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Canonizzazione di una tradizione.

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 65-68)

91 Cfr S B ARBANTANI , Φατις Νικηφορος: Frammenti Di Elegia Encomiastica Nell’età Delle Guerre

2.1. Canonizzazione di una tradizione.

Questa rinnovata e personalizzata forma di romanzo — non più romanzo, non più epica ma entrambe nella stessa opera — non possiede punti di riferimento e maestri nazionali da imitare o, eventualmente, emulare, al contrario di come avviene per la letteratura occidentale, densa di spunti referenziali e modelli antichi da cui attingere: uno per tutti, Omero e i suoi due poemi epici. Pertanto, si assiste ad una sorta di ribaltamento del canone occidentale in funzione di uno minore e periferico. Spunti di questa tendenza sono in realtà riconducibili già all’epoca modernista se, come sottolinea Silvia Albertazzi, Franz Kafka nei

Diari esprime il concetto di letteratura minore,8 poi ripreso da Gilles Deleuze e Pierre-Felix Guattari intendendo non «la letteratura d’una lingua minore ma quella che una minoranza fa in una lingua maggiore».9 Considerando l’impianto teorico che sorregge i romanzi di Atzeni così come quelli postcoloniali si può ben dire che questo tipo di definizione è facilmente applicabile alle loro opere, con le quali essi denunciano una condizione minoritaria non solo legata alla comunità ma anche all’isolamento rispetto a una nazione più vasta. Le periferie del mondo, insomma, templi surclassati in cui vive un dio minore, compiono attraverso il romanzo una sorta di atto rivoluzionario, che nel riportare il caos all’unicità, all’archetipo, costruisce le fondamenta di una nuova e ben più vasta nazione

Il nuovo canone delle minoranze applica quindi i contenuti dei saggi teorici ai generi letterari classici — come il romanzo, l’epopea o la poesia — approfittando di una vivacità intellettuale che tendenzialmente nasce in seno alla mancanza di talenti che privilegino l’enunciazione collettiva e politica a discapito di quella individuale, tipicamente occidentale. Atzeni, immettendosi nel circuito di una tradizione letteraria sarda già consolidata,10 attinge da questa arricchendola però con inclinazioni postmoderne tese alla geminazione e alla molteplicità di forme e contenuti rimodulati da parte della critica postcoloniale in senso collettivo; si è lontani dunque dall’individualità di matrice shakespeariana in cui

8 S.ALBERTAZZI, Canone, in Abbececedario postcoloniale…, 27.

9 G.DELEUZE-F.GUATTARI, Kafka. Per una letteratura minore, Macerata, Quodlibet, 1996, 15.

10 Basti pensare alle esperienze di Grazia Deledda, Giuseppe Dessì e, soprattutto Salvatore Satta da cui Atzeni ideologicamente in parte si dissocia creando una sorta di ribaltamento rispetto all’epica del

Harold Bloom ritrova il fulcro della personalità letteraria occidentale e postmoderna.11 Questa nuova concezione letteraria, all’opposto:

non riguarda tanto la storia letteraria quanto il popolo, ed è pertanto custodita, se non con purezza, certo con sicurezza. Infatti, le esigenze che la coscienza nazionale di un piccolo popolo pone ai singoli fanno sì che ognuno debba essere sempre pronto a conoscere la parte di letteratura che tocca a lui, a sostenerla, a propugnarla, e a propugnarla in ogni caso, anche se la conosce e la sostiene».12

La coscienza collettiva è quindi eletta a soggetto della trasmissione culturale per poi divenirne oggetto, bagaglio da trasmettere, tramandare, dapprima oralmente e poi in forma scritta: «leggere la parola», sacra, totale, che abbatte le frontiere linguistiche e fisiche per divenire universale. Deleuze e Guattari, a questo proposito, individuano delle caratteristiche comuni che vertono intorno alla «deterritorializzazione linguistica, all’enunciazione collettiva, politica e rivoluzionaria, all’uso intensivo e non rappresentativo della parola e al polilinguismo»13 come si evince, per esempio, dall’opera di Gabriel Garcia Marquez o di Salman Rushdie. Quelle che Franz Kafka denomina «letterature minori» traggono linfa dall’incontro proficuo tra il canone letterario occidentale e l’oriundo delle periferie del mondo, influenzandosi a vicenda attraverso l’interconnessione di elementi tratti dalle rispettive realtà proporzionate specularmente alla luce di un costituendo ‘nuovo canone’. Come ha scritto Homi Bhabha, infatti, «la trasmissione delle culture di sopravvivenza non ha luogo nell’ordinato museo immaginario delle culture nazionali con la loro pretesa di continuità di un passato ‘autentico’ e di un presente vivo».14 In quest’ottica, il martinicano Patrick Chamoiseau ha messo a punto un significativo esempio di nuovo canone di sopravvivenza valido ad esternare un meticciato letterario in cui convivono gli scrittori occidentali e del terzo mondo confluiti in maniera consistente nella formazione professionale e umana dell’autore:

I grandi libri addormentati […] si risvegliano attraverso altri libri, senza che vi sia neppure il bisogno di rileggerli. Un libro che si risveglia ne risveglia mille altri. Si chiamano l’un l’altro in segreto. Si designano. Si riconducono l’uno all’altro. Una ripercussione lenta, 11 Cfr. H.BLOOM, Il canone occidentale, Milano, Bompiani, 1994.

. 12 Ibidem.

13 S.ALBERTAZZI, Canone…, 27.

14 H.K.BHABHA, Postcolonial criticism, in S. Greenblatt-G. Gunn, Redrawing the Boundaries, MLA of

paziente, senza fine, che ogni rilettura attiva (e conferma, e rivela) a partire da un altro punto d’impatto.15

Il libro stellato del cielo, che gli antichi danzatori della fantasia atzeniana leggevano tutte le sere dall’alto della ziqura, apre la saga dei S’ard, e tutta la narrativa fondativa postcoloniale è legata alla vicenda di un testo sacro, peregrino all’interno di un testo sacro che si riscrive di mille storie. Una di queste riguarda l’autorappresentazione del popolo: Atzeni, come i suoi compagni / fratelli postcoloniali considera fondamentale porsi il «problema della rappresentazione del passato»,16 che si vuole condurre sulla scia di una reinvenzione dei fatti tramandati oralmente. Convertendolo in impegno politico e identitario, il passato storico si distingue dall’accezione museale messa a punto dalla storiografia occidentale, la quale scinde il piano reale da quello immaginario, catalogando i fatti in base ad una sequenza temporale irreversibile, ordinata, esatta, e interpretata logicamente dopo aver superato un processo di selezione all’interno della memoria storica di un popolo. La storiografia occidentalizzata espone gli avvenimenti che seleziona rendendoli quasi copia del reale e analizzandoli attraverso il punto di vista dei ‘vincitori’, un sistema selettivo che orienta la realtà filtrandola secondo un’ottica casuale dove «l’esistenza linguistica giustifica e legittima l’accaduto».17 La memoria è quindi esclusa dal catalogo storico: se la memoria non è storia la storia non è memoria. Al contrario invece, la storiografia delle periferie eleva la memoria a sua prima fonte di riscrittura e il racconto è intervallato da infinite lacune fluttuanti, per dirla con Jan Vansina, floating gup, che diluiscono il tempo in un non-tempo e i luoghi in non-luoghi.

15 P.CHAMOISEAU, Écrire en pays dominé…, 94. In questo modo si costruisce quella che lo stesso Chamoiseau definisce ‘sentimenoteca’, elevando tutte le letture fatte nel corso della vita ad un livello semantico che abbraccia il mondo dei ricordi e dei sentimenti.

16 Abbecedario postcolonialie,a cura di S. Albertazzi – B. Maj…, 61. A questo proposito, si veda la recensione atzeniana al Giorno del giudizio di Salvatore Satta: Come un carro fantasma nella città inesistente, «La Nuova Sardegna», 8 aprile, 1979; Ora in S.AZTENI, Scritti giornalistici…, 677-80

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 65-68)