• Non ci sono risultati.

Copia Autore Cristiano Giomett

67. Filippo Carcan

(Roma 1644-1688)

Modello per il monumento del cardinal Ago- stino Favoriti

1682

terracotta dipinta; cm 40 x 59 x 20 Inv. 10353; 1770 ca., Collezione Cava- ceppi; 1800, Collezione Torlonia; 1947, Donazione Nicod Sussmann

Originario di Sarzana, il monsignore Ago- stino Favoriti (1624-1682) fu uno dei pro- tagonisti della vita culturale romana durante il pontificato di Alessandro VII. Le sue qualità di fine letterato furono ampia- mente apprezzate da papa Chigi che lo in- terpellava regolarmente per la scelta dei motti delle medaglie pontificie; fu ancora

Favoriti a celebrare in due poemetti esame- tri il Colonnato e la Cattedra di San Pietro, le più significative opere eseguite da Bernini per volontà di Alessandro VII. Non sor- prende dunque che anche il monumento funebre del monsignore sia nato in ambito berniniano e affidato all’ideazione del pit- tore Ludovico Gimignani (1643-1697). A darne conferma è un Avviso di Roma del 2 febbraio 1685, data di inaugurazione della macchina funebre; la cerimonia si svolse alla presenza della regina Cristina di Svezia che apprezzò grandemente l’opera “non tanto in riguardo alla ricchezza de’ marmi et ec- cellenza delle statue, quanto per la nuova invenzione, e nobilissimo disegno fatto da Lodovico Gimignani pistoiese, pittore tra’ primi di questa città” (Rossi 1941, p. 254). Ad eseguire materialmente le sculture non fu però lo stesso Gimignani, di cui al mo- mento non è nota l’attività di plasticatore, bensì Filippo Carcani (1644-1688), allievo di Ercole Ferrata e più volte collaboratore dello stesso Bernini che lo coinvolse, tra l’al- tro, nei lavori del Sepolcro di Alessandro VII in San Pietro. Già all’inizio degli anni Ot- tanta del secolo, Carcani aveva collezionato

una serie di importanti commissioni a par- tire da due statue in travertino per il colon- nato di San Pietro eseguite all’inizio della carriera (1668-1669), fino alla figura della

Carità per il Monumento del cardinal Carlo Bonelli in Santa Maria sopra Minerva

(1674); nel 1680 iniziava poi una sorta di sodalizio artistico proprio con Gimignani in occasione dei lavori nella cappella Aqui- lanti in Santa Maria di Montesanto, ove il pittore eseguiva le tele con Storie di santa

Maria Maddalena dei Pazzi e nella volta gli

affreschi con Cristo in gloria e lo scultore ne completava la decorazione con angeli e putti in stucco. Fu forse anche grazie al buon andamento di quel cantiere che Fa- voriti prima, e il suo esecutore testamenta- rio Ferdinando von Füstemberg, vescovo di Münster poi, decisero di chiamare i due ar- tisti per realizzare il deposito di Santa Maria Maggiore. Sulla scorta dei pagamenti rin- venuti nei Libri Mastri del Banco di Santo Spirito apprendiamo che il pittore ottenne un compenso di 160 scudi (22 sett. 1684, sc. 30; 4 ap. 1685, sc. 80; 10 mag. 1685, sc. 50), lo scultore di 409 scudi (27 nov. 1683, sc. 100; 28 mar. 1684, sc. 100; 2 dic.

1684, sc. 100; 3 feb. 1685 sc. 209) e che al- l’impresa collaborarono anche il muratore Giovanni Antonio Tedeschi e l’intagliatore Giovanni Battista Giorgini.

La genesi dell’opera può essere ricostruita attraverso un disegno di Gimignani con- servato presso l’Istituto Nazionale per la Grafica (cfr. Fusconi 1986, pp. 16-18, FC 127.496) e, soprattutto, grazie al modello in terracotta già appartenuto a Bartolomeo Cavaceppi e pervenuto al Museo di Palazzo Venezia nel 1947 dalla collezione di Lud- wig Pollak. L’esemplare fu pubblicato per la prima volta da Brinckmann che lo asse- gnò a Carcani (1923), e tale attribuzione è stata poi accolta da Santangelo (1954) e da tutta la critica successiva. La terracotta, su- perficialmente rivestita da una lacca bruna, si presenta in buono stato di conservazione; la perdita della mano destra del cardinale e della testa del puttino alla base dell’inginoc- chiatoio non inficiano l’unità dell’insieme e la comprensibilità della composizione che mantiene intatta la sua forte ascendenza ber- niniana, con particolare riferimento al Mo-

numento del cardinal Domenico Pimentel in

Santa Maria sopra Minerva (post 1655). Favoriti è genuflesso in posizione rialzata al centro della scena e volge lo sguardo verso la figura della Fede assisa alla sua de- stra; un drappo che scende dall’inginoc- chiatoio contribuisce a rafforzare il legame simbolico e visivo tra le due figure, mentre sul lato opposto la Fortezza alza gli occhi al cielo e poggia la testa sul braccio sinistro, citando in controparte la statua della Giu-

stizia del sacello di Urbano VIII nella basi-

lica vaticana. Nel modello in esame Carcani mostra le sue qualità di plastica- tore tanto che eleggerà anche in seguito un materiale malleabile come lo stucco a me- dium di elezione: il suo tratto sulla terra- cotta è infatti veloce e sicuro anche se lo scultore non rinuncia a sottolineare alcuni dettagli delle fisionomie o particolari più squisitamente decorativi, come il delicato cartiglio con le insegne cardinalizie che si intravede sulla faccia dell’inginocchiatoio. Rispetto alla versione finale in marmo, il modello conserva una maggiore ridon- danza nel trattamento dei panni, aspetto questo che lo rende ancor più vicino alla tarda maniera di Bernini (Montanari 2000); inoltre si segnala la comparsa di un leone accovacciato nel monumento della li- beriana viceversa assente nella terracotta in esame.

Bibliografia

Brinckmann 1923, I, p. 134, tav. 58; San- tangelo 1954, p. 89; Martinelli 1956, p. 343; Barberini 1991, p. 57; Barberini 1994, p. 127; Ferrari – Papaldo 1999, p. 505; Montanari 2000, pp. 397-398. 68. Paolo Morelli (documentato a Roma 1679-1719) Maria Maddalena 1689 terracotta; cm 41 x 13 x 12,5

Inv. 10413; 1935, Acquisto Comitato La- vori di Palazzo Venezia

Le notizie relative alla carriera di Paolo Morelli, nativo di Como, sono ancora assai frammentarie e la sua attività si può rico- struire su base documentaria a partire dal 1679 e fino al 1719, anno della sua morte. Niente sappiamo della sua prima forma- zione anche se le origini lombarde indu- cono a supporre che lo scultore abbia approfondito soprattutto le tecniche della modellazione; le sue qualità furono co- munque riconosciute anche a Roma ove, nel 1702, risultò vincitore del secondo pre- mio nella prima classe del concorso cle- mentino all’Accademia di San Luca. Tradizionalmente si soleva far coincidere l’inizio della produzione di Morelli con il 1699, sulla base della sua documentata presenza nel cantiere della chiesa romana di Santa Maria Maddalena per la quale congedò una figura in stucco della santa

eponima, collocata in una nicchia del cor- ridoio di accesso al convento. Tuttavia, al- cune recenti ricerche documentarie hanno premesso di retrodatare gli esordi romani dello scultore e di inquadrarlo in seno alla committenza della famiglia Odescalchi, anche questa originaria di Como (Walker 2002). Numerosi pagamenti sono regi- strati infatti nella contabilità di Don Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI (1676-1689); il primo di questi risale al 1689 ed è relativo a non ben specificati la- vori di marmo effettuati tra il marzo e il settembre di quell’anno. Da tali docu- menti, si evince che Morelli prese anche parte, benché con compiti minori, ai la- vori per il monumento del pontefice ese- guito da Pierre-Etienne Monnot su disegno di Carlo Maratti: nel mese di lu- glio del 1697, lo scultore sbozzò i tre grandi blocchi di marmo per le figure principali che furono poi condotti presso lo studio di Monnot, tra l’agosto e il set- tembre successivi. Ancor più interessante risulta il pagamento di 20 scudi effettuato il 31 marzo del 1690 “per resto del prezzo di due statue rappresentanti una S. Agnese, e l’altra la Povertà”. La Walker istituisce una relazione tra la succitata – e al momento perduta – Povertà e la figura

allegorica acquisita alle collezioni del

Museo di Palazzo Venezia nel 1935; la ter- racotta è firmata (“Paulo Morello”) e da- tata “1679” e sarebbe solo tale scarto cronologico ad impedire la piena accetta- zione dell’analogia tra le due opere. Tut- tavia la lettura dell’annata riportata da Santangelo (1954) deve essere rettificata poiché il “7” è in realtà un “8” che posti- cipa la data di un lustro e permette di as- sociare dubitativamente la terracottaa in esame con la citata Povertà Odescalchi. Il bozzetto fu pubblicato da Hermanin (1948) che lo riteneva lo studio preparato- rio per la statua di Santa Maria Maddalena nell’omonima chiesa romana; l’ipotesi venne tuttavia respinta da Santangelo (1954) che non vi riconobbe alcuna pre- gnante attinenza neppure con le sei statue in stucco della navata della stessa chiesa al- lusive al sacramento della confessione. In effetti, nessuna di quelle figure riproduce alla lettera le garbate movenze della nostra terracotta anche se una vaga affinità d’im- postazione si può ravvedere nell’allegoria della Contrizione.

La statuetta, stante su un alto basamento quadrangolare e cava al suo interno, è colta nell’atto d’incedere e si porta le braccia al petto con gesto aggraziato; la testa è recli- nata verso destra, quasi in un moto di pudi- cizia, e una fluente chioma le ricopre il collo e la spalla sinistra con riccioli corposi che ri- cordano da vicino alcune caratteristiche

Copia Autore Cristiano Giometti

della scultura berniniana. La modellazione è sicura e la resa plastica di estrema effica- cia, anche se Morelli non tralascia di met- tere a punto i dettagli incidendo, ad esempio, i bordi dell’ampio manto o defi- nendo i tratti delicati del volto e le singole ciocche dei capelli. Allo stato attuale degli studi non è dunque ancora possibile deter- minare quale sia la traduzione finale della composizione studiata dallo scultore in questa terracotta che tuttavia conferma le buone doti di plasticatore dell’artista e ne giustifica l’apprezzamento da parte di un mecenate raffinato come Don Livio Ode- scalchi.

Bibliografia

Hermanin 1948, p. 280; Santangelo 1954, p. 80; Barberini 1991, p. 56; Ferrari – Pa- paldo 1999, p. 509; Walker 2002, pp. 25, 32-33.