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Antonio Arrighi, attribuito

Copia Autore Cristiano Giomett

87. Antonio Arrighi, attribuito

(Roma 1687 - 1776)

Rilievo raffigurante Romolo che offre un sa- crificio al simulacro di Ercole

1704-1705

terracotta; cm 62 x 76

Inv. 13434 (deposito); 1949, Collezione Gorga

Restauri: 1997

Il bassorilievo in creta rappresenta la prova vincitrice del Concorso Clementino del 1705. Quell’anno Giuseppe Ghezzi, segre- tario perpetuo dell’Accademia di San Luca, aveva richiesto ai candidati di rappresentare l’episodio di Romolo che offriva solenne sa- crificio all’altare di Ercole: più precisamente

si prescriveva di modellare “una nobil ara si- tuata avanti il simulacro di Ercole et il Re Romolo vestito con la clamide e corona reale che pomposamente fa l’oblazione della vit- tima accompagnato dai suoi cortigiani”. La competizione fu vinta ex equo da Antonio Arrighi e dal maltese Pietro Paolo Troisi (1686-1750), artisti che avrebbero in seguito praticato principalmente l’attività di argen- tieri, ed è probabilmente al primo dei due cui si può riferire la paternità dell’opera in esame almeno su basi stilistiche. Ricordato nelle stanze dell’Accademia negli inventari del 1729 e ancora del 1807, il modello deve essere stato trafugato nel 1930 in occasione del trasferimento delle opere nella nuova sede di palazzo Carpegna, per poi ricompa- rire nella collezione del cantante lirico Evan Gorga e quindi, a seguito della cessione allo Stato Italiano, al Museo di Palazzo Venezia. Rinvenuto in stato frammentario, il pezzo è stato fatto restaurare (1997) ed esposto nel 2000 alla mostra Aequa Potestas tenutasi presso l’Accademia di San Luca a Roma. Nell’impostare la scena, l’autore si attiene scrupolosamente ai dettami della traccia concorsuale. La composizione, infatti, ruota intorno alla piccola ma “nobil” ara circon- data dai sacerdoti pronti a sacrificare l’agnello. Sullo sfondo delle mura di Roma da cui si affacciano suonatori di tromba, nu- merosi soldati assistono all’evento mentre Romolo, in posizione eccentrica sulla parte destra del proscenio, si volge “pomposa- mente” verso l’altare di Ercole in atto di ve- nerazione e ringraziamento. Le varie figure sono scalate nei piani con grande sapienza ed inquadrate entro le quinte della colonna di sinistra e dell’edicola con la statua di Er- cole. Colpisce inoltre la notevole attenzione riservata ai particolari delle vesti e degli elmi, alla decorazione a infiorescenze incise nella specchiatura dell’ara, all’insistita metodicità nel delineare i singoli mattoncini delle mura, dettagli che rimandano proprio alla precisione disegnativa dei repertori orna- mentali degli argentieri. In occasione della succitata esposizione romana, Barberini ha individuato i due potenziali autori dell’opera senza tuttavia avanzare una più definita pro- posta attributiva. A seguito di approfondite ricerche sulla dinastia degli argentieri Arri- ghi, la Montagu (2007) si è espressa cauta- mente per il nome di Antonio che, con questo rilievo, già agli esordi di carriera dava prova della competenza acquisita come au- tore di modelli. Figlio di Giovanni France- sco, il giovane Antonio ottenne la patente di argentiere il 9 giugno del 1733, dopo che il fratello maggiore Agostino (1672-1762) aveva rinunciato al diritto di ereditare la pa- tente paterna. Da quel momento, Arrighi fu a capo di una bottega fiorentissima che rea- lizzò, tra gli altri, oggetti liturgici di straor-

dinario valore per la decorazione della chiesa São Roque di Portogallo, per la conventuale di San Giovanni a La Valletta (oggi a Midna), ma anche per la cappella di San Fi- lippo Neri alla chiesa romana della Valli- cella, per la quale eseguì il sorprendente ornamento d’altare in bronzo dorato, ar- gento e pietre dure.

Bibliografia Barberini 2000b, p. 89; Montagu 2007, p. 15; Montagu 2009, pp. 12-13. 88. Giuseppe Lironi (Como? 1689 – Roma 1746) San Sebastiano 1710 – 1730 ca. terracotta; cm 31,5 x 25 x 16,5

Inv. 10397; 1952, Donazione Nicod Sus- smann

L’opera è entrata a far parte delle collezioni del Museo di Palazzo Venezia nel 1952 a seguito della donazione della signora Mar- garet Nicod Sussmann in memoria del co- gnato, l’archeologo Ludwig Pollak. Santangelo la pubblicò nel suo Catalogo

delle Sculture del 1954, con l’attribuzione a

Massimiliano Soldani Benzi, ritenendola “un modello per un piccolo bronzo affine al rilievo con il compianto sul Cristo del Museo Nazionale di Monaco”.

La terracotta raffigura san Sebastiano esa- nime al termine del suo martirio. Il gio- vane era stato nominato Capitano delle Guardie del Pretorio da Diocleziano che,

in tal modo, intendeva distoglierlo dalla professione della fede cristiana. La sua per- severanza provocò l’ira dell’imperatore che lo fece arrestare e lo condannò a morte: Se- bastiano venne quindi legato ad un albero e poi trafitto da numerose frecce. In que- sto caso, il santo è spogliato della sua ar- matura, dell’elmo e dello scudo che sono ammonticchiati al suolo, come a formare una natura morta; il corpo privo di forze giace quasi completamente a terra, soste- nuto soltanto dal braccio destro annodato al tronco. Questo dettaglio, tuttavia, si in- tuisce per analogia iconografica con altri gruppi poiché la scultura risulta mutila proprio di quell’avambraccio e del piede sinistro, nonché di alcuni frammenti della parte basamentale. Inoltre una vernice bruno-rossastra ne ricopre per intero la su- perficie quasi certamente per simulare l’ef- fetto del bronzo. Come abbiamo visto, Santangelo suggerisce un confronto con il rilievo bronzeo del Soldani raffigurante il

Compianto conservato al Bayerisches Na-

tional Museum di Monaco, soprattutto per l’analogia con la figura del Cristo che è reclinato su una roccia e con il braccio cadente, nella classica iconografia della Pietà. Ma varie similitudini si possono ri- scontrare anche con altre composizioni del maestro fiorentino, basti pensare al bel volto di Marte del rilievo in terracotta con l’Inverno (1735) di Palazzo Pitti che ri- chiama, nella delicatezza dei tratti, quello del nostro San Sebastiano, e ancora, nella stessa opera, il gruppo di armi e corazze

ammassate nella fucina di Vulcano ricor- dano da vicino quelli a coronamento della base del martire. Resta tuttavia da rilevare una certa debolezza in alcuni passaggi del modellato, in particolare nella definizione del corpo di Sabastiano, un segnale che in- duce a cercare altrove l’autore dell’opera. La presenza di un marmo identico per composizione e misure (h. cm 35) nella collezione di Sir Brinsley Ford a Londra contribuisce a risolvere in maniera con- vincente il problema. L’opera fu acquistata a Roma negli anni Settanta del Settecento dal gesuita padre Thorpe per conto del- l’ottavo conte di Arundell, ed è proprio il prelato – molto addentro al mercato del- l’arte e generalmente puntuale nelle attri- buzioni – ad assegnare il piccolo marmo a Giuseppe Lironi. Nel catalogo della colle- zione Ford, Nicholas Penny (1998, p. 273) conferma il nome di Lironi e classi- fica la scultura come un “academic recep- tion piece for which such expressive male nude subjects were often selected”. La ter- racotta di Palazzo Venezia rappresenta quindi il modello preparatorio del marmo londinese e la sua esecuzione può essere scalata tra il primo e il terzo decennio del Settecento.

Bibliografia

Santangelo 1954, p. 85.