37 Più volte negli scritti Atzeni fa riferimento alle teorie gramsciane e il pensiero del teorico si possono scorgere o in filigrana o in maniera esplicita all’interno dei suoi scritti, sia quelli giornalistici sia
2.4. Percorsi di riscrittura della storia: dai racconti a Passavamo sulla terra
2.4.4. Le farfalle meravigliose di Marquez.
Un palinsesto fondamentale per la stesura di Passavamo sulla terra leggeri è l’epopea colombiana di Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine, intrisa di quella «contemporaneità del non-contemporaneo» così cara al mondo dell’epopea orale — di cui evidentemente Passavamo sulla terra leggeri fa parte —, e teorizzata da Moretti come un ricca di «un fascio di spinte e controspinte, dove vecchio e nuovo si combinano nei modi più strani, tenendo sempre in sospeso il destino di Macondo»136 così come quello della Sardegna. Al di là di ogni riferimento alla troppo comune definizione di relismo magico o real maravilloso,137 Atzeni assorbe da Marquez quella sensazione di un destino sospeso, appeso al filo della vita, mutevole come la fortuna. Le sette generazioni che trascorrono la loro vita sulle pagine del romanzo colombiano non sono altro che la metafora dell’umanità e dell’individuo, di cui si attraversano le varie fasi, dalla prima infanzia alla maturità e poi alla morte, che tutto distrugge, tutto cancella. Se la prima rappresenta la nascita e la fanciullezza (lo stupore e la scoperta delle cose da parte di José Arcadio insieme a Melquiades), le successive sono lo specchio dell’irruenza giovanile (José Arcadio figlio), dell’adolescenza (gli amori di Rebeca e Amaranta), della sete di una giustizia più popolare (il colonnello Aureliano con le sue oltre trenta guerre, tutte perse), della delusione del mondo (sempre il colonnello Aureliano, che si rintana nel suo laboratorio a costruire pesciolini d’oro). Un destino tragico, dunque, che nasce, cresce, muore e si ripete nella sua ciclicità, e una sola forza per le generazioni che verranno: la memoria degli antenati, che rivive attraverso la geminazione di nomi, luoghi e motivi sempre uguali. Come i cicli che Ursula riconosce nella storia della famiglia, le cose che si ripetono, gli stessi errori commessi da padri e figli, «perché le stirpi condannate a cent’anni di
solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra»138 – chiosa l’autore. La solitudine in cui Macondo si è arenata è destinata a strozzarlo, al di là di ogni profezia: la chiusura mentale al mondo, l’autoreferenzialità dei suoi abitanti e della famiglia Buendìa (col risultato dei vari incesti) ne determineranno la morte. Tutto
136 F.MORETTI, Opere mondo, Torino Einaudi, 1994.
137 «Realismo magico? Troppo comodo, coperchio buono per troppe pentole. […] Realismo magico è veramente un’etichetta che ha perduto di senso, e non amo le etichette». S. Atzeni, xxx.
138 G. G. MARQUEZ, Cien anos de soledad, Buenos Aires, Editorial sudamericana, 19671 (trad. it.
Cent’anni di solitudine, Milano, Feltrinelli, 19681 . Qui si utilizza l’edizione Opere, a cura di R. Campra,
finisce lì dove tutto è iniziato: la casa dei Buendía, ormai a pezzi, viene spazzata via da un uragano insieme a tutto il paese, il piccolo Aureliano viene divorato dalle formiche rosse e Aureliano Babilonia comprende —finalmente e troppo tardi — le profezie di Melquiades. Tutto è ormai perduto.
Macondo, uno specchio di mondo che si apre in mezzo alle foreste, è il simbolo del racconto di fondazione colombiano di cui si parlerà più diffusamente nella seconda parte di questo lavoro. Ora interessa invece soffermarsi sull’ascendenza che l’epopea di Marquez ha avuto su quella sarda di Atzeni. Per farlo, basta ricordare la ciclicità con cui ricorre la figura del giudice Mariano, la «capra zoppa», che costituisce il «punto fermo» di un mondo che ruota che tanto Eliot coi suoi versi ricercava, quell’attaccamento all’antico che non può essere mai surclassato. Così Atzeni investe sulla ieraticità di Mariano, novello Aureliano Buendìa, demitizzandolo, elevandolo ad una condizione panica che lo amalgama eternamente con tutto quanto ruota intorno a lui, sino all’ascensione finale, quasi un capovolgimento in senso autoctono della tradizione cristiana. Il motivo dell’ascensione è presente anche in Cent’anni di solitudine: basti pensare in questo senso all’esperienza di Remedios la bella, personaggio che sembra non essere passato indifferente all’attenzione di Atzeni. Anche la Sardegna, infatti, ha un proprio Dio, che non è Re, non è un eroe, non è immanente, ma è un giudice che assume le sembianze di una capra, per giunta zoppa, di un lupo, di una volpe, a seconda delle circostanze. Nonostante questo, egli accompagna il suo popolo così come, divinamente, fa il pastore con il proprio gregge:
Da quanto governa Mariano? Non eravate manco nati. I vostri padri non erano nati. Non erano nati i padri dei vostri padri e Mariano governava. Da allora sono passati più di duecento anni. Quale uomo può vivere per duecento anni? Perché noi e voi non possiamo vivere per duecento anni? Conosciamo il perché: non abbiamo firmato il patto baciando il culo del principe degli angeli caduti, nome immondo,verro sozzo.139
E, ancora, Mariano succube di un patto diabolico (o diavolo egli stesso nella sua iconografia da capro?)secondo la più diffusa iconografia medievale:
Lo credevano immortale. Si mormorava avesse trecento anni e tutti ricordavano d’essere nati sotto Mariano da padri nati sotto Mariano da padri nati sotto Mariano. I nonni e i babbi erano morti, i vecchi invecchiavano e Mariano ancora viveva e governava, correndo a tre zampe, ululando come cane e belando come capra alle riunioni della corona. 140
139 S.ATZENI, Passavamo sulla terra leggeri…, 192.
In Cent’anni di solitudine Ursula può essere definita come il rispecchiamento del giudice Mariano, colei che guarda gli eventi dal loro cominciamento: unica testimone del ‘tempo zero’. Entrambi, Mariano e Ursula, infatti si rivelano come i punti fermi che oltrepassano le generazioni e subiscono un calcolo alternativo del tempo biologico che li rende immortali: «nonostante il tempo, i lutti sovrapposti e le pene accumulate, Ursula si rifiutava di invecchiare».141
Quasi ‘custodi del tempo’ e, per citare Elias Canetti, anticipando ciò che si dirà in seguito, «custodi delle metamorfosi», Ursula e Mariano gestiscono in qualche modo il traffico dei personaggi del romanzo e assistono imperturbabili allo sfarsi e disfarsi del tempo, della storia, difendendo attraverso il ricordo e un libro ‘sacro’ la memoria. La loro morte segnerà definitivamente il declino, un moto d’urto che il diluvio purificatore di Macondo, così come il miglioramento delle condizioni di vita in Sardegna non sono riusciti ad equiparare. Il disfacimento della loro anima, prima che del corpo, trascina nell’oblio tutto quanto si è costruito nel tempo, nei cent’anni di Macondo così come nei oltre mille e mille dei sardi.
Nella giungla di personaggi che invadono le pagine di Cent’anni di solitudine e di Passavamo sulla terra leggeri, uno in particolare risente palesemente dell’influenza di Marquez. Si tratta di Sula, «la più bella»142 discendente dalla dinastia dei danzatori per cui possiamo tracciare un parallelismo con l’altrettanto «bella» Remedios, sposa di uno dei tanti Aureliano Buendìa, ascesa al cielo come in un miracolo. Sia Sula che Remedios nella loro vergine bellezza si rivelano come angeliche ammaliatrici, che provocano sconforto e competizione negli uomini delle rispettive comunità.
Sula è contesa tra Umur ed Eloi, rivali nel rito della maiorìa ma anche nella vita, e le rispettive famiglie si trovano coinvolte in una sanguinosa faida che durerà per secoli. La descrizione che di Sula offre Atzeni aderisce ad un modello bucolico e idillico, che contrasta con il sangue versato dai due contendenti:
Era bella come mendula marigosa, forte e agile come capra, coraggiosa e prudente, astuta e saggia. Raccoglieva ogni giorno nel bosco bozzoli di farfalle e li portava a casa. Viveva immersa in nuvole di farfalle d’ogni colore che credevano fosse loro madre. Voleva diventare giudice. Detestava il rito. Detestava essere scelta. Non desiderava nessuno dei dodici del suo rito mentre avrebbe molto gradito uno dei dodici del rito precedente, ma doveva dare un padre ai figli.143
141 G.GARCIA MARQUEZ, Cent’anni di solitudine…, 127. 142 S.ATZENI, Passavamo sulla terra leggeri…, 59.
Alla fine Sula va in sposa a Umur, non gli dà figli ma lo rende più saggio. Nonostante questo la faida continua:
Umur amando Sula aveva perso il buio degli occhi e la furia del corpo, era diventato saggio. Generoso. Sula aveva imparato a amare Umur per gli improvvisi scoppi d’allegria che spezzavano il ragionare attento e per la forza e capacità in ogni mestiere. Sula non amava la corsa del linciato. Quel giorno dormiva sotto una quercia lontana. Sognò che Umur la chiamasse. Corse verso il punto di mira. Trovò Umur con la testa spaccata. Sangue, cervello, ossa, una poltiglia proprio sotto la fronte aperta. Ma respirava. Lo curò dov’era, senza muoverlo di un dito. Per trenta giorni e trenta notti Sula non chiuse occhio. Il trentunesimo giorno all’ora del sole calante Umur si svegliò sanato, guardò Sula e sorrise. Sula gli disse: «Ti hanno salvato le farfalle. Cento e cento sono morte per frenare la corsa del bastone. Devi uccidere Eloi o non avrò mai pace».
Si sdraiò accanto a Umur e si addormentò. Lui la vegliò per sette giorni e sette notti con attorno cento e cento farfalle che piangevano lacrime rosse credendo morta la madre. L’ottava mattina Sula aprì gli occhi e chiese da mangiare. Umur trovò una pecora e la munse in bocca a Sula sdraiata sull’erba. Le farfalle euforiche si ingarbugliarono fra i peli della pecora e morirono.144
Le farfalle: anche questo aspetto è a mio avviso riconducibile alle pagine di
Cent’anni di solitudine in cui esso compare come elemento ricorsivo e afferente
teoricamente al cosiddetto real maravilloso di sui sopra si è accennato. Farfalle gialle e colorate, infatti, svolazzano a Macondo e le si vedono svolazzare intorno a diversi personaggi: basti pensare allo stuolo che precedeva l’arrivo di Mauricio Babilonia,145 o a Mister Herbert, immortalato più volte a cacciarle nei dintorni del villaggi;146 o, ancora ai continui riferimenti alla “polvere di ali di farfalla” utilizzata per avvelenare la minestra alle spalle di Santa Sofia de la Piedad,147 o alle lettere che Pietro Crispi faceva pervenire ad Amaranta, «con membrane di petali e farfalle dissecate»;148 in ultimo, alle farfalle dissecate trovate da Ursula nel baule di Remedios o alle lettere contenenti polvere di farfalla sparse nel libro antico conservato da Remedios la bella.149
Alle farfalle di Sula, replicano nella seconda parte del romanzo gli stuoli di falchi che scortano i passi del giudice Mariano (che si nutre di polvere di farfalle),
144 Ivi, 64.
145 Cfr. G.GARCIA MARQUEZ, Cent’anni di solitudine…, 238; 244; 246. 146 Ivi, 190.
147 Ivi, 270. 148 Ivi, 96. 149 Ivi, 238.
di Martina, di Eleonora e di Mattia nell’ultima parte del romanzo,150 la cui fine corrisponde ad un racconto di fondazione sulla rocca dei falchi:
trecento falchi femmina lasciarono i nidi e volarono fino all’isola di roccia. lungo il viaggio cantarono un lungo canto che soltanto chi capiva la lingua dei falchi comprese, giunti alle Colonne si lasciarono cadere in mare come pietre e morirono affogati. Da allora i falchi custodiscono quel luogo, lo reputano sacro.151
In una concezione panica della storia così come del quotidiano, «il punto fermo del mondo» che ruota consiste in un continuo e poliedrico amalgamarsi completamente nell’ambiente in cui vive, in cui si muove. All’armonia del battito delle ali delle farfalle nella parte iniziale del romanzo di Atzeni, in cui ‘passavamo leggeri come acqua che scorre’, si contrappone lo starnazzare dei falchi che scortano i giudici nella seconda. In mezzo Mariano, «Il giudice, capra in giacca da pastore», in cui la complessità del rispecchiamento tra l’uomo e la bestia raggiunge il suo massimo equilibrio.152
Sia gli uomini che le bestie hanno una missione da compiere, e nel momento stesso in cui questa viene portata a termine, a prescindere dagli esiti, è come se si compisse un rito di morte-vita, in cui il corpo di disfa per poi rifarsi: così, il sacrificio dei falchi si ricorda attraverso la rocca dei falchi; e le farfalle muoiono “Ingarbugliate tra i peli di pecora” nell’immaginario di Atzeni; dissecate, invece, nell’epica ‘meravigliosa’ di Marquez.
150 E anche Mattia ed Eleonora finito il tempo della libertà, lasciarono Arbarè «seguiti da trecento falchi e da cortei di uomini e bestie che lenti si dispersero in ogni direzione». S.ATZENI, Passavamo sulla
terra leggeri…, 201.
151 Ivi, 196. 152 Ivi, 194.