• Non ci sono risultati.

Copia Autore Cristiano Giomett

39. Domenico Guid

(Torano di Carrara 1625 – Roma 1701)

Due cherubini con Agnus Dei

1657-1658

terracotta dorata; cm 20,l x 21,5 Inv. 13446; 1949, Collezione Gorga

Il modello raffigurante Due cherubini con

l’agnello proviene dalla collezione del te-

nore Evangelista Gorga ed è entrato a far parte delle raccolte di Palazzo Venezia nel 1949. Nel 1991, Barberini lo ha corretta- mente messo in relazione con il rilievo di analogo tema scolpito da Domenico Guidi per la porta del coretto a sinistra dell’altar maggiore di Sant’Agnese in Agone, pro- ponendo un’attribuzione congiunta a Guidi ed Ercole Ferrata, entrambi impe- gnati nell’impresa decorativa della chiesa pamphiliana. Dopo quell’importante con- tributo, l’opera non ha goduto di partico- lare attenzione da parte della critica e soltanto Ferrari e Papaldo ne hanno asse- gnato l’esecuzione al solo Guidi. In effetti dalla “Nota delle opere di scultura” redatta nel 1683 a margine di una importante biografia dell’artista, si apprende che Guidi aveva eseguito “alcuni Putti che por- tano li misterij di Sant’Agnese nella mede- sima Chiesa in Navona sotto li Coretti in Roma” (Giometti 2010, p. 130). Inoltre nell’archivio Doria Pamphilj si conserva un pagamento a Guidi di 30 scudi “per saldo de’ putti di basso rilievo” (ADP, Scaf- fale 86, n. 13, int. 3, f. 308, pubblicato in Garms 1977, p. 69). Sulla base di con- fronti stilistici, Montagu (1989) ha attri- buito allo scultore di Carrara i rilievi con gli Angeli con l’agnello e, dubitativamente, anche quelli con la spada, i simboli del martirio e il velo.

L’opera, di forma quasi quadrata e dalla superficie dorata, presenta una fessura che ne fende per intero la parte sinistra; inol- tre un piccolo foro in alto al centro indica, probabilmente, che la terracotta è stata adattata per l’esposizione su una parete. Su uno sfondo reso vibrante dalla lavorazione con la stecca dentata, si stagliano i corpi- cini dei due angeli che sostengono l’agnello, oggi acefalo; il senso di sospen- sione e di movimento del gruppo è reso ancor più efficace dalla presenza di due drappi che si snodano sinuosi tra le figure come battuti dal vento. Proprio questi na- stri di tessuto dai bordi lievemente squa- drati e dalle pieghe un po’ rigide e angolate costituiscono già un indizio valido per una assegnazione a Guidi poiché rappresen- tano un motivo ricorrente della sua pla- stica nella terracotta così come nel marmo. Ulteriore conferma all’attribuzione risiede anche nelle modifiche compositive riscon- trabili tra il modello e l’opera finita, una prassi tipica del modus operandi dello scul- tore. Nella terracotta, infatti, i due angeli sono scalati su piani sovrapposti e mo- strano entrambi il volto al riguardante; vi- ceversa nel marmo le figure si affrontano e specialmente quello di sinistra si dispone interamente di profilo mostrando anche le

ali prima celate. Nella sua redazione mar- morea il gruppo angelico sembra perdere quell’effetto di spontaneità della terracotta per raggelarsi in un canone di sobria com- postezza. Bibliografia Barberini 1991, p. 44; Bacchi 1996, p. 811; Ferrari – Papaldo 1999, pp. 8, 507; Giometti 2010, p. 285. 40. Melchiorre Cafà

(Vittoriosa, Malta, 1636-Roma 1667)

San Giovanni Battista

1661-1667

terracotta; cm 43 x 18 x 14,4

Inv. 10355; 1770 ca., Collezione Cava- ceppi; 1947, Donazione Nicod Sussmann Restauri: 2011, Davide Fodaro, Livia Sfor- zini

Il San Giovanni Battista raffigurato in que- sta scultura poggia su una base quadrata, la- vorata con una stecca dentata a linee parallele molto sottili tra le quali si indivi- dua la scala di riporto delle misure. La figura si bilancia sulla gamba destra mentre la si- nistra flessa lambisce quasi l’angolo della base; la lavorazione del retro è quasi del tutto tralasciata ed è indizio della progettazione di una statua a veduta nettamente frontale. Vi- ceversa, la testa risulta perfettamente mo- dellata e definita nei singoli dettagli, dalle pupille scavate alle ciocche corpose della barba, il tutto lavorato finemente con stec- che dentate e cavaterra a sezione ovale. Il re- cente restauro ha eliminato la patina a finto bronzo, applicata in epoca imprecisata ma posteriore all’esecuzione, facendo emergere il numero “102” relativo all’inventario dello studio di Bartolomeo Cavaceppi, redatto nel 1802 da Vincenzo Pacetti in occasione delle vendita della vasta raccolta del restauratore romano al marchese Giovanni Torlonia. L’opera è poi passata nella collezione dell’ar- cheologo Ludwing Pollak ed è stata donata al Museo di Palazzo Venezia dalla di lui co- gnata Margaret Nicod Sussmann nel 1947. Nel pubblicare per primo la terracotta, Brinckmann (1923) l’ha assegnata ad Er- cole Ferrata ritenendo che si trattasse di uno studio per la statua del Sant’Andrea per la facciata di Sant’Andrea della Valle; sarà Santangelo, nel 1954, ad attribuirla corret- tamente a Cafà con un probabile riferi- mento alla figura del San Giovanni Battista del Battesimo di Cristo in bronzo, di ignota collocazione (riprodotto in Sciberras 2006, p. 264). In realtà, a tutt’oggi, resta aperto il problema della eventuale traduzione in scala monumentale di questo modello, ipo- tesi suffragata anche dalla presenza alla base dei punti di riporto; tuttavia non si cono- scono opere del maltese di tale iconografia e si può solo supporre che l’improvvisa morte, nel settembre del 1667, abbia in- terrotto un’impresa a quel momento solo agli esordi. Una derivazione diretta dal pro- totipo di Cafà è stata riconosciuta nel San

Giovanni Battista ligneo (cm 41,4 x 18,7 x

18), facente parte di un gruppo omogeneo di otto sculture donate da Ercole Ferrata alla chiesa di San Michele di Pellio Infe- riore, suo paese natale, e oggi conservate al Museo Diocesano di Scaria. L’unica diffe- renza tra le due composizioni risiede nella posizione dell’agnello, che risulta stante nella terracotta e adagiato nella versione li- gnea. La stessa figura, ma in due diverse angolazioni, è inoltre rappresentata in due disegni autografi del Museum der bilden- den Künste di Lipsia, pubblicati dalla Montagu (1972). La reiterazione del mo- dello di Cafà da parte di Ferrata e dei suoi collaboratori nella scultura di Pellio porta

Copia Autore Cristiano Giometti

plausibilmente a ritenere che la terracotta del San Giovanni Battista provenga proprio dallo studio dello stesso Ferrata.

Bibliografia

Brinckmann 1923, I, pp. 116-117; San- tangelo 1954, p. 88; Montagu 1972, p. 75; Schlegel 1978, p. 49; Barberini 1991, p. 45; Barberini 1994, p. 126; Ferrari – Pa- paldo 1999, p. 504; Montagu 2006, p. 72; Sigel 2006, pp. 196-200; Di Gioia 2010, p. 64; Barberini 2011, pp. 270-271.