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Il linguaggio ‘fondante’ tra oralità e scrittura: teorie linguistiche applicate al racconto di fondazione.

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 50-65)

91 Cfr S B ARBANTANI , Φατις Νικηφορος: Frammenti Di Elegia Encomiastica Nell’età Delle Guerre

1.6. Il linguaggio ‘fondante’ tra oralità e scrittura: teorie linguistiche applicate al racconto di fondazione.

Il linguaggio conferisce l’autorità comunicativa con l’altro da noi, sia a livello individuale sia storico. Per questo la massima di Walter Benjamin secondo cui «la creazione divina è completa quando le cose ricevono il nome dall’uomo»,123 segna un chiaro ricongiungimento con il passato che, in questo modo, rivive nel presente, anche attraverso la poesia, «atto del ricordare».124e nelle memorie ancestrali attraverso dei testi ai quali facciamo riferimento coscientemente. alla prima fanno riferimento Thomas Mann e William Blake, per esempio, in cui gli archetipi storici non riflettono solo le situazioni storiche ma le plasmano e le condizionano.125 I testi poetici e letterari riordinano e danno un senso alle immagini prodotte dalla memoria «senza la poesia abbiamo solo la vibrazione commossa della coscienza».126 «La parola scritta spezza il circolo vizioso del tempo mitico e afferma il futuro; o forse è più esatto dire che il futuro è esso stesso un testo, una parola scritta. Infatti se il nostro ricordo del passato non è veramente nient’altro che una iscrizione conservata, analogalmente al nostro ricordo del futuro è una missiva scritta: un atto di fede e una testimonianza che fanno sì che si possa concepire un futuro».127

Frye rintraccia delle metafore spaziali come per esempio quella dell’oceano, considerato sin dall’antichità come madre primigenia, all’origine dei miti e mito dell’origine. In questo si evidenzia la figura dell’errante, del viaggiatore per mare a cui afferiscono gli eroi antichi e anche quelli moderni che rivisitano la concezione odissiaca del viaggio.128

La poesia è un atto del ricordare; forse questa è la sua funzione più elevata. Si potrebbe sostenere che il memorizzare sta alla base della comunicazione poetica, infatti il lettore si sente profondamente coinvolto in questo tipo di poesia, dato che anch’egli ha conosciuto queste cose. Nei suoi sogni o da sveglio ha sentito il mostro agitarsi. È il poeta che, per lui, dà espressione alla realtà, che gli rende

123 W.BENJAMIN, Reflections, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1979, 319.

124 N.FRYE, Favole d’identità…, 19. 125 Ivi, 41.

126 Ivi, 97. 127 Ivi, 132. 128 Ivi, 179.

possibile sapere e riconoscere, che gli fornisce i segni verbali indispensabili a dare un senso al passato e al futuro.129

Pierre Janet ritiene che il «componimento narrativo» sia compartecipe della tesaurizzazione della tradizione, proponendosi come importante fonte mnemonica, che si estrinseca attraverso il piacere della narrazione e la tela intrecciata del linguaggio. La memoria narrata, in riferimento ad un passato prossimo o remoto, ha la funzione specifica di raccontare il passato, sia in chiave mitica sia in quella storica, a chi non ne conosce i contenuti o a chi, semplicemente, non ha avuto modo di vivere direttamente la successione degli avvenimenti.130 La narrazione, quindi, in forma orale e scritta, è complice della diffusione del patrimonio identitario da parte della società, invitata, a sua volta, a selezionare i brani storici e mitici da inserire al suo interno.131 La ricostruzione utilizza elementi comuni e ancora vitali nel gruppo, rievocati attraverso un punto di vista interno ad esso, così come avviene «nelle società rurali [in cui] capita di frequente, [che] durante la giornata, i bambini piccoli restino affidati allo sguardo dei «vecchi», ed è a questi, tanto e fors’anche di più che dai loro diretti genitori, che i bambini ricevono in eredità tutti i tipi di usanze e di tradizioni».132

I racconti degli anziani non conoscono confini spazio-temporali e riannodano le vicende in una dimensione che si pone al di sopra del presente, del passato e del futuro. Così nella memoria non si fissano solo i fatti, ma anche il modo di pensare di altri tempi, che conquista le emozioni e la sensibilità dell’ascoltatore o del lettore, a cui capita di avere nostalgie del passato senza averlo mai vissuto, ma solo per averlo sentito narrare o per averlo letto o per averlo visto riprodotto nei quadri. La storia non racchiude in sé l’intero passato, ma neanche i rimasugli di esso, poiché esistono due tipologie storiche: una istituzionale, la storia con la S maiuscola, la Grande Storia; ma ne esiste anche un’altra, che si aggira defilata tra le sue pieghe e che vive attraverso il tempo senza tempo dei racconti. Anche il ricordo influisce intensivamente sulla memoria narrata: come un fabbro salda tra loro gli eventi del passato con quelli del presente, servendosi di materiale già ampiamente elaborato dalla tradizione in ricostruzioni risalenti ad epoche anteriori, dalle quali l’immagine originale è già in gran parte uscita alterata. Le parole, spesso, si rivestono di un alone magico che è percepito soprattutto dai

129 Ivi, 199.

130 M.HALBWACHS, La memoria collettiva…, 5.

131 C.FLORÈS, La mémoire, Paris, Presses Universitaires de France, 1972, 12

132 M.BLOCH, Memoire collective, traditions et costume, «Revue de synthèse historique», 118-120, 1925,

popoli a tradizione orale. Esse digiune del potere dello scritto le legano naturalmente alle cose, creando così una catena fonica che si dispone in sequenze ritmiche strutturate in ripetizioni e antitesi, allitterazioni e assonanze, epiteti ed espressioni formulari, temi standard, proverbi etc..

Il mito diventa allora «un racconto applicato» che non sarebbe altro se non una «verbalizzazione primaria di aspetti della realtà vissuta che vanno al di là del singolo individuo ed hanno una portata collettiva».133 Il pensiero s’intreccia quindi in sistemi mnemonici che ne determinano la sintassi e, attraverso il ritmo, agevola la memoria nell’apprendimento, grazie anche all’utilizzo di espressioni formulaiche ed epiteti, caratterizzanti di situazioni e personaggi.

I soggetti narrativi, per esempio, a partire dal racconto orale sino a quello scritto, sfoggiano sempre forti personalità (non il soldato ma il soldato valoroso etc.) o comunque lontane dalla normalità del singolo individuo. Dal loro nome proprio geminano epiteti cristallizzati che descrivono e tipicizzano, sinteticamente, le qualità dell’eroe, distinguendolo in questo modo da tutti gli altri e disegnandone inconsciamente nella mente del lettore o dell’ascoltatore un primo acquerello immaginario. Man mano che avanza la scrittura e la cultura scritta, le figure esemplari tendono a diminuire e a lasciare spazio sulla scena anche a personaggi più vicini all’uomo comune.

Claude Levi Strauss, nell’analizzare la capacità espressa dalle società calde di narrare la propria cultura — attraverso la stesura di testi in cui sono inseriti i valori e le tradizioni che le riguardano — sostiene che siano indispensabili sia il carattere cooperativo del sistema di consuetudini e di credenze, sia la capacità di estensione illimitata a cui destinarle.134 Ognuna di esse, per descrivere il mondo, lo deve necessariamente circoscrivere, inserendovi il lavoro di riflessione sottoposto all’azione del tempo, in cui riecheggia l’epos, l’eroico e il meraviglioso, capisaldi del mondo orale. L’originalità narrativa dei racconti risiede nella creazione di un rapporto empatico ed interattivo con il pubblico referente, che non vede il cantore impegnato direttamente nell’invenzione mitopoietica, ma nell’arricchimento delle storie tradizionali con nuovi elementi attualizzati e contestualizzati rispetto all’occasione performativa.135 A questo proposito, le performance o le poesie 133 W. BURKERT, Literarische Texte und funktionaler Mythos: zu Istar und Atrahasis, in Funktionen und

Leistungen des Mythos. Drei orientalische Beispiele, a cura di J. Assman, Freiburg i. d. Sch. Gottingen,

Universitatsvelag - Vandenhoeck & Ruprecht, 1982, 63-82.

134Cfr.C.LEVI STRAUSS, La pensee sauvage, Paris, Plon, 1962 (trad. it. Il pensiero selvaggio, Milano,

Il Saggiatore, 1964).

135 Cfr. J. GOODY, The domestication of savage mind, Cambridge, University press, 1977 (trad. it:

L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano, Franco Angeli, 1981. Si cita qui dall’edizione del 1987, 131-

encomiastiche accennano a situazioni politiche nuove che si legano ai contenuti tradizionali, riattualizzando così il mito antico attraverso interazioni moderne.136 Naturalmente, il contesto orale presuppone maggior confidenza tra cantore e pubblico, mentre «la scrittura separa chi conosce da ciò che viene conosciuto, stabilendo così le condizioni per l’oggettività, il distacco personale».137 La poetica, così come la mitopoietica, infatti, nella concezione di Platone prima e di Aristotele poi, ha luce solo se potenziata dalla mimesis, ossia da una rappresentazione tanto plastica quanto linguistica. I racconti di fondazione, così come quelli mitici, non esistono se non nella loro attualizzazione, come prodotti in forme di recitazione o in forme letterarie legate a circostanze enunciative ben definite. In parte essi rivivono in manifestazioni ritualizzate, che rappresentano il dato sapere comune, e che hanno come unico scopo quello di trascinare emotivamente la comunità. La storia, o la serie di avvenimenti che costituiscono la linearità storica e che noi riconosciamo attraverso la memoria, sono sottoposti al pensiero simbolico, formando parte integrante di ciò che dà il via alla produzione simbolica degli elementi di realtà su cui quest’ultima si fonda. Ciò significa che i fatti della storia evenemenziale, i suoi protagonisti, la sua temporalità, la sua collocazione nello spazio, possono senza difficoltà essere rielaborati dal pensiero simbolico, soprattutto nella forma espressiva della narrazione:138

136 Cfr. M.PARRY, The making of homeric verse: The Collected Papers of Milman Parry, a cura di A.PARRY,

Oxford, Clarendon Press, 1971; A.B.LORD, The Singer of tales, Cambridge (Mass.), Harvard University

Press, 1960 (trad. it.: Il cantore di storie, Lecce, Argo, 2005). Attraverso gli studi di Milman Parry e Albert Lord si è finito per concepire la tradizione orale come una creazione mitopoietica continua nel tempo, in cui a conservare la vitalità del racconto sarebbe il proliferare delle varianti, anche nelle strutture fondamentali o, con Goody, «nucleo standard»: Cfr. J.GOODY, The interface between the written and the oral,

Cambridge, Cambridge University Press, 1987. Havelock parla di «enciclopedia tribale» e descrive un Omero «sciolto dai vincoli della memoria e del tempo, ma tutto inondato dalla luce del presente»: E.A. HAVELOCK, Preface to Plato, Oxford, Blackwell, 1963 (trad. it.: Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero

a Platone, Roma-Bari, Laterza, 1973). In seguito Peabody — in The Winged Word, Albany, New York, State

University of New York Press, 1975 —, sostiene che «un cantore non comunica il proprio pensiero, ma quello della tradizione, in forma convenzionale per i suoi ascoltatori, compreso se stesso». Ivi, 432-33.

137 W.J.ONG, Orality and literacy, the technologizing of the word, London, New York, Methuen, 1982

(trad. it.: Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Bologna : Il Mulino, 1986,74).

138 Ricoeur sostiene che le modalità di costruzione dell’intrigo, in particolare, sono i prodotti di una tradizione di scrittura che ha conferito a queste la configurazione che lo storico mette in atto. Tale aspetto di tradizionalità è importante in quanto lo storico si rivolge ad un pubblico che è in grado di riconoscere le forme tradizionali dell’arte di raccontare. Nessun evento è di sé tragico e solo lo storico lo fa apparire tale mediante una certa operazione di codificazione e ciò deriva dal fatto che l’arbitrarietà della codificazione è limitata non tanto dagli eventi raccontati bensì dall’attesa del lettore rivolta ad incontrare forme note di codificazione. P. RICOEUR, Tempo e racconto…, 253. «La codificazione degli eventi in funzione di questa o quella struttura di intrigo è uno dei procedimenti di cui dispone una cultura per conferire un senso ad un passato personale o pubblico» (H. WHITE, The historical Text as

Literary artefact, 283). Ciò consiste nel rendere familiare ciò che non è familiare e lo storico in questo si

Attraverso la costruzione narrativa della storia, la storicizzazione della costruzione narrativa e attraverso l’elaborazione discorsiva a partire da un’istanza enunciativa anch’essa spazialmente e storicamente connotata, protagonisti, azioni e quadro spazio- temporale della storia reale subiscono, con l’essere resi in discorso, trasposizioni e metamorfosi.139

In questo senso, lo schema della comunicazione fornito da Jakobson andrebbe rivisitato, poiché manca un ipotetico messaggio da decodificare da parte del ricevente: si crea, invece, una manifestazione discorsiva che scaturisce da una schematizzazione enunciativa finalizzata all’essere compresa, sentita o letta in contesti psico-sociali spesso differenti tra loro.

In quest’orizzonte di senso si combinano, partendo da immagini offerte dal mondo culturale e naturale, fenomeni dislocati sui vari livelli della struttura semio- narrativa, procedendo, nell’intrecciarsi dialettico dei processi che agiscono a quei vari livelli, in senso orizzontale e non più in verticale, in un movimento lineare che si muove dal più astratto al più figurato. Nella sua prima fase, dunque, la lettura semio-narrativa è sensibile alle strutture superficiali «discorsive»: in questa si colgono subito gli effetti della mise en discours e dell’enunciazione. Il corso del testo definisce una serie di figure attoriali che spesso non hanno una decisa profondità psicologica, ma si collocano nello spazio e nel tempo delineati contemporaneamente dal discorso nel suo svolgimento. Questi processi di definizione degli attori, dello spazio, e del tempo, sono essenzialmente figurativi e funzionali all’integrazione nel discorso di elementi tratti dal mondo naturale e sociale che suscitano l’effetto di «riferimento ad altro» e quindi di realtà proprio della narrazione. Se nelle vulgate «mitiche» gli attori e il tempo sono dotati di qualità che li collocano nell’infra o nel super umano, dal punto di vista dello spazio invece i luoghi rappresentati sono spesso e volentieri località culturalmente definite e tali da avere nella comunità in questione una loro identità non solo geografica, ma anche simbolica.

Per riassumere quanto già detto, il racconto di fondazione è figlio di società ormai affidatesi alla scrittura, evolute e capaci di accogliere nelle proprie strutture primarie la mescolanza tra le istanze dell’antico patrimonio mitico orale e quelle imposte dalla cultura scritta. Esso fa uso del mixage culturale che riecheggia in forma evoluta nelle teorie messe a punto da Walter J. Ong a proposito del

significative devono assumere grazie alla partecipazione dello storico al processo specifico di formazione del senso che fanno di lui il depositario di un’eredità culturale piuttosto che di un’altra». Ibidem.

rapporto tra oralità e scrittura, in cui si arriva ad una forma di compromesso tra il patrimonio orale di un popolo e la sua translitterazione letteraria, conservativa della tradizione eccezion fatta per le forme ridondanti e ripetitive.140 Ciò presuppone sia un largo uso della costruzione frastica paratattica, che nella cultura orale era facilmente memorizzabili da parte del cantore; sia delle formule fisse come le formule-nome/epiteto, che agevolano la memoria del pubblico e tengono desta l’attenzione attraverso la reiterabilità; sia, infine, della tendenza a far coincidere l’atto creativo alle situazioni contingenti di valenza comunitaria. Questo giustifica il largo uso di deittici e i riferimenti precisi alla concretezza enunciativa in cui la narrazione si svolge, in stretto rapporto alla salvaguardia della memoria culturale.

Gli autori di racconti fondativi utilizzano una lingua transitiva, immediata, ricca di immagini: sulla scia di Virgilio essi lasciano che la parola mostri se stessa prima di mostrare le cose, sprigionando una forte energia linguistica che giunge a circoscrivere uno spazio straniato, a fondarlo. Qui è la danza. La danza del mondo, dunque, è accompagnata da «tale, mistico, movimento della parola che si addipana attraverso la trama del tempo».141

Il poeta nuovo condensa nella sua poesia una sorta di presente metafisico, che «da Suono primordiale si fa espressione, diventando […] musica». A ritmo del tempo, i racconti fondativi introiettano una musicalità che non è fine a stessa ma funge addirittura da struttura portante del poema; le parole si mescolano alla musica e viceversa, acquistano consistenza e sacralità attraverso l’uso di figure retoriche semanticamente legate alla ripetitio, che stimolano l’area del ricordo e della memoria:

[…] le parole si muovono, la musica si muove|solo nel tempo; ma ciò che soltanto vive|può soltanto morire. Le parole, dopo il discorso, giungono|al silenzio. Solo per mezzo della forma, della trama,|possono parole o musica raggiungere la quiete.|non la quiete del violino, fin che dura la nota.| non quella soltanto, ma la consistenza,| o diciamo che la fine e il principio erano sempre lì|prima del principio e dopo la fine.|e tutto è sempre ora. Le parole si sforzano| si fendono e talvolta si spezzano, sotto il peso,| per la tensione, incespicano, scivolano, si guastano, |marciscono per imprecisione, non vogliono stare a posto,|non vogliono star ferme. Voci stridule| che sgridano, deridono, o soltanto chiacchierano,|sempre le assalgono. Il Verbo nel deserto! è 140 W.J.ONG, Oralità e scrittura…, 71.

141 «La parola scritta spezza il circolo vizioso del tempo mitico e afferma il futuro; o forse è più esatto dire che il futuro è esso stesso un testo, una parola scritta. Infatti se il nostro ricordo del passato non è veramente nient’altro che una iscrizione conservata, analogalmente il nostro ricordo del futuro è una missiva scritta: un atto di fede e una testimonianza che fanno sì che si possa concepire un futuro». N.FRYE, Favole d’identità…, 132.

soprattutto attaccato da voci di tentazione,|l’ombra piangente della danza funebre,|l’alto lamento della chimera sconsolata.142

«Le parole, dopo il discorso, giungono al silenzio». Per questo motivo il racconto di fondazione ricorre ad un uso amplificato della parola poetica, che rimbomba e si imprime nella memoria di chi ascolta e, ancor di più, di chi legge:143

Ci sono scrittori che scrivono solo per comunicare; e ci sono scrittori che sono anche creatori di linguaggio […] Semplificando molto potremo dire che i primi fanno anche della lingua un mezzo, il semplice veicolo di un discorso che si presume neutro e referenziale. Gli altri fanno della lingua un fine, lo strumento grazie a cui il linguaggio stesso diventa percettibile, quasi tattile, e acuisce così i suoi effetti sul lettore.

Essa si è soffermata sulla necessità di inquadrare Passavamo sulla terra leggeri all’interno di uno specifico genere letterario, che oscilla, alla luce della poliedricità e della problematicità sia strutturale sia tematica che presenta, tra romanzo storico «che inventa la storia»,144 epopea, epica e, come suggerisce Monica Farnetti,

romance e racconto di fondazione.145 Non prescindendo se non da questa prima variegata classificazione, il presente lavoro si propone di aderire a quest’ultima tipologia letteraria proposta ― che, a sua volta si appoggia all’epica e, ancor più, all’epopea ― giustificandola attraverso un percorso che dal mito fondativo conduce alla realizzazione di un più composito racconto, legato a esigenze e specificità che travalicano l’orizzonte prettamente narrativo, volto ad esprimere in

primis l’aspetto di resistenza civile e identitaria in cui si riconosce una comunità di

142T.S.ELIOT, Burnt Norton in Four quartets, II, 9-11, 18-23.

143 Il primo scrittore ad instaurare questo tipo di rapporto con la parola fu Virgilio il quale, come sostiene Gian Biagio Conte, esprime per creare, si arroga il potere di ridescrivere la realtà e ridefinire i rapporti tra gli elementi che la rappresentano linguisticamente. Il poeta vuole comunicare, ma per farlo è costretto quasi a ostacolare il suo discorso perché esso non scivoli via come un atto comunicativo immediato, bensì si fermi nell’orecchio e nella mente di chi lo riceve, vi faccia presa senza dissolversi, come se si reificasse. Il metro, le costruzioni formali e le arditezze retoriche fanno impedimento alla comunicazione ma solo perché così riescono a valorizzarla appieno: allertano il lettore e lo mettono in gioco facendone un collaboratore attivo. Il lettore, per poter percepire i significati che il discorso poetico comunica, deve colmare una distanza, valicare gli ostacoli che tolgono trasparenza al discorso. È ovvio che i significati non sono che parzialmente resi opachi dalla funzione retorica. Il poeta non vuole certo che i valori referenziali del suo discorso siano oscurati, solo vuole che per il lettore essi siano tutti sospesi all’instaurarsi di un nuovo sistema di riferimento. Il lettore è chiamato a confrontarsi dialetticamente con questo nuovo universo particolare, che è fatto di parole ma che con prepotenza aspira a una piena alterità esistenziale. Cfr. G.B.CONTE, Virgilio, l’epica del sentimento, Torino, Einaudi, 2002.

144 G.MARCI. Sergio Atzeni: a lonely man, Cagliari, Cuec, 1999, 186.

145 M.FARNETTI, Una cerca mediterranea, in Trovare racconti mai narrati, dirli con gioia, a cura di G.

eguali e, nello specifico, quella sarda. Per questo motivo, l’analisi di Passavamo sulla

terra leggeri verterà soprattutto sull’intenzionalità che l’autore riversa nella stesura

dell’opera — che, dal punto di vista editoriale, viene classificata come romanzo —

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 50-65)