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Antinomie atzeniane: Karale V.s Arbarei: episcopi/custodi del tempo e giudici.

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 121-133)

37 Più volte negli scritti Atzeni fa riferimento alle teorie gramsciane e il pensiero del teorico si possono scorgere o in filigrana o in maniera esplicita all’interno dei suoi scritti, sia quelli giornalistici sia

2.6. Antinomie atzeniane: Karale V.s Arbarei: episcopi/custodi del tempo e giudici.

Atzeni mette particolarmente in luce il discorso del contatto dialettico tra esponenti diversi di una stessa isola, così da evidenziare le peculiarità di ambedue le posizioni. Questo movimento dicotomico, certo non relegato alla sola scrittura di Passavamo sulla terra leggeri ma anzi ben diluito in tutta l’opera atzeniana, trova il suo punto fermo nella figura dello straniero, l’unica a prevalere nella Sardegna di tutti i tempi, dall’avvento dei popoli del mare sull’isola, sino ai conquistadores successivi, dagli Ik iniziali agli aragonesi che chiudono con i loro passi pesanti la saga. La differenziazione del punto di vista crea quindi tutta una serie di particolarità culturali che trovano nell’ossimoro la propria dimensione di riferimento: da qui, l’occhio del lettore si muove tra spunti creativi e ideologici diversi, rilevando il quadro di una realtà sfaccettata, multietnica, condotta sulla base dell’incontro/scontro tra popoli diversi (sardi V.s istranzos) o di culture diverse all’interno dello stesso territorio. Questo è il caso dell’antinomia tra Karale-Lo e Arbarei, portato avanti su diversi fronti: due su tutti quelli che vedono coinvolti da una parte episcopi/giudici e dall’altra impero/ giudici. Le due ‘fazioni’ talvolta si compenetrano provocando una reductio ad unum che alla fine dei conti vede schierate solo Karale V.s Arbarei, la sede favorita del malaffare V.s la sede della giustizia per eccellenza. A Karale, infatti impero e chiesa trovano la propria coesione sociale nell’unirsi contro un nemico comune: i barbari, intesi come popoli non romani, non cristiani. Specularmente, i «barbari», sardi in primis, si impegnano nel contrastare questa avanzata del diverso, non chiudendosi entro il loro guscio ma innalzando delle mura simboliche che quasi serbano il patrimonio identitario e culturale che piano piano hanno conquistato nel corso dei secoli e dei millenni. Arbarei rappresenta questo, il centro della memoria, il «punto fermo in un mondo che ruota», la terra dei S’ard che si estende sino alle porte della diversità: Karale.

Qui, infatti, monaci, prelati, servi dell’impero, prostitute, e miriade di personaggi che si affacciano sulla scena per poi abbandonarla subito dopo, affollano le pagine del romanzo creando discrasia e contrasto tra le diverse posizioni. Il punto di vista del narratore è chiaramente esplicito, internamente focalizzato e rappresentato dalle parole dei vari giudici e custodi del tempo che man mano si avvicendano sul proscenio. Ciò non toglie tuttavia una completa

disponibilità nei confronti del diverso, nel rispetto della propria natura e della propria tradizione: «potevamo rifiutare il contatto»?175 Atzeni risponde: No.

Premesso questo, un aspetto essenziale e particolarmente rilevante, declinato in tutte le sue sfaccettature e riscontrabile all’interno di Passavamo sulla terra leggeri è sicuramente quello religioso. Anche in questo caso, Atzeni si cimenta in una dicotomia ossimorica che contrappone la semplice complessità della ‘volta stellata’ alla complessità semplice del libro sacro, del Vangelo apocrifo giunto in Sardegna e poi emigrato nella penisola, alla cui sorte è legata la fortuna dell’isola. La poeticità emanata dalla religione primitiva, che si concreta nel rispetto per lo studio del cielo come legge sacra176 che infonde sicurezza nei suoi fedeli, contrasta con la seconda parte del romanzo, percorsa invece da monaci di ogni provenienza, pronti ad intaccare con ogni mezzo la dignità dei danzatori delle stelle, gli unici, sino all’arrivo dei romani, ad assolvere il compito di essere «sacerdoti». All’ufficialità della legge sacra, della volta stellata, si contrappone la lunga sequela di monaci provenienti dai più diversi ordini monastici, che affollano le pagine di Atzeni così come le trafficate strade di una Sardegna pre-romana e poi medievale. Il destino dell’isola risente quindi dei rapporti altalenanti creatisi all’interno della chiesa romana in seguito alla diffusione del cristianesimo. Prima di Roma, però, oggetto del nostro attuale percorso, i sardi si interfacciarono con altri popoli sotto il profilo religioso, di cui Atzeni traccia una rapida sequenza “cronologica” in termini di approdo sull’isola:

Ed ecco affacciarsi i fenici:

I fenici avevano dèi di forma umana dotati di strani desideri, come mangiare i neonati, e strani poteri, come trasformarsi in animali per copulare con gli uomini. A volte ascoltando i fenici non capivi se il dio diventasse animale per soddisfare il desiderio o fosse animale, gatto o toro con appetiti d’uomo;177

i fenici dimenticarono con facilità gli dei, pensavano soprattutto alla ricchezza, alla comodità, ma a Tarros vivevano nel terrore e ogni notte parlava con gli dèi per assicurarsi protezione A Karale tenevano le sculture delle divinità, grasse e mostruose, come oggi tu terresti una bella ceramica, per decorare una stanza. Ma disprezzavano i vecchi dèi. Avevano un culto notturno, segreto, a un dio bestia ch’era stato condannato dagli uomini, era stato catturato in agguato e sbranato. Qualcuno di Lo partecipò al rito. Si riunivano al campo nella notte di luna piena del mese delle mandorle aspre, dopo avere bevuto vino 175 Ivi, 76.

176 «Nulla è tanto ordinato e perfetto quanto immotivato e misterioso come il cielo e la volta stellata che studiavamo ogni notte immersi in calcoli sulle distanze, le orbite, i cicli». Ivi, 39.

resinato, mangiato agnello crudo a morsi e gozzovigliato fino a essere fradici di vino e sangue. Cantavano con voci ossessive accompagnate da trecento tamburi di Barbaria tutta una litania che raccontava la storia del dio e continuavano a ubriacarsi, si liberavano delle vesti, saltavano e danzavano come invasati, uomini e donne, guardandosi, cercandosi, toccandosi. Finché al centro del campo veniva sollevato il dio, un sesso maschile di fango, frumento, vino, pesci, carni, sangue di porco, alto trenta piedi e preparato in tre giorni e tre notti dalle donne. La gente di Karale si lanciava sull’idolo, lo sbranava a morsi e da quel momento fino al mattino successivo tutti erano liberi di copulare con tutti. Non si capiva il perché di tanto mistero e agitazione attorno a una cosa che facevano alla luce del sole, fra le ceste del mercato di Lo, ogni volta che volevano.178

E ai i fenici si susseguono gli etruschi sul mare dei sardi:

A settentrione dell’isola, sulla costa d’oriente, in un territorio dove non sorgeva nessuno dei nostri villaggi, sbarcarono cento e cento etruschi che fuggivano una potenza di cui da tempo si sentiva pronunciare il nome: i romani. Accogliemmo gli scampati e donammo la terra dov’erano sbarcati. Erano lascivi come i fenici e adoravano un dio dei morti bello come il sole, un dio di fattezze umane che aveva ucciso il padre, aveva copulato con la madre e era stato sbranato in una grotta da otto lupi divini. 179

E, ancora, i Liguri:

Sulla costa a settentrione dell’isola, a occidente, in un territorio dove non sorgeva nessuno dei nostri villaggi sbarcarono cento e cento liguri che fuggivano i romani. Li accogliemmo, donammo quella terra. Adoravano un dio di fattezze umane, un dio uccisore che guidando i guerrieri alla conquista di un regno era stato ucciso dai figli e sbranato. Eravamo incuriositi dal proliferare di dèi ma nessuno ci pareva più grande e saggio del dio tramandato dagli antichi, il creatore che parla nel cielo notturno. Dimenticavamo le distanze fra le stelle e comprendevamo d’essere al centro di un mare che si faceva di giorno in giorno più popolato.180

Nell’immaginario atzeniano i suddetti “popoli del mare” hanno costituito comunque una forma di ricchezza per l’isola, seppur il loro bagaglio culturale sia stato in parte “schiacciato” o quantomeno sopito dai romani. Atzeni conferisce dunque nuova dignità a questi popoli, considerandoli da una parte come “invasori” ma dall’altra come “fratelli” in fuga da un nemico comune: i romani.

Infatti, i «mille anni di guerra» romana, in Sardegna sono considerati storicamente negativi ma culturalmente fruttuosi, sotto il profilo linguistico e in parte identitario. Oltretutto, è in questi anni che si diffonde la dottrina cristiana grazie alla parola di «un bambino figlio di schiavi», poi denominato Lucifero, di

178 Ivi, 73. 179 Ivi, 77-78. 180 Ibidem.

cui si parlerà più avanti. Da questo momento in poi, il punto di riferimento per la diffusione monastica ed episcopale sarà Karale, l’antica Lo. Attraverso la voce di Fulgorio, Atzeni descrive il clima respirato nella cittadella, ma offre anche un quadro sintetico delle discussioni di natura teologica estese a tutto il bacino mediterraneo:

La stirpe schiava di Lo seguendo i padroni lasciò le campagne battute dalle bardanas e si rifugiò in città. Karale diventò un alveare di voci che dibattevano attorno a temi di dottrina. I monaci erano divisi in tre partiti. Il teologo più eminente, il monaco Fulgorio, un giorno spiegò le ragioni della discordia con queste parole: «Iesus è uomo o Dio o Dio e uomo? Se ammettessimo il terzo caso, Dio e uomo, quale sarebbe la percentuale di Dio e quale la percentuale di uomo? E in quale forma Dio sarebbe presente? O soltanto l’anima di Iesus era divina? Fu dunque soltanto l’anima divina e non tutto il corpo di Iesus a risorgere? Ciò contrasta con la Parola, poiché non l’anima divina ma il corpo di Iesus risorto se ne andò dal sepolcro spostando con le sue forze la pesante pietra. Ne deriva che il terzo caso essendo in aperto contrasto con la Parola è falso e diabolico. Iesus è Dio o uomo». Il primo dei tre partiti, detto partito del primo caso, riteneva l’uomo Iesus una apparizione o manifestazione corporea priva di nascita e di morte umane della divinità non umana. Il secondo dei tre partiti, detto partito del secondo caso, sosteneva che Iesus era uomo, non Dio né figlio di Dio poiché Dio non muore e non genera ma crea. Il terzo dei tre partiti sosteneva con convinzione e confusione esplicativa che Iesus era uomo e nello stesso tempo nche Dio. Fulgorio militò per vent’anni nel partito del primo caso, per vent’anni nel partito del econdo caso e sempre detestò i partigiani del terzo caso. A Karale furono aperte scuole di retorica ristiana del primo, del secondo e del terzo caso. I giovani di Lo si diedero agli studi di teologia, famarono i litigiosi alessandrini incapaci d’altro che insegnare e gli esiti furono ottimi: nei decenni successivi due karalitani della stirpe di Lo diventarono episcopi di Roma coi nomi di Ilaro e Simmaco. Il primo, da giovane, non ancora episcopo ma diacono di Leone Magno, dovette nascondersi per sette giorni e sette notti in una cripta, durante il concilio di Efeso, per non essere squartato vivo dai paladini dell’assoluta improponibilità del terzo caso.181

Come si vede, dunque, la riscrittura storica di Atzeni integra e inserisce la Sardegna all’interno di un circuito più vasto, in cui anche l’isola, da sempre esclusa dalle cronache di questo periodo, ha offerto il suo contributo, con le sue microstorie, alla Grande storia. La Sardegna partecipa infatti amaramente ad un dibattito di più ben vaste proporzioni, e in questo contesto, le strade kalaritane sono invase dalle truppe imperiali di Publio Mamalotus che si trovarono ad affrontare una situazione di completo disagio sociale, in mezzo a prostitute, usurai, ladri e trafficanti che convivono con i comuni cittadini intono alle colline in cui i romani avevano costruito le loro ville. Chiesa e impero, quindi, occupano la città fenicia, depauperando la sua popolazione della libertà di culto e di pensiero, in una Babele multietnica che imponeva il silenzio ai non allineati:

Episcopi e monaci discutevano di teologia in una sala che aveva pavimento, volta e pareti coperti di mosaici che raffiguravano copule in tutte le varianti, nella villa di un romano dei tempi di Cicerone, passata in possesso di Fulgorio. La turba monacale karalitana vociò, urlò, minacciò, sputò, bevve, mangiò, vomitò per novanta giorni. Spesso gli episcopi imperiali non capivano il senso delle affermazioni dei monaci. Giunse notizia che un villaggio dei barbari si circondava di mura. Gli episcopi dichiararono eretici, miscredenti e figli di Satana i monaci di Karale (del primo, del secondo e del terzo caso), li fecero legare, tagliarono la lingua a tutti cominciando da Fulgorio e li vendettero a un mercante di schiavi di Massilia, felice di comprarli perché non li aveva mai sentiti parlare e non li conosceva. I monaci muti in alto mare uccisero il mercante e si tuffarono dalla nave per raggiungere a nuoto le coste di Barbaria.182

Da questo momento in poi, l’espansione cristiana all’esterno di Karale è sempre più frequente e Atzeni modula il dialogo e le scene degli incontri tra giudici ed episcopi sotto il segno dell’ironia, contrapponendo due tonalità di confronto ben diverse, in cui si scontrano il giusto e l’ingiusto il dentro e il fuori. Il «Vengo in nome di Iesus» così spesso pronunciato dai vari episcopi senza nome che si sono come postulanti susseguiti presso le mura di Arbarè, si impone in nome di un potere più forte che detesta il diverso e, per questo, lo annienta. Diverso che ogni volta si presenta in nuove forme: macarroni, sardi, barbari, vandali «perché anche se convertiti non smettevano d’essere barbari»183 sostenendo l’appartenenza del giudicato al potere imperiale.184 Paradigmatico in questo caso è il colloquio tra Aleni, judikissa di Arborea, il custode del tempo Antioco e l’episcopo senza nome, giunto appositamente da Karale per tentare la strada della conversione forzata. Lo stesso Atzeni, alla fine degli anni Ottanta si convertì al cristianesimo tanto che, come documenta Marci, scrisse in una lettera ai genitori: «Una cosa è certa: dovunque vada, sarò cristiano».185

«Questo territorio è dell’impero» disse l’episcopo.

«La terra su cui hai i piedi» rispose la judikissa «appartiene alla nostra gente da molto prima che Roma nascesse e sarà nostra anche quando Roma sarà morta».

«Roma è morta» disse Antioco.

«Anche la nuova Roma morirà, prima o poi». «Sei cristiana?».

«Sono cristiana».

«Devi obbedienza al tuo episcopo». 182 Ivi, 100.

183 Ivi, 105. 184 Ivi, 104.

185 La lettera è, come scrive, Marci «senza data ma con timbro postale del 20 ottobre 1987». Cfr. G.MARCI, Sergio Atzeni: a lonely man…, 37

«Tu non sei il mio episcopo».

«Voi non avete episcopi» disse Antioco «e non avete una città perché questo è soltanto un villaggio anche se fortificato, non avete un re o un principe, appartenete all’imperatore. Siete barbari sulle terre dell’imperatore».

«Le terre dell’impero su quest’isola» rispose Aleni «cominciano lontane da questa città. Questa città e i monti, le paludi di settentrione e gli altopiani ci appartengono da prima che il primo imperatore nascesse e ci apparterranno anche quando l’ultimo imperatore morirà. Se fossi un cattivo ospite potrei ucciderti».

«Quando tu morirai che sarà della tua gente?» chiese Antioco. «Avranno un giudice».

«Tuo figlio?». «No».

«Chi?».

«Indicherò all’assemblea dei maiores un nome. Più di cinquanta dovranno sceglierlo perché sia il nome del giudice».

«Se tu ti dicessi convertita al cristianesimo potrei decidere di restare a Karale, non ho nessun desiderio di tornare nella città di Costantino, e potrei vivere in pace con voi» disse Antioco.

«Gli uomini dell’impero non dovranno mettere piede sulle terre dei giudici» rispose Aleni. «D’accordo».

«Sarai il mio episcopo».186

Tra gli episodi più significativi in questo senso, è doveroso ricordare la sequela dei tre Lucifero, quasi una parodia dell’immagine divina dell’uno e trino, che seguono il primo grande «Uomo» Lucifero di Karale, a cui si deve la diffusione del verbo cristiano nell’isola e il secondo Lucifero che insieme a Tauro si occuparono della redazione di un nuovo e autoctono Vangelo apocrifo. I suoi successori, invece cercheranno di infangare il prezioso lavoro di proselitismo intrapreso dai due «portatori di luce», proponendosi in maniera differente agli occhi dei giudici. Da qui in poi la storia si trasformerà in una recherce che intreccerà le vicende del giudicato dell’impero e della chiesa in un obiettivo comune: quello di scovare e bruciare il libro di Lucifero, custodito dai custodi del tempo.

Il terzo Lucifero è circondato dall’attenzione di molte matrone greche che lo chiamano «Omega», perché portatore della fine dei tempi. Il suo nome nel testo rimbomba e sembra quasi moltiplicarsi, geminarsi, sino a raggiungere il numero 337, la perfezione diabolica del piano da lui messo in atto. Parte del fascino luciferino derivava certo dal membro virile di proporzioni gigantesche che sfoggia nelle orge da lui organizzate e bagnate da fiumi di vino locale. Anche Lucifero viene delineato attraverso il dialogo con menti a lui superiori, come quelle designate dall’autore nella figura del custode del tempo Gunale, che oppone strenua resistenza allo scioglimento del voto sul libro sacro e a quello sul titolo di

custode del tempo. Tra corsi e ricorsi, ironia e profezie, si ricordi l’intertestualità dei Gunale, che scorre in filigrana il tempo del racconto atzeniano dall’Apologo ai Racconti e che si incarnerà nel più famoso Ruggero protagonista del Quinto passo è

l’addio: Il custode del tempo non conosceva il significato della parola Omega e

interrogò Lucifero. «Omega» spiegò a Lucifero «è l’ultima lettera. Io porto la fine dei tempi». «A che ti serve» chiese il custode «un libro tanto piccolo per un carico tanto grande?». «Lo userò. Ho nemici a Roma e Alessandria».187

E ancora:

Il custode del tempo ritenne che Lucifero fosse indegno di possedere il libro e non glielo diede. Lucifero chiese di poterlo leggere. Il custode, temendo che Lucifero potesse bruciare o altrimenti danneggiare il libro, gli negò la lettura. Lucifero si levò in piedi e urlò: «Ti maledico, Gunale di Ar, custode del tempo». Gunale di Ar il giorno dopo comunicò la storia fino a questo punto e trasmise l’incarico della memoria e il libro di Lucifero a un nuovo custode. Il trucco funzionò: Gunale di Ar visse dopo quel giorno altri sessant’anni e fece in tempo a compiere azioni d’ingegno. Anche il custode del tempo visse. La maledizione infatti era contro Gunale di Ar custode del tempo. Gunale non era più custode. Il custode non era più Gunale. La maledizione di Lucifero, priva di bersaglio, morì. Lucifero tornò a Karale, cominciò a predicare dicendo di avere letto il vangelo di Lucifero e si proclamò Lucifero secondo. Non sapeva che i Luciferi prima di lui erano stati due e non uno. Affermava di essere l’Omega e di portare la fine dei tempi. Diceva che Lucifero primo gli aveva affidato il compito di scegliere i 337 eletti per la salvezza. Diceva che quella selezione era stata affidata ai Luciferi da Iesus per l’eternità. Ogni Lucifero aveva, ha e avrà, secondo Lucifero, il compito di salvare 337 eletti. Tale era il suo potere, diceva, che nessun episcopo in Barbaria, in Oriente e soprattutto a Roma poteva dirsi cristiano se non battezzato da Lucifero, Omega e annuncio della fine dei tempi. Molti a Karale, soprattutto fra le matrone greche e depravate, si raccolsero attorno a Lucifero. Lo imploravano di inserirle nell’elenco dei 337. Lucifero rimandava la scelta. Guidava una banda di monaci vestiti di bianco che chiese a gran voce una messa. Lucifero stette tre giorni e tre notti in solitudine e preghiera poi parlò della comunione di Lucifero. La presentò come ispirata da Dio tramite una visione. In verità rimise in vigore il rito fenicio di Karale con una sola modifica: invece dal salmone al centro del campo erano centinaia di pagnotte imbottite di uva passa e spezie, accompagnate da botti e botti di vino di Karale, giallo come l’oro. L’orgia sacra si svolgeva ogni sette giorni ma le matrone imploravano che diventasse quotidiana.188

Attraverso Lucifero, Atzeni crea una rete di sinergie sincroniche che legano tra loro la piccola storia, quella che si svolge in Sardegna e che ha scelto la sua fede a Karale, e la grande Storia, quella che si svolge nel cuore dell’impero, a Roma. Il messo tra le due realtà è Lucifero terzo, ma la sua storia permette al

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 121-133)