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Critiche verso l’ingroup e risposte strategiche

LE MINACCE ALL’IDENTITÀ SOCIALE

3. Quando la minaccia arriva dall’interno: l’ingroup criticism

3.4 Critiche verso l’ingroup e risposte strategiche

Al di là delle considerazioni sugli aspetti normativi relativi alle critiche verso il gruppo di cui si fa parte, un altro approfondimento va diretto al modo in cui chi riceve la critica decide di rispondere per difendersi o meno: in breve, ogni individuo in una condizione simile si trova a considerare in primis quale sia il suo reale atteggiamento verso i commenti ricevuti e in secondo luogo quale sia l’atteggiamento strategicamente più vantaggioso da adottare in questa situazione.

Una situazione che può condurre ad una visibile discrepanza tra atteggiamento “pensato” ed “agito” si verifica quando la fonte dalla quale proviene la critica è più potente del gruppo sociale a cui si rivolge: in questo caso ai criticati sarà ben chiaro che chi ha espresso il commento ha la possibilità di ricompensarli o punirli in base al tipo di risposta (costruttiva o difensiva) che riceverà. Pertanto, si può presentare uno squilibrio tra quello che i criticati pensano – possono considerare la critica falsa ed ingiusta – e il modo in cui decidono di rispondere, in quanto c’è un forte incentivo strategico a mostrarsi non oppositivi nei confronti del messaggio di critica. Si può parlare in questo caso di un compromesso tra l’assimilazione comportamentale ma non attitudinale della critica (Hornsey, 2005).

Il compromesso si allinea a quanto previsto dal Social Identity Deindividuation Effects Model (SIDE, modello degli effetti di deindividuazione dell’identità sociale; Reicher, Spears e Postmes, 1995). Il modello si basa infatti sul postulato che l’espressione dell’identità sociale ha due componenti, una cognitiva ed una strategica: la componente cognitiva si ricollega a quanto descritto dalla self-categorization theory (Turner, Hogg, Oakes, Reicher e Wetherell, 1987), mentre la componente strategica nasce dal rifiuto dell’idea che l’espressione dell’identità sociale sia una semplice risposta automatica alla salienza di una determinata categoria in base agli elementi del contesto; l’aspetto strategico presuppone quindi che il grado di aderenza al

comportamento normativo del gruppo da parte degli individui si modifichi in funzione di chi sta osservando la situazione. In altre parole, l’espressione di comportamenti normativi dell’ingroup diminuisce quando sono presenti membri di un outgroup più potente e capace di punire l’ingroup stesso (Reicher e Levine, 1994) mentre aumenta quando gli individui si sentono più visibili dai membri del proprio gruppo (Reicher, Levine e Gordijn, 1998). Un’altra evidenza empirica a sostegno della componente strategica nell’espressione dell’identità sociale è stata riscontrata recentemente da Barreto, Spears, Ellemers e Shahniper (2003): la ricerca è stata svolta su un campione di immigrati ed è stato possibile rilevare che l’attaccamento alla propria cultura originaria viene messo sotto tono quando i partecipanti si sentono visibili da parte di membri della cultura ospite.

Si può dire quindi che gli individui adattano il loro comportamento al fine di presentarsi nel modo strategicamente più funzionale a servire i propri interessi individuali e collettivi, ma non esiste ancora una serie sistematica di ricerche su come questo processo di adattamento strategico possa configurarsi nel caso in cui si sia ricevuta una critica al gruppo sociale di cui si fa parte. Un risultato in questo senso arriva da uno studio di Brander e Hornsey (in press) in cui l’intergroup sensitivity effect è stato indagato su un campione di partecipanti australiani criticati per lo scarso supporto alla guerra in Iraq mostrato dall’Australia: la critica proveniva in una condizione da un cittadino australiano e nell’altra da un cittadino americano (outgroup potente) e oltre alla negatività nei confronti del soggetto criticante è stata misurata anche l’intenzione di votare contro l’entrata in guerra dell’Australia in un eventuale referendum al riguardo. Coerentemente con le ipotesi dell’intergroup sensitivity effect la critica ricevuta da un membro dell’outgroup ha elicitato un atteggiamento più negativo rispetto alla critica proveniente dall’ingroup, ma – in accordo con quanto detto sopra sull’adattamento strategico del comportamento – si è anche tradotta in una intenzione minore a votare contro la partecipazione dell’Australia alla missione in Iraq.

La considerazione in termini strategici dell’audience presente al momento della risposta alla critica avviene anche quando ci si trova dinanzi a membri del proprio gruppo. Il bisogno di essere accettati dall’ingroup è una motivazione forte in tutti gli individui e l’ipersensibilità al rifiuto da parte degli altri (sia reale che percepito) è ampiamente comprovata in letteratura (MacDonald e Leary, 2005; Eisenberger,

Lieberman e Williams, 2003; Williams e Zadro, 2001); questo bisogno appare ancora più forte tra gli individui che occupano le posizioni più vulnerabili all’interno di un gruppo, ovvero i nuovi arrivati e i membri di status minore (Jetten, Hornsey, Spears e Haslam, under review; Noel, Wann e Branscombe, 1995).

Il rischio sociale di andare incontro a censura posto dal criticare il proprio gruppo è stato indicato chiaramente dalla ricerca (Festinger, 1950; Schachter, 1951), così come quello di essere allontanati dal gruppo stesso (Marques e Paez, 1994). Il rischio aumenta, secondo le ipotesi di Hornsey (id.) se chi riceve la critica si trova in una posizione gerarchicamente elevata all’interno del gruppo: in questa particolare condizione (dal momento che far parte della leadership di un determinato gruppo sociale significa per estensione essere responsabili della cultura e delle azioni del gruppo) la critica rappresenta una doppia minaccia, non solo al gruppo in sé ma alla figura del leader. Pertanto, è plausibile supporre che in un caso simile si ripresenti un compromesso tra assimilazione comportamentale ed attitudinale della critica.

Una ricerca recentissima (Hornsey, Fredericks, Smith e Ford, 2006) ha indagato questa ipotesi manipolando l’appartenenza di gruppo del soggetto criticante e la condizione di risposta relativa alla critica stessa (privata e confidenziale vs. monitorata da un gruppo di membri dell’ingroup): i risultati hanno evidenziato che l’intergroup sensitivity effect si manifesta nella condizione di confidenzialità delle risposte, ma sparisce quando i giudizi valutativi nei confronti di chi ha espresso la critica sono resi noti ai membri dell’ingroup, per cui il soggetto criticante è accolto negativamente sia se fa parte del proprio gruppo che se appartiene all’outgroup. Un secondo studio (Hornsey, Fredericks, Smith e Ford, id.) ha testato la funzione di eventuali considerazioni strategiche relative alla presentazione positiva di sé, inserendo nel paradigma appena descritto un’ulteriore manipolazione relativa allo status dei membri dell’ingroup (alto vs. basso) che sarebbero venuti a conoscenza delle risposte dei partecipanti: i dati ottenuti hanno permesso di sostenere le ipotesi precedentemente esposte, poiché i giudizi valutativi su chi critica dall’interno del gruppo resi pubblici a membri dell’ingroup di status elevato appaiono significativamente più negativi rispetto agli altri. L’intergroup sensitivity effect si verifica solo quando non ci sono preoccupazioni di tipo strategico relative alla presentazione di sé ad influire sui processi attribuzionali descritti

in precedenza, ovvero quando le risposte sono private o rese note a membri dell’ingroup di status basso.

Una considerazione interessante che emerge da quanto visto finora deriva quindi dal fatto che l’effetto del rispondere ad una critica in pubblico o in privato si manifesta solo quando la critica proviene da un membro dell’ingroup: se la risposta difensiva al messaggio di critica fosse un modo per esprimere solidarietà col proprio gruppo dovrebbe essere ugualmente intensa sia quando arriva dall’interno che dall’esterno; le evidenze finora raccolte mostrano invece un tentativo di distanziarsi dal membro del gruppo che si sta comportando da deviante, come se la strategia non fosse quella di apparire affiliati e fedeli al gruppo ma piuttosto di non apparire devianti (Hornsey, id.).