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Gian Lorenzo Bernini, attribuito

Copia Autore Cristiano Giomett

31. Gian Lorenzo Bernini, attribuito

(Napoli 1598 – Roma 1680)

Studio di cavallo per il monumento equestre di Costantino

1662 ca.

terracotta: cm 22 x 14 x 13,5 Inv. 13421; 1949, Collezione Gorga

Il bozzetto in terracotta chiara è concepito come una sorta di rilievo raffigurante il seg- mento posteriore del corpo di un cavallo colto nell’atto di drizzarsi; l’andamento tondeggiante e ben definito dei bordi fa pensare all’intenzionale volontà di eseguire una sezione della composizione piuttosto che al risultato di una spaccatura dovuta alla cottura o ad una accidentale caduta. Sulla superficie dell’opera si notano alcune fratture molto accentuate che presentano

una direzione prevalentemente verticale nella parte inferiore e orizzontale nella metà superiore, forse perché il modellato è stato eseguito giuntando due porzioni di impasto, una per il corpo del cavallo e una per il fondo. La ricerca di impronte digi- tali, eseguita macrofotograficamente in luce diffusa ed in luce radente dall’ingegner Claudio Falcucci, non ha evidenziato tracce riconducibili alla lavorazione con i polpastrelli; si riconoscono altresì chiara- mente i caratteristici segni incisi della stecca dentata sulla base e sul ventre del- l’animale.

La terracotta è stata pubblicata per la prima volta nel 1991 da Barberini che proponeva di identificarla come studio per il cavallo dello sfortunato Monumento equestre di

Luigi XIV eseguito da Bernini tra il 1669 e

il 1673 e destinato alla reggia di Versailles. Istituendo un confronto con il bozzetto di quella scultura, conservato presso la galle- ria Borghese di Roma (1669-1670, inv. CCLXIX), la studiosa vi ravvedeva lo stesso moto vivace di inarcamento della groppa e l’analoga disposizione delle zampe poste- riori. Nel 1997, Marder tornava sull’argo- mento associando viceversa l’opera alla statua di Costantino portata a termine dal maestro nel 1668 e sistemata, nel gennaio dell’anno successivo, sulla parete destra del vano d’accesso della Scala Regia in Vati- cano. La commissione era iniziata nel 1654 per volontà di Innocenzo X con l’intento di collocare la scultura a ridosso del primo pilastro di San Pietro a fronteggiare il Mo-

numento di Matilde di Canossa. Poco

tempo dopo, con la scomparsa di papa Pamphilj (1655), i lavori si interruppero mentre la statua era poco più che abboz- zata. Fu Alessandro VII che, nel 1662, de- cise di dare nuovo impulso all’iniziativa, optando tuttavia per un sostanziale muta- mento di sede: non più l’interno della ba- silica vaticana ma la Scala Regia, con la possibilità di ammirare l’opera anche dal nartece. Dunque il bozzetto potrebbe es- sere stato realizzato in questa seconda fase del cantiere per studiare la nuova posizione del cavallo, ora addossato alla parete mossa da un monumentale drappo di stucco, e quindi concepito come una sorta di basso- rilievo. Su questo particolare aspetto si sof- ferma anche Hermann Fiore (1998) che sottolinea come l’opera in esame, analoga- mente al modello più completo conservato all’Hermitage di San Pietroburgo (inv. 673), presenti la parte posteriore piatta, proprio ad indicare la futura collocazione, laddove il modello del Luigi XIV della Bor- ghese mostra una perfetta finitura della fi- gura e dei particolari da ogni lato. Oltre a questo importante dettaglio, l’ipotesi co- stantiniana è suffragata anche dalla posi-

Copia Autore Cristiano Giometti

zione della zampa, che si flette con anda- mento verticaleggiante rispetto alla postura più schiacciata della terracotta borghesiana, e ancora dalla riproposizione assai fedele nel marmo delle masse muscolari del ca- vallo contratte nello sforzo.

Bibliografia

Barberini 1991, p. 49; Marder 1997, pp. 579-580; Hermann Fiore 1998, pp. 314- 315; Ferrari – Papaldo 1999, pp. 503, 583

32. Gian Lorenzo Bernini

(Napoli 1598 – Roma 1680)

Angelo con il titolo della Croce

1667-1668

terracotta rossa, cm 3 x 19,5 x 18 Inv. 1195; 1770 ca., Collezione Cavaceppi; 1909, Acquisto Ferroni (?); 1909, Galleria Borghese; 1920, Castel Sant’Angelo, n. 1578

Il bozzetto raffigurante l’Angelo con il Titolo

della Croce rappresenta uno studio preli-

minare modellato da Bernini per la scul- tura in marmo conservata nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte, in- sieme al corrispettivo Angelo con la Corona

di Spine, originariamente entrambe desti-

nate alla decorazione di Ponte Sant’Angelo. Nel 1667, all’indomani dalla sua elezione al soglio di Pietro, papa Clemente IX Rospi- gliosi dedicò grande attenzione alla ristrut- turazione dell’antico Pons Aelius,

collegamento principale tra la città e la basi- lica di San Pietro, ed affidò a Bernini la so- printendenza del cantiere. Questi, consapevole del valore scenografico delle acque, ideò delle grate di bronzo al fine di rendere il fiume protagonista della scena e pensò di scandire i dieci contrafforti del ponte con altrettanti angeli recanti i simboli della passione di Cristo. Il maestro realizzò numerosi disegni e bozzetti per ciascuna delle statue delegandone l’esecuzione ad al- cuni dei suoi usuali collaboratori e a scultori di una certa fama, quali Antonio Raggi (An-

gelo con la colonna), Lazzaro Morelli (Angelo con il flagello), Cosimo Fancelli (Angelo con la Veronica), Girolamo Lucenti (Angelo con i chiodi), Paolo Naldini (Angelo con la veste e i dadi), Ercole Ferrata (Angelo con la Croce),

Domenico Guidi (Angelo con la lancia) e An- tonio Giorgetti (Angelo con la spugna). Ber- nini si riservò di scolpire le due figure con il

Titolo della Croce e la Corona di Spine ma, nel

1669, quando il pontefice le vide terminate le ritenne troppo belle per essere esposte alle intemperie e decise di destinarle a Pistoia, sua città natale. In realtà i due marmi rimasero nello studio dello scultore fino alla data della sua morte (†1680) e, solo nel 1729, Prospero Bernini, nipote del maestro, li donò alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Le opere furono dunque sostituite sul ponte da due copie scolpite tra il 1670 e il 1671 da Paolo Naldini (Angelo con la Corona di Spine) e dallo stesso Bernini in collaborazione con Giulio Cartari (Angelo con il Titolo). L’immediatezza dei tratti e l’evidenza dei segni superficiali lasciati dai diversi stru- menti riconducono la terracotta in esame alle prime fasi ideative e suggeriscono una datazione a cavallo tra la fine del 1667 e l’inizio dell’anno successivo. Per questo an- gelo Bernini concepì una posizione giocata sul motivo del contrapposto, in cui il peso del corpo è sostenuto interamente dalla gamba sinistra mentre la destra, lasciata nuda, si piega elegantemente sporgendo in avanti. Lo stesso effetto si ripete nella testa reclinata verso sinistra in contrasto con il cartiglio che si squaderna dalla parte op- posta. Lo studio della posa, ispirata alla statuaria di età classica e alla plastica pras- sitelica, è fissato in un noto foglio del- l’Istituto Nazionale per la Grafica (inv. FC 127500) in cui la silhouette dell’angelo è ripetuta due volte. Nel primo schizzo il maestro disegna un corpo nudo e si con- centra unicamente sulla postura del torso e delle gambe, eludendo persino la raffi- gurazione delle braccia e della testa; nel se-

condo definisce l’intera figura, accenna lo studio del panneggio, ed aggiunge alcuni complementi iconografici, quali le ali ed il cartiglio. Anche nella terracotta Bernini stabilisce l’andamento generale della com- posizione, senza tuttavia soffermarsi troppo nella descrizione dei particolari: se i rigonfi riccioli della capigliatura riman- dano già alle evoluzioni del marmo in San- t’Andrea delle Fratte, l’espressione dell’angelo risulta appena accennata e non tradisce l’intenso e dolente sentimento della scultura. Anche i moti della veste sono soltanto suggeriti e molto semplifi- cati rispetto alle sovrabbondanti volume- trie dell’opera finita. Nel retro della scultura, in corrispondenza del tronco cui è appoggiato l’angelo, sono state rilevate due impronte digitali. La documentazione macro fotografica in luce diffusa e un luce

radente eseguita dall’ingegner Claudio Fal- cucci, lascia supporre che tali impronte siano riconducibili al contatto delle mani con la scultura avvenuto durante una mo- vimentazione precedente alla cottura piut- tosto che a un vero e proprio intento di modellare con le mani nude la creta.

Copia Autore Cristiano Giometti

Ad oggi sono stati individuati ben sei boz- zetti per l’Angelo con il Titolo: oltre a quello di Palazzo Venezia, uno si conserva al Kim- bell Art Museum di Forth Worth (Inv. 1987.02.A), due al Fogg Art Museum di Camgridge (Ma.), uno acefalo (Inv. 1937.69) e l’altro più completo anche nei panneggi (Inv. 1937.67), e gli ultimi due all’Hermitage di San Pietroburgo (Inv. 629, 630). Pur riconoscendo a tutti lo sta-

tus di studi preparatori, la critica ne ha pro-

posto una scansione cronologica basandosi principalmente su evidenze tecniche e sti- listiche. Mark Weil (1999) ritiene che Ber- nini abbia iniziato l’elaborazione della figura proprio con la terracotta di Palazzo Venezia, per poi proseguire con la versione frammentaria del Fogg in contemporanea con quella del Kimbell Art Museum, giun- gendo ad una soluzione più definitiva nel secondo e più dettagliato esemplare del Fogg. Ribaltando il giudizio, Charles Avery (1997) sostiene che la terracotta del Kim- bell costituisca il punto di partenza degli studi del maestro per un trattamento an- cora troppo debole della muscolatura. Se- guono il bozzetto acefalo del Fogg Art Museum, poi quello esposto in mostra ed infine il secondo Angelo del Fogg, definito per la sua eleganza uno dei più attraenti dell’intera produzione berniniana. En- trambi gli autori ritengono che quelli del- l’Hermitage siano invece da considerare dei modellini quasi definitivi: la statuetta priva delle braccia è da riferire al marmo in Sant’Andrea delle Fratte e l’altra è da mettere in relazione con la versione della scultura realizzata da Bernini e Cartari ed oggi sul ponte, con la quale condivide una diversa soluzione del panneggio raccolto dietro la gamba destra della figura. Una così ricca produzione di schizzi, dise- gni preparatori e bozzetti illustra con chia- rezza le tappe del fare artistico del maestro e della sua bottega. Dapprima si studiava l’im- pianto generale della dell’opera senza troppa attenzione ai particolari e alle rifiniture su- perficiali e, solo in un secondo tempo e dopo numerose prove, si passava ai più com- pleti modelli finali la cui traduzione in marmo era spesso affidata ai collaboratori.

Bibliografia

Notizie. Musei e gallerie 1909, p. 279; Ma- riani 1929-1930, pp. 57-69; Mostra di

Roma secentesca 1930, cat. 795; Riccoboni

1942, p. 164; Grassi 1946, pp. 186-199; Hermanin 1948, p. 278; Santangelo 1954, p. 78; Martinelli 1956, pp. 256-257; Grassi 1962, p. 133; Wittkower 1955, p. 250; Fagiolo dell’Arco 1969, p. 220; Weil 1971, pp. 252-259; Weil 1974, p. 48; Mezzatesta 1982, cat. 8-9; Pope-Hennessy 1986, p. 489; Avery 1987, pp. 12, 31; Car-

dilli Aloisi – Tolomeo Speranza 1988, p. 70; Tratz 1988, p. 448; Barberini 1991, pp. 47-48; Barberini 1994, p. 119; Barberini 1996, pp. 68-69; Bacchi 1996, p. 783; Avery 1997, p. 168; Ferrari – Papaldo 1999, pp. 26-27; Ulivi 1999, p. 371; Weil 1999, pp. 144-150; Boucher 2001, pp. 61- 66, 198-199; Pittiglio 2009, p. 86; Gio- metti 2011, pp. 272-273.

33. Scultore attivo a Roma da Gian Lo-