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Minaccia alla distintività del gruppo (distinctiveness threat)

LE MINACCE ALL’IDENTITÀ SOCIALE

2. Le minacce all’identità sociale

2.4 Minaccia alla distintività del gruppo (distinctiveness threat)

Come si è già detto in precedenza, La teoria dell’identità sociale ha spesso sottolineato il concetto che gli individui usano le categorie sociali per dare una struttura all’ambiente sociale in cui si muovono e per definire il ruolo che in esso ricoprono, così come utilizzano un processo di meta-contrasto per definire la propria posizione in un contesto sociale, basandosi sulle differenze percepite tra il proprio gruppo e gli altri (cfr. cap. 2).

L’approccio della social identity inserisce però anche un elemento motivazionale nella ricerca di una precisa distinzione del proprio gruppo dagli altri: dal momento che una parte dell’autostima di un individuo deriva dalla sua identità sociale e dai confronti positivi con altri gruppi, il confronto con gruppi simili al proprio potrebbe minacciarne la distintività e di conseguenza l’identità sociale stessa.

Come rilevano Branscombe, Ellemers, Spears e Doosje (1999), le minacce all’identità associate alla possibilità di distinguere il proprio gruppo da un altro possono essere ricondotte a due aspetti principali. In primo luogo, avere un’identità sociale ben definita e significativa è funzionale di per sé, in quanto fornisce una base per il comportamento (Baumeister, 1986). In secondo luogo, solo una volta che si è formata una precisa “identità di gruppo” diventa possibile che il confronto con outgroup simili si configuri come minaccioso. In altre parole la motivazione ad avere un’identità sociale

distinta potrebbe essere un prerequisito alla ricerca di una distintività del gruppo in sé, situazione ben più probabile quando ci occupiamo di un contesto intergruppi.

In uno studio di Spears e Jetten (1998) è stata esaminata la capacità di una categorizzazione di fornire il significato generalmente implicato nel possedere un’identità sociale distinta. L’ipotesi di fondo si centrava sul fatto che se una categorizzazione sociale permette a un individuo di avere un’identità ben distinta e significativa allora la discriminazione e la differenziazione così come si verificano nel paradigma dei gruppi minimi potrebbero non essere più necessarie. Dai risultati, ottenuti incrociando il paradigma classico con una condizione in cui l’appartenenza di gruppo era giustificata e resa significativa in base a caratteristiche di personalità, si è visto come la discriminazione nei confronti dell’outgroup era presente nella condizione “minima” e totalmente ridotta nella condizione “significativa”. Quanto detto finora appare coerente con l’idea che quando la categorizzazione sociale è arricchita di un contenuto significativo è sufficiente a fornire un’identità distinta ai membri della categoria in esame. Pertanto, meccanismi di differenziazione dall’outgroup – come ad esempio la discriminazione nei gruppi minimi – si attiveranno solo quando abbiamo a che fare con un’identità indefinita o dal contenuto poco chiaro.

Questo è concorde anche con le affermazioni di Tajfel (1978a) su come i gruppi minimi siano l’unico contesto privo di qualsiasi tipo di caratterizzazione interpersonale, rendendo pertanto il gruppo l’unico mezzo disponibile per ottenere un’identità e la discriminazione l’unica strategia per affermarla: il totale anonimato in cui il paradigma si svolge crea quindi le condizioni migliori per aumentare la salienza del gruppo di cui si fa parte e, di conseguenza, anche della discriminazione intergruppi (Reicher, Spears e Postmes, 1995; Spears, 1995; Spears e Lea, 1994). La ricerca di Spears e Jetten, quindi, mostra come quando il paradigma del gruppo minimo non è più così “minimale” possa sparire la necessità di affermare attivamente la distinzione tra un gruppo e l’altro.

In alcuni casi però vediamo come il possedere un’identità di gruppo distinta e definita possa arrivare ad essere più importante di avere un’identità positiva (Mlicki e Ellemers, 1996): avere un’identità significativa può controbilanciare la valenza negativa ad essa associata, soprattutto per chi si identifica fortemente con il gruppo in questione. Una ricerca di Doff (1998) ha indicato come in un campione di soggetti minacciati mediante un paragone sfavorevole con un outgroup rivale, i membri fortemente

identificati del gruppo tendevano a presentare il proprio ingroup in termini di dimensioni negative ma stereotipiche.

Uno dei problemi relativi al distinctiveness threat risiede nel fatto che il concetto stesso di distintività è stato operazionalizzato e trattato in modi spesso molto diversi. I principi della teoria dell’identità sociale enfatizzano l’importanza che il gruppo sia “distinto” e che quindi abbia dei chiari confini che lo delimitano, cosa che logicamente porta a implicare la distintività intergruppi (differenza del gruppo in questione dagli altri). Tuttavia alcuni approcci teorici tendono a descrivere la distintività in modi più specifici e relativi al contesto in cui essa è considerata: Branscombe e coll. (id.) sottolineano in particolare come spesso ci si riferisca alla distintività in termini di dimensioni del gruppo e di numero relativamente basso di appartenenti (ad es. gruppi minoritari) o come somiglianza/differenza di due gruppi su una dimensione latente del loro contenuto.

Nel primo caso ci sono contributi di ricerca che hanno preso in esame gli effetti della distintività strettamente numerica sulla salienza di un gruppo e sul senso di unicità di chi ne fa parte (McGuire, McGuire, Child e Fujoka, 1978; McGuire, McGuire e Winton, 1979): dai risultati emerge che chi appartiene a gruppi numericamente distinti tende a percepirsi spontaneamente come membro del gruppo. In casi come questi non è però chiaro come e soprattutto quando la distinctiveness di una categoria sociale possa essere oggetto di minaccia.

Le ricerche di Simon (1992) hanno mostrato come le persone si identifichino maggiormente con un gruppo fortemente distinto, introducendo l’ipotesi che per gli appartenenti a gruppi di minoranza ci sia una sorta di overlapping tra l’identità sociale e quella personale (Simon, Pantaleo e Mummendey, 1995). Sappiamo anche che i gruppi minoritari spesso sono considerati di valore inferiore rispetto alla maggioranza (Blanz, Mummendey e Otten, 1995) e di conseguenza appartenere ad uno di questi può configurarsi come una minaccia all’identità sociale in sé e per sé. Studi recenti hanno tuttavia mostrato come le persone tendono ad identificarsi maggiormente col proprio ingroup quando si tratta di minoranze piuttosto che di maggioranze (Ellemers, Kortekaas e Ouwekerk, 1999; Ellemers e Van Rijswijk, 1997; Simon e Hamilton, 1994), in linea con l’ipotesi che non poter distinguere il proprio gruppo di appartenenza da altri costituisca un aspetto minaccioso dell’interazione sociale; si è visto anche come

i membri di gruppi minoritari mostrino un ingroup bias più forte e marcato rispetto a chi appartiene ad una maggioranza (Bettencourt, Miller e Hume, 1999; Mullen, Brown e Smith, 1992).

Il tentativo di differenziarsi da un gruppo potenzialmente troppo simile al proprio ingroup risulta decisamente più accentuato – come prevedibile – tra i membri fortemente identificati, per i quali l’identità sociale derivante dall’ingroup è centrale e predominante (Henderson, King, Henderson-King, Zhermer, Posokhova e Chiker, 1997; Jetten, Spears e Manstead, 1998). I soggetti che si identificano meno col gruppo d’appartenenza, infatti, sono meno portati ad avvertire come cruciale l’identità scarsamente distinguibile e tendono a preferire processi di self-categorization su scala individuale o a un livello sovraordinato che possa includere entrambi i gruppi presi in considerazione (Branscombe et al., id.).

Va sottolineato che una risposta in termini di aumento della differenziazione dall’outgroup non è sempre disponibile o fattibile: in questo caso una strategia alternativa che emerge (Spears, Doosje e Ellemers, 1997) è quella di identificarsi maggiormente secondo le dimensioni caratteristiche dell’ingroup piuttosto che descriversi in termini personali (self-stereotyping). In altri casi, se si prendono in considerazione pattern multidimensionali di confronto intergruppi, la tendenza appare essere quella di identificare determinate caratteristiche come più specifiche di uno solo dei due gruppi e di riconoscere la superiorità dell’altro su quelle complementari (Ellemers, Van Rijswijk, Roefs e Simons, 1997). Le ricerche suggeriscono quindi che aumentare la distintività intergruppi riduce il senso di minaccia ad un’identità sociale centrale, portando ad una diminuzione dell’ingroup bias (Deschamps e Brown, 1983) ed al miglioramento della relazione tra i gruppi (Brown e Wade, 1987).