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STRUTTURE COMPLESSE DI CATEGORIZZAZIONE SOCIALE

1. Il Common Ingroup Identity Model: un approccio alla riduzione del bias intergrupp

1.3 Salienza contemporanea di due identità

Quanto esposto finora ha mostrato l’applicabilità del Common Ingroup Identity Model in contesti sociali nei quali avviene il passaggio dalla rappresentazione di due gruppi distinti a quella di un singolo gruppo. Tuttavia un’altra serie di ricerche ha approfondito il modo in cui la presenza di una “doppia identità” (ovvero – come si è detto in precedenza – la salienza contemporanea dell’identità relativa al gruppo sovraordinato e di quella derivante dall’appartenenza ad un sottogruppo) può avere effetti positivi sia nel contesto immediato del contatto intergruppi sia a livello della generalizzabilità dei suddetti effetti al di fuori della situazione di contatto.

Se da un lato l’ipotesi del contatto suggerisce che i gruppi coinvolti non debbano presentare differenze di status, dall’altro sappiamo dalla teoria dell’identità sociale che le motivazioni di un individuo comprendono anche quella orientata a mantenere un’identità di gruppo non solo positiva ma distinta (Tajfel e Turner, 1979): pertanto, avvicinare gruppi differenti ma simili su una dimensione relativa allo status (come la titolarità a svolgere un determinato compito) potrebbe esacerbare il bias intergruppi invece che ridurlo (Brown e Wade, 1987). In questa prospettiva, Gaertner e coll. (2000) propongono che mantenere salienti tanto l’identità comune che proviene dall’appartenenza al gruppo sovraordinato quanto l’identità di sottogruppo permetta di ottenere i benefici della prima – nei termini descritti finora – e della seconda come mezzo per raggiungere la distintività positiva che postula la social identity theory.

Un primo studio di Dovidio, Gaertner e Validzic (1998) ha fornito sostegno a questa ipotesi: mediante una manipolazione sperimentale i partecipanti sono stati assegnati ad un gruppo il cui status poteva essere minore, uguale o maggiore rispetto a quello di un secondo gruppo col quale avrebbero dovuto cooperare di lì a poco; la dimensione relativa allo status consisteva invece in una manipolazione di differenti prospettive di azione rispetto ad un compito da svolgere (gruppo attivo vs. gruppo passivo). I risultati hanno messo in luce che nella condizione di status bilanciato il fatto di avere prospettive di azioni diverse permette di ridurre il bias intergruppi e di percepire maggiormente i due gruppi come un unico aggregato rispetto a ciascuna delle altre tre condizioni sperimentali possibili (stesso status – stesso compito; status diverso – stesso compito; status diverso – compito diverso).

Un’altra ricerca (Mottola, 1996) ha utilizzato un paradigma simile al fine di evidenziare l’importanza di mantenere la distintività del proprio sottogruppo quando si è chiamati a cooperare con un outgroup di status uguale. A tal fine non sono stati utilizzati gruppi costruiti in laboratorio, ma ci si è rivolti a individui realmente impiegati in alcune aziende, chiedendo loro di immaginare una fusione della loro compagnia con un’altra che poteva essere di status più elevato su due dimensioni (vendite e profitti), di status minore su entrambe, di uguale status su entrambe o di status più elevato solo su una dimensione (mentre l’azienda di appartenenza dei partecipanti era descritta come di status più elevato sull’altra). Coerentemente con le ipotesi sulla doppia identità di gruppo, i partecipanti nella quarta condizione descritta hanno riportato valutazioni

significativamente più favorevoli sulla possibile fusione, mentre non sono apparse differenze significative tra le altre tre condizioni sperimentali.

Gaertner e coll. (id.) sostengono inoltre che una situazione di salienza contemporanea di due identità possa essere particolarmente rilevante nel contesto delle relazioni tra gruppi etnici differenti, in quanto l’appartenenza ad essi riveste un aspetto fondamentale del concetto di sé di ogni individuo ed è sostanzialmente impossibile da abbandonare in favore di un’identità di gruppo più desiderabile. La conclusione proviene dai risultati di uno studio di Gaertner, Rust, Dovidio, Bachman e Anastasio (1994) sugli atteggiamenti intergruppi in una scuola superiore multietnica, nella quale è stato osservato come gli studenti che si identificano con due identità di gruppo (quella etnica originaria e quella statunitense d’adozione) presentano un grado minore di bias rispetto agli studenti che si identificano con un solo gruppo nei confronti degli altri gruppi presenti nella scuola.

Per quanto riguarda l’aspetto di generalizzazione dei benefici di un contatto intergruppi al di fuori della situazione di contatto in sé e per sé, la previsione del Common Ingroup Identity Model è che questa non sia possibile se gli individui abbandonano completamente le identità derivanti dall’appartenenza ai precedenti gruppi, in quanto si indebolisce il link associativo tra gli ex-membri dell’outgroup presenti nella situazione di contatto e quelli non presenti. Tuttavia Gaertner e coll. (id.) suggeriscono che ci sia una sorta di bilanciamento tra il cambiamento di atteggiamenti nella situazione di contatto e la sua generalizzazione al di fuori di essa: se da un lato la cancellazione completa dei confini dei gruppi consente alla nuova identità comune di portare il massimo degli effetti positivi nei confronti di riduzione del bias, dall’altro la generalizzazione può verificarsi solo se gli individui continuano a percepirsi come membri di un ingroup che fa parte di un gruppo sovraordinato e più inclusivo insieme all’outgroup.

Il processo di generalizzazione è stato indagato da Gaertner, Rust e Dovidio (1998): in questo studio, i partecipanti appartenevano a schieramenti politici opposti e la manipolazione sperimentale ha creato quattro condizioni (gruppo unico, gruppo unico formato da due sottogruppi, due gruppi separati, individui separati). Coerentemente con le previsioni basate sul modello, il bias nei giudizi valutativi intergruppi è risultato significativamente minore nelle condizioni di “gruppo unico” e “individui separati” e

correlato positivamente con il bias nei confronti dell’altro gruppo in generale (e quindi non legato alla situazione sperimentale). Anche nella condizione “due sottogruppi” è emersa una correlazione positiva – ma non significativa – tra valutazioni nella situazione sperimentale e valutazioni in generale, mentre la condizione “individui separati”, in cui i confini del gruppo sono completamente annullati, non porta a riduzioni del bias al di fuori della situazione di contatto e la correlazione tra le valutazioni in presenza o in assenza di contatto sono correlate negativamente. Pertanto, enfatizzare l’acquisizione di un’identità comune in quanto membri di un singolo gruppo può facilitare la generalizzazione dei benefici del contatto, mentre l’individualizzazione dei membri dei gruppi sembrerebbe ridurre drasticamente il bias intergruppi nell’immediato ma non essere collegata ai processi di generalizzazione.