici uguali porta alla rappresentazione di un gruppo singolo e quindi al miglioramento dell’atteggiamento intergruppi (Dovidio, Gaertner, Isen e Lowrance, 1995).

Un contesto di contatto intergruppi può altresì influire sulla possibilità che i partecipanti siano percepiti come singoli individui (decategorizzazione), come membri

di due gruppi separati (categorizzazione) o come membri di un solo gruppo (ricategorizzazione): a tal proposito Gaertner, Mann, Murrell e Dovidio (1989) hanno indotto processi di decategorizzazione o ricategorizzazione attraverso la manipolazione di elementi strutturali quali posti a sedere e tavoli di lavoro, mostrando come in entrambi i casi emergesse un’alterazione dei precedenti confini dell’ingroup e una diminuzione del bias intergruppi. Va tuttavia sottolineato che gli elementi alla base di questo effetto sono stati individuati come distinti: se da un lato la ricategorizzazione in un gruppo più ampio riduce il bias intergruppi aumentando l’attrattività degli ex- membri dell’outgroup, dall’altro la decategorizzazione ad individui singoli e separati agisce riducendo l’attrattività di quelli che prima erano membri dell’ingroup.

Un altro strumento di riduzione dell’intergroup bias risiede, secondo Gaertner, Dovidio e coll. (id.) nell’interdipendenza cooperativa tra i due gruppi. Già il lavoro di ricerca di Sherif, Harvey, White, Hood e Sherif (1961) aveva indicato il ruolo di mediazione della rappresentazione in termini di gruppo singolo sull’atteggiamento intergruppi; più recentemente, uno studio di Gaertner, Mann, Dovidio, Murrell e Pomare (1990) ha utilizzato la stessa manipolazione di elementi strutturali sopra descritta e ha introdotto anche una variabile di comportamento cooperativo tra i due gruppi, riscontrando come questa influenzasse positivamente i giudizi valutativi intergruppi nella misura in cui i partecipanti si sentono parte dello stesso ingroup.

L’ultima ipotesi posta da Gaertner, Dovidio e coll. (id.) è che anche il contesto stesso, nei termini della presenza/assenza di caratteristiche specificate dall’ipotesi del contatto (uguaglianza di status, interazione basata sulla self-disclosure, cooperazione, norme orientate all’uguaglianza), può promuovere la formazione di una rappresentazione sovraordinata ed inclusiva dei due gruppi. Le ricerche a sostegno di questa ipotesi hanno preso in considerazione contesti intergruppi disparati, da gruppi di studenti appartenenti ad una scuola multietnica (Gaertner, Rust, Dovidio, Bachman e Anastasio, 1994, 1996) a impiegati di aziende che avessero recentemente subito una fusione con altre (Bachman, 1993; Gaertner, Dovidio e Bachman, 1996; Bachman e Gaertner, 1998) fino a membri di famiglie allargate nate dall’unione di nuclei familiari precedentemente separati (Banker e Gaertner, 1998).

I risultati ottenuti sono apparsi coerenti col modello ipotizzato: le condizioni di contatto si sono rivelate predittori efficaci dell’armonia intergruppi e influenzano le

rappresentazioni che i partecipanti si formano dell’aggregato sociale di cui fanno parte; inoltre, la misura in cui l’aggregato è percepito come un singolo gruppo influenza le reazioni affettive intergruppi (Gaertner, Dovidio e Bachman, 1996).

Un’ulteriore serie di studi si è occupata di indagare l’effetto di eventuali esperienze precedenti al contatto sulla formazione delle rappresentazioni e del bias intergruppi, rivolgendosi nello specifico ai processi di priming affettivo. Basandosi sull’idea che un’affettività positiva possa influenzare la salienza dei confini dei due gruppi (Murray, Sujan, Hirt e Sujan, 1990) Dovidio, Gaertner, Isen e Lowrance (1995) hanno mostrato che l’induzione di un mood positivo mediante una semplice ricompensa prima di un’interazione tra gruppi porta a rappresentazioni più inclusive degli stessi e a valutazione più favorevoli dei membri dell’outgroup; allo stesso modo di come si è visto in precedenza, è la misura in cui la combinazione dei due gruppi è percepita come un gruppo unico a mediare la relazione tra affetto positivo e valutazioni dell’outgroup.

Sempre al riguardo del priming affettivo Dovidio, Gaertner, Isen, Rust e Guerra (1998) hanno ipotizzato che l’effetto del mood positivo possa rivelarsi duplice a seconda dell’introduzione o meno di una possibile ricategorizzazione nei termini di un’identità di gruppo comune: l’idea, sulla scorta dei risultati di Isen (1993) relativamente all’influenza del affettività sui processi decisionali, è che in condizioni di affetto positivo gli individui tendano ad elaborare le informazioni in modo meno elaborato e sistematico e che pertanto l’effetto sul bias intergruppi non sia di riduzione ma di aumento, soprattutto quando si considerano gruppi storicamente divisi ed in conflitto (ad es. schieramenti politici contrapposti). Alla luce di quanto emerso in precedenza, tuttavia (Dovidio et al., id.), la combinazione di un’affettività positiva e del rendere saliente una possibile identità comune e valorizzata dovrebbe portare alla formazione di rappresentazioni inclusive e sovraordinate. La ricerca effettuata ha permesso di sostenere le due ipotesi, in quanto nella condizione di salienza delle identità separate i soggetti in cui è stato indotto un affetto positivo hanno mostrato un livello di bias intergruppi più elevato rispetto al gruppo di controllo; parallelamente, nella condizione di salienza dell’identità comune è emerso il risultato opposto, in accordo con quanto già evidenziato nelle ricerche precedenti.