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Il contenuto dell'identità di gruppo come base per la distintività e la differenziazione

L’IDENTITÀ SOCIALE: APPROCCI TEORIC

2. Distintività del gruppo e discriminazione intergrupp

2.2 Il contenuto dell'identità di gruppo come base per la distintività e la differenziazione

La somiglianza o differenza fra i gruppi può basarsi su una grande variabilità di dimensioni, che possono andare dagli atteggiamenti (Brown, 1984b; Roccas e Schwartz, 1993) allo status (Brown, 1984b; Dovidio, Gaertner e Validzic, 1998), ai ruoli di gruppo (Brown e Wade, 1987; Marcus-Newhall, Miller, Holtz e Brewer, 1993) fino al linguaggio (Giles, 1977). La ricerca ha generalmente definito la distinitività nei termini dell’affermare/negare la somiglianza tra due gruppi o della distanza tra ingroup e outgroup: a tal proposito Jetten, Spears e Manstead (1996) hanno invece indagato la distintività come derivante dal contenuto delle norme di gruppo e l’effetto di questa sulla differenziazione positiva. Va infatti sottolineato che un aspetto unico delle norme di gruppo è che tendono a prescrivere precisi comportamenti in modo decisamente più esplicito, diversamente – ad esempio – da quanto avviene con gli atteggiamenti. Agire in accordo con le norme comuni del gruppo significa esprimere un’identità sociale saliente (Jetten, Spears e Manstead, 1997b) e la manipolazione della somiglianza mediante le norme dovrebbe di conseguenza portare anche a processi di conformità verso il proprio gruppo (Terry e Hogg, 1996; Doosje, Ellemers e Spears, 1999; Postmes, Spears e Lea, 1999).

Come anticipato, Jetten e coll. (1996) hanno manipolato le norme di ingroup e outgroup relative all’equità e alla discriminazione prima in un paradigma di gruppi minimi e poi utilizzando gruppi naturali. Seguendo quanto già detto sopra, secondo la teoria dell’identità sociale la somiglianza delle norme tra i due gruppi avrebbe dovuto portare ad un aumento nella differenziazione positiva: è stato tuttavia supposto anche che porre come norma la discriminazione nei confronti dell’outgroup avrebbe creato un contrasto tra la conformità verso l’ingroup e l’aumento della distintività mediante la

differenziazione positiva, di conseguenza questa avrebbe dovuto aumentare quando la norma simile tra ingroup e outgroup riguarda la discriminazione piuttosto che l’equità.

Se ci si rifà invece alla self-categorization theory (Turner, Hogg, Oakes, Reicher e Wetherell, 1987) ci si dovrebbe aspettare invece che l’adesione alle norme del gruppo sia più forte quando queste sono ben distinte tra ingroup ed outgroup, pertanto si dovrebbe ipotizzare una maggiore differenziazione positiva quando i gruppi sono differenziati in modo chiaro e predefinito. Allo stesso modo, si potrebbe prevedere che l’ingroup bias sia ridotto quando la norma caratteristica dell’ingroup implica l’equità piuttosto che la discriminazione.

Nel primo studio di Jetten e coll. i partecipanti sono stati categorizzati in due gruppi minimi e quindi sottoposti ad un compito di distribuzione di risorse secondo le matrici di Tajfel (Tajfel, Flament, Billig e Bundy, 1971) tenendo in considerazione un falso feedback sulle norme di gruppo relative sia all’ingroup che all’outgroup. I risultati hanno evidenziato che il comportamento di allocazione delle risorse risponde ad una logica di conformità verso l’ingroup ma che nonostante tutto l’ingroup bias è presente e significativo in tutte le condizioni. È emerso anche che la norma di gruppo espressa dall’outgroup ha minore influenza sulle allocazioni effettuate: questo risultato suggerisce che probabilmente la necessità di esprimere la propria identità sociale mediante l’adesione alle norme dell’ingroup è più forte di eventuali principi di equità nella distribuzione. Inoltre la combinazione delle norme di ingroup e outgroup si è rivelata una determinante cruciale del livello di differenziazione positiva manifestato: la non somiglianza delle norme prescritte dai due gruppi ha portato ad un maggiore differenziazione rispetto alla condizione di uguaglianza delle norme, in accordo con quanto previsto tenendo in considerazione i principi della self-categorization theory.

La spiegazione che Jetten e coll. forniscono si basa sul fatto che i soggetti di questo studio appartenevano a gruppi minimi e di conseguenza la loro identità di “membri del gruppo” non era totalmente sviluppata: la mancanza di una vera e propria base per la distinzione tra i due gruppi accompagnata alla somiglianza tra le norme dei gruppi stessi ha probabilmente minato la validità della distinzione in sé producendo quindi maggiori risposte di differenziazione.

Per aggirare il problema Jetten e coll. hanno effettuato un secondo studio basato questa volta su gruppi naturali e su un’identità più radicata. In questo caso è stata resa

saliente l’identità di studenti universitari (contrapposti ad un outgroup di studenti appartenenti ad un’università rivale) e si è utilizzato lo stesso paradigma per la manipolazione delle norme dei due gruppi e per i comportamenti di allocazione delle risorse.

Dai risultati si è visto che anche in questo caso l’effetto della norma dell’ingroup è più forte di quello della norma dell’outgroup nel determinare le allocazioni, ma al contrario di quanto accadeva nello studio precedente è la somiglianza tra le norme dei due gruppi a generare un maggiore favoritismo verso l’ingroup, in linea con quanto presupposto seguendo i principi della social identity theory.

Pertanto, si può dire che sia le ipotesi derivanti dalla SIT che quelle dedotte dalla SCT sono valide e si verificano in tipi diversi di gruppo. Gli effetti rilevati sono sostenuti anche dalle misure di identificazione col gruppo effettuate nei due studi, dalle quali si è potuto vedere come il grado di identificazione era nettamente più alto nel paradigma basato sui gruppi naturali. Inoltre nell’esperimento sui gruppi minimi la percezione di essere un membro prototipico del proprio gruppo risultava più alta quando le norme di ingroup e outgroup erano divergenti. Infine, per quanto riguarda l’identificazione con l’outgroup (percepita come complementare e negativa rispetto a quella con l’ingroup) nello studio sui gruppi naturali, si è visto come risultasse significativamente minore nella condizione di somiglianza delle norme.

Jetten, Spears e Manstead (2001) hanno infine aggiunto un terzo studio per ovviare al fatto che la condizione di alta vs. bassa identificazione con l’ingroup nelle ricerche sopra descritte era stata misurata ma non manipolata: in questo caso l’identificazione è stata assegnata mediante una procedura bogus pipeline, portando i partecipanti a credere di essere fortemente o debolmente identificati col proprio gruppo. Le norme intergruppi sono state parzialmente replicate, mantenendo costante la discriminazione come norma dell’ingroup e alternando quella dell’outgroup; l’ipotesi prevedeva che si verificasse una maggiore differenziazione positiva da parte dei soggetti debolmente identificati nella condizione di norme divergenti e da parte di quelli fortemente identificati nella condizione di norme simili (seguendo rispettivamente i dettami della self-categorization theory nel primo caso e della teoria dell’identità sociale nel secondo). Gli autori hanno introdotto anche un’ulteriore serie di misure per indagare la valutazione dell’ingroup e dell’outgroup, l’identificazione con questi, la prototipicità percepita e la coesione del

gruppo, assumendo che anche questi siano aspetti dell’ingroup bias e che siano altresì sotto l’effetto delle norme di gruppo e della distintività.

I risultati ottenuti in questa ricerca sono in accordo con le ipotesi fatte, rinforzati anche dai dati emersi dalle misure alternative inserite: nella condizione di norme simili gli high identifiers valutano il proprio gruppo in modo più positivo, si percepiscono come maggiormente identificati e vedono l’ingroup come più coeso, mentre il pattern di risposta dei low identifiers è esattamente rovesciato e le stesse valutazioni risultano nella condizione di norme divergenti.