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Riscrittura della periferia: le trues stories dei S’ard.

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 68-72)

91 Cfr S B ARBANTANI , Φατις Νικηφορος: Frammenti Di Elegia Encomiastica Nell’età Delle Guerre

2.2. Riscrittura della periferia: le trues stories dei S’ard.

Così, il racconto storico è costruito sulla base degli scarti memoriali della storiografia ufficiale, contemplabili solo attraverso una reinvenzione esclusivamente orale della storia, mentre si allontana sempre più il punto di innesto tra azione e discorso, alla base di ogni rappresentazione storiografica. La storia coincide con il racconto di matrice orale, che non necessariamente deve racchiudere in sé la verità così come viene concepita dal mondo occidentale, ma si accontenta di raggiungere un livello di verosimiglianza tale da far immedesimare il popolo negli antenati e riconoscere il punto zero, riconoscersi nei luoghi atavici, scoprirli, contemplarli. Questo tipo di rappresentazione viene definita da Silvia Albertazzi trues Histories, ossia «fatti storici rivissuti nella memoria, non necessariamente attendibili ma non per questo del tutto falsi»,18 alternativa alle cosiddette trues stories postmoderne, «le bugie sincere raccontate in forma iperbolica per convogliare qualche verità dagli autori del secondo novecento»19 La voce della periferia vuole sapersi raccontare, narrare e strappare all’oblio quelle storie un tempo volutamente trascurate per evitare l’alterazione di un passato costruito ad hoc. Diventano materia di narrazione, allora, tutte quelle storie tratte dalla memoria collettiva e non dalla Storia con la S maiuscola che, fondamentalmente, non esiste, perché esistono solo «storie taciute volontariamente dal potere per alterare la verità, o anche storie ritenute sino ad allora poco interessanti: le storie dei poveri, degli emarginati, degli umili, dei vinti».20 Le storie sono tantissime, ogni popolo può raccoglierne un’infinità, anche solo scavando superficialmente nella propria memoria, e disporle poi in un ordine focalizzato internamente che dipende dalla contingenza del tempo e della società. Ogni racconto fondativo, nonostante la piattaforma universale a cui ambisce, conserva una propria intima cerchia ricettiva, corrispondente alla comunità di cui si fa memoria. In questo contesto, è indispensabile la figura di un bardo che compendi in sé la molteplicità di uno sciamano, un filosofo, un cantastorie, un sociologo, etc.; che filtri le informazioni conservate nella memoria non tanto per scoprire nuove verità o ampliare gli orizzonti della conoscenza storica, quanto per

18 Ibidem. 19 Ivi, 62.

raccontare se stesso attraverso la storia del suo popolo e viceversa. In questo modo, memoria individuale e collettiva coincidono.

L’atto di raccontare fuoriesce dall’atteggiamento occidentale di comprendere e far comprendere qualcosa, evangelizzare verso un tipo di conoscenza manipolata; esso abbraccia invece una metodologia non scientifica che non bandisce, come elementi salienti della sua discussione, la magia e il verosimile e conduce verso una riproposizione in chiave diversa della storia. Molto comune è per esempio il racconto di momenti drammatici della storia locale filtrati attraverso gli occhi di un bambino o rielaborati nel ricordo d’infanzia: ed è con gli occhi di un bambino che Atzeni osserva la storia sarda, bambini senza nome che rappresentano tutti i bambini del mondo, con cui tutti si possono identificare, ieri come oggi come domani. Il luogo della storia appare realmente come un tempo pieno d’attualità in cui le immagini del passato spostandosi nel tempo si de- temporalizzano e de-territorializzano, assumendo connotazioni rivoluzionarie che rendono possibile lo sgretolamento del continuum storico.21

La riscrittura della Storia avviene attraverso il gioco della mescolanza, in cui confluiscono codici e registri linguistici e tematici differenti che vengono amalgamati sino a ricreare un tessuto perfettivo nuovo e originale, il cui contributo è indispensabile per la costituzione di una comunità specifica, che alterna storie di varia natura e di varia estrazione, aulica e popolare, che si intrecciano a formare generi letterari differenti, e rispecchiando le teorie gramsciane circa la letteratura nazionale e popolare. A questo proposito, Atzeni ammette sia l’importanza delle letterature della Grecia antica e dell’Inghilterra rinascimentale per la costruzione di una coscienza critica universale, poiché solo questi due modelli sono state in grado di produrre allo stesso modo autori nazionali e popolari, così come è avvenuto per la Russia moderna raccontata da 21 Cfr.: E. W.SAID, Out of place : a memoir, London, Granta books, 1999 (trad. it. Sempre nel posto

sbagliato. Autobiografia, Milano, Feltrinelli, 20001). La narrazione, sulla scia delle Mille e una notte, è un

mezzo indispensabile per combattere la morte intesa come oblio, come notte in cui la memoria si perde nell’oscurità. Solo il racconto dà la vita. Questo motivo ricorrente è stato definito da Stephen King come ‘sindrome di Sherazade’, e si collega ad un altro molto simile in cui il narratore sa che sta per morire e quindi deve raccontare in fretta tutto quello che sino ad ora non ha mai riferito in maniera compiuta, affinché il segreto della tradizione non muoia con lui. Il tempo e il suo scorrere che con le sue dure leggi scandisce il passare delle stagioni, avvicendando il passato, il presente e il futuro e cancellando lo ieri in vista dell’oggi e del domani, diventa un leit motiv fondamentale per questo tipo di esperienze letterarie, che lavorano in vista di una riedizione della storia affidata completamente alla memoria, nemica del tempo. Questo espediente si lega alla definizione di Walter Benjamin circa lo status della narrazione: sia il narratore sia la storia che narra sono impegnati in una dura lotta contro il tempo che agisce come una cimosa sulla storia e sulla tradizione e, per questo, acquistano autorità soltanto nella presenza della morte, intesa come morte fisica ma anche, estendendo metaforicamente il concetto, come morte del patrimonio collettivo. È la morte o l’avvicinamento ad essa, quindi, che conferisce autorità alla narrazione.

Tolstoj; sia la necessità di ricorrere alla tradizione e alla voce degli antichi, come quando durante una conferenza tenutasi alla facoltà di lettere dell’Ateneo cagliaritano elegge pubblicamente, e provocatoriamente, “Zio Paddori” a sua principale Musa poetica.22

La letteratura nazionale è caratterizzata, secondo Gramsci, dalla «contaminazione positiva di forme artistiche tradizionalmente elevate»,23 ed è frutto della apporti tratti da culture diverse tra loro ma che entrano in contatto all’interno di un dato territorio, stratificandosi temporalmente e interagendo sottoforma di substratum rispetto agli strati superiori che si avvicendano. Nel risultato di questa compagine sono evidenti sia il contributo dell’elemento locale nel confronto con le diverse realtà assimilate sia un vivace spirito combinatorio necessario per armonizzare le contraddizioni della realtà nazionale. Gli scrittori postcoloniali, allo stesso modo, traggono linfa dagli insegnamenti gramsciani,24 nel momento in cui sono affascinati, come già detto, dalla contaminazione culturale, che armonizza gli elementi combinandoli tra loro ma, nonostante questo, mescolandoli costantemente con quelli provenienti dalla narrativa e dalla poesia popolare dei loro paesi. La derivazione popolare della componente ludica è insita nella tradizione e nelle storie che fanno parte del patrimonio orale della comunità, che, come sostiene Albertazzi, attende quasi infantilmente di sentirle 22 S. ATZENI, Il mestiere dello scrittore, in Si…otto, a cura di G. Marci, Cagliari, Condaghes, 19951,

2005, 89-90.

23 Cfr. A.GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950.

24 Un uso più libero e creativo del pensiero gramsciano, foucaultianamente considerato una «cassetta degli attrezzi», è stato fatto, in questo senso, a partire dagli anni Settanta al di fuori dell’Italia e, in particolare, in Sudamerica, dove il confronto con Gramsci assume una rilevanza cruciale e caratteri di assoluta originalità fin dalla fine degli anni Venti, con la pubblicazione dei Sette saggi sulla realtà peruviana di José Carlos Mariátegui. Lo stesso dibattito latino-americano, d’altro canto, si è proficuamente intrecciato, in anni più recenti, con la rilettura di Gramsci avviata nel mondo anglosassone dai saggi di Stuart Hall, che hanno fatto dell’autore dei Quaderni del carcere un riferimento imprescindibile per gli studi culturali e postcoloniali. Basti ricordare, a questo proposito, i lavori dello storico indiano Ranajit Guha, fondatore dei «Subaltern Studies», e quelli di Edward Said, che proprio dalla ripresa di concetti (subalternità, egemonia) e di testi (Alcuni temi della quistione meridionale) gramsciani hanno preso l’avvio per muovere verso esiti che hanno profondamente segnato i dibattiti culturali «globali» degli ultimi anni. Proprio Said ci ha ricordato del resto che non solo le persone, ma anche le teorie viaggiano (Traveling Theory si intitola appunto uno dei saggi più noti del grande critico palestinese, scritto nel 1982 e poi «rivisitato» nel 1994). E viaggiando possono certo «addomesticarsi», perdere la propria originaria carica di provocazione, ma possono anche «ibridarsi» in altre costellazioni storiche, geografiche e culturali, dando luogo a concatenazioni e a esiti tanto imprevisti quanto interessanti. Varrebbe davvero la pena di saggiare in riferimento al pensiero di Gramsci l’intuizione di Said, di ricostruire in questa chiave la storia globale della sua ricezione e reinterpretazione: quel che ne deriverebbe non sarebbe soltanto la stesura di un capitolo particolarmente affascinante di storia intellettuale del Novecento, ma anche l’allestimento di un grande archivio di testi, temi e concetti a disposizione del pensiero critico contemporaneo.

raccontare sempre allo stesso modo anticipando il piacere di situazioni, formule e magari rime che si ripetono, così come avveniva appunto nell’antica Grecia. Tutto ciò spiega la necessità di ripristinare i moduli della fiaba tradizionale, in quanto narrare non significa solo proporre vie di fuga, ma anche riflettere, spingere al cambiamento qualcosa che può essere considerato alquanto pericoloso da chi desidera che nulla si muova. Il lavoro politico del narratore, per questo motivo, prosegue ininterrottamente anche dopo il raggiungimento dell’indipendenza — così come si evince dalle esperienze di Rushdie o di Garcia Marquez o di Said — e, allo stesso modo, le narrazioni più conosciute tratte dalla tradizione orale non cessano la loro evoluzione e trasformazione in forma, per dirla con Glissant, rizomatica. A livello stilistico, infatti, per molti autori postcoloniali raccontare storie che proliferano di continuo, sulla scia delle novelle delle Mille e una notte, significa riscoprire una forma di narrativa barocca ridondante che si moltiplica e si estende orizzontalmente piuttosto che esprimersi in profondità come avviene nel romanzo occidentale. Ripetizione, accumulo di dettagli, circolarità, ritorni e riprese tematiche, idiomatiche e strutturali sono alla base di queste narrazioni. Barocco è tutto ciò che si oppone al classicismo ossia «al momento in cui una data cultura, una data letteratura propongono i loro valori particolari come valori universali».25

Il passato viene, quindi, «sognato in maniera profetica»:26 la Storia, le storie e la letteratura appaiono inseparabili, tanto che il rimando a fatti storici oggettivamente comprovati viene filtrata attraverso un immagine ascrivibile alla categoria del mito o del racconto fondativo, anche se si tratta di mito grottesco, scaturito dalla visione che della storia hanno personaggi marginali la cui ottica periferica determina un effetto di prospettiva grandangolare che altera e distorce i contorni del reale. Passato e presente risultano continuamente modificati da reciproche interferenze secondo uno schema narrativo dialogico. S’impongono narrazioni in forma di saga, storie di famiglie che attraversano i decenni e i secoli o che vivono in un breve arco di tempo cambiamenti epocali per i loro paesi. La conoscenza passa infatti per l’accettazione di sé e della propria storia, aspetto questo che deve fare i conti con la tratta coloniale. Nella concezione storica di Atzeni, anche i S’ard subirono un trattamento di questo tipo da parte della Storia e, alla stregua di tutti i popoli sottoposti alla gogna coloniale, è come se anche i sardi avessero gettato la memoria tra le acque durante la traversata in mare, come

25 E.GLISSANT, Poetica del diverso…, 98.

se l’avessero perduta nel ventre matrigno della nave.27 Il recupero culturale non avviene quindi nel luogo natio, ma si sviluppa dal momento in cui si affronta il mare — raffigurato in un immagine sempre burrascosa che rispecchia lo stato d’animo degli schiavi — sino ad approdare sulla terra di accoglienza: è qui che si scava alla ricerca delle proprie radici, perché è da qui che si è costruita la propria esperienza. Allo stesso modo, Atzeni svela il destino dei S’ard, popolo orientale di sacerdoti, nel momento in cui essi vengono catturati dagli ‘uomini del mare’, imbarcati e traghettati in mezzo alla tempesta:

Uomini e donne arrivavano al porto da città assalite e depredate, dicevano che era apparso e avanzava verso il mare Gr, un dio spaventoso che guidava turbe di armati, elevava torri di teste di uccisi e torturava i non uccisi chiedendo notizie dei sacerdoti danzatori lettori del cielo, uccisori del padre. Gli uomini del mare temettero di lasciare la testa ai vermi. Partimmo subito. Il mare era cattivo.28

Solo nel momento in cui quelli che nell’immaginario atzeniano vengono definiti come i «danzatori delle stelle», i S’ard, riusciranno a governare la nave e l’approdo, solo allora il mare si calmerà. A costo della vita. Nel momento in cui essi giungeranno nella nuova terra scoprendola palmo a palmo, verrà fondata una nuova e multietnica comunità, quella dei sardi, in una nuova e incontaminata terra chiamata Sardegna, di cui qui si ripropone il racconto fondante:

Racconterò una storia che crescerà come un loto rampicante, si avvolgerà su se stessa e si spanderà senza fine, finché ciascuno di voi entrerà a farne parte, e gli dei verranno ad ascoltare, finché tutti noi parleremo in un’armoniosa confusione che contiene il passato, ogni attimo del presente e il futuro infinito [...] e con queste parole ricominceremo tutto daccapo.29

È il ritorno al punto fermo.

27 Il pensiero postcoloniale, rispecchiandosi nel dolore storico dei popoli che per questo vi

Nel documento Sergio Atzeni e il racconto di fondazione (pagine 68-72)