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Scultore francese (?) attivo a Roma

Copia Autore Cristiano Giomett

73. Scultore francese (?) attivo a Roma

Vestale Tuccia

fine XVII – primo quarto XVIII secolo terracotta; cm 20 x 11,2 x 11,5

Inv. 13356; 1770 ca., Collezione Cava- ceppi; 1949, Collezione Gorga

Lo stato di conservazione della piccola scul-

tura in terracotta chiara non è ottimale per le mutilazioni subite dal pezzo, probabil- mente a causa di qualche caduta, come sta- rebbero a suggerire le superfici scabre rimaste a vista. Sono andate perdute la testa ed entrambi gli avambracci della figura fem- minile stante, mentre anche il giovanetto, bloccato al terreno dal piede della donna, ri- sulta acefalo. La presenza di alcuni elementi iconografici rivelatori non lasciano dubbi sull’identificazione della figura con la vestale Tuccia, ingiustamente accusata di aver vio- lato il voto di castità. La vergine chiese dun- que di poter dimostrare la sua innocenza sottoponendosi ad una prova apparente- mente impossibile: avrebbe tentato di rac- cogliere l’acqua del Tevere con un setaccio, invocando l’aiuto della dea Vesta. Grazie al pieno successo del cimento, l’innocenza di Tuccia venne definitivamente accertata. Da un punto di vista iconografico, l’opera cor- risponde al dettaglio alla descrizione che propone Cesare Ripa dell’allegoria della Ca-

stità come “donna bella […], nella destra

mano terrà una sferza alzata in atto di bat- tersi, & un Cupido con gl’occhi bendati gli stia sotto i piedi, & sarà vestita di lungo, come una Vergine Vestale”. Nell’immagine di corredo, la figura tiene il setaccio nella mano sinistra e calpesta il Cupido bendato, proprio come nell’opera in esame. Resta tuttavia piuttosto difficile cercare di re- stringere il campo della ricerca verso il nome di un plausibile autore. La provenienza del pezzo dallo studio di Bartolomeo Cavaceppi, ove la terracotta era ricordata in un inventa- rio di vendita del 1770 circa, fornisce un si- curo termine ante quem, anche se la datazione può essere anticipata di circa mezzo secolo ed attestarsi tra la fine del Seicento e il primo quarto del Settecento. La buona qualità del modellato, la fluidità del panneggio, e al con- tempo l’armonica scansione della composi- zione fanno pensare ad uno scultore dalle solide basi accademiche, forse da individuare tra i giovani della generazione attiva dopo Bernini e contemporanea a Camillo Rusconi, in un momento in cui gli scultori di origine francese presero quasi il sopravvento sulla scena artistica capitolina.

Bibliografia Gasparri – Ghiandoni 1993, pp. 29, 32. 74. Camillo Rusconi (Milano 1658 – Roma 1728) Allegoria dell’Inverno 1692 - 1695 ca. terracotta; cm 31 x 19 x 19

Inv. 13264; 1770 ca., Collezione Cava- ceppi; 1800, Collezione Torlonia; 1949, Collezione Gorga

Restauri: 2010, Davide Fodaro, Livia Sforzini All’indomani della scomparsa del maestro

Ercole Ferrata (†1686), il giovane Camillo Rusconi rimase per un lungo periodo privo di commissioni di qualche importanza tanto da meditare di far ritorno a Milano, sua città d’origine. Assecondando la sua na- turale predilezione per la modellazione, lo scultore eseguì numerosi bozzetti e, all’ini- zio degli anni Novanta del secolo, plasmò una terracotta “rappresentante un putto con un grappolo d’uva in mano, e sedente sopra un masso dove posati erano più grap- poli della medesima” (Baldinucci ed. 1974, pp. 90-91). Su consiglio dell’amico Carlo Maratti che molto apprezzò quell’opera, Rusconi la tradusse in un marmo alto quat- tro palmi (cm 90 ca.) che fu subito acqui- stato dal marchese Niccolò Maria Pallavicini. Poiché la presenza dell’uva po- teva suggerire l’allegoria autunnale, lo scul- tore pensò di completare la serie con le altre tre stagioni che andarono ugualmente ad impreziosire la sala dell’appartamento nobile della dimora di Pallavicini a via del- l’Orso. Nel 1714, le quattro figure sono re- gistrate nell’inventario post mortem del marchese, e ancora nel 1721 si trovavano nel palazzo romano ove poté ammirarle e darne breve descrizione Edward Wright in visita alla città (Some observations made in

travelling through France, Italy, & c. in the years 1720, 1721, and 1722, London

1730). Tuttavia, già verso il 1730, le quat- tro Stagioni erano giunte in Inghilterra ove furono acquistate per 4000 scudi da re Giorgio I per la Galleria di Kensington Pa- lace, che proprio in quegli anni veniva al-

Copia Autore Cristiano Giometti

lestita e decorata da William Kent; rimasti in quella sede ancora per tutto il corso del secolo XIX, i marmi sono oggi conservati a Windsor Castle.

Di questa fortunata serie, ed in particolare della figura dell’Inverno, si conoscono al- cuni modelli, diversi tra loro per dimen- sioni e scelta dei particolari. Quello di Palazzo Venezia può essere considerato un bozzetto preparatorio in cui lo scultore volle fissare le linee generali della composizione senza troppo curare la definizione e la rifi- nitura dei dettagli; in questa fase prelimi- nare, infatti, non è ancora compresa la sagoma del volatile, presente invece nelle versioni successive e nel marmo di Win- dsor. I segni della stecca dentata, passata ra- pidamente sul materiale, sono ben visibili e solcano le superfici della roccia alla base, i risvolti del manto e i capelli del putto, la- vorati a masse contrapposte. La perdita di un brano del drappo svolazzante e del pie- dino destro della figura non inficia la deli- catezza già settecentesca dell’insieme (Barberini 1991). L’opera in esame venne acquistata dallo scultore e restauratore Bar- tolomeo Cavaceppi e fu inventariata nel 1802 da Vincenzo Pacetti con il n. 190 (an- cora ben visibile sul ventre del putto), in oc- casione della vendita della collezione Cavaceppi al marchese Giovanni Torlonia. Un secondo esemplare dell’Inverno, di di- mensioni pressoché simili (cm. 27) ma que- sta volta rifinito al dettaglio, faceva parte del famoso Museo allestito a Venezia da Fi- lippo Farsetti. A seguito del trasferimento dell’intera raccolta a San Pietroburgo (1799) ad opera dell’erede di questi Anton Francesco, il modello è entrato a far parte delle collezioni dell’Hermitage (inv. 599). Infine, una terza replica della composizione, comparsa sul mercato antiquario londinese nel 1970 (Heim Gallery), fu acquistata da Arthur M. Sackler che, a sua volta, l’ha fatta nuovamente battere all’asta nel gennaio del 2010 (Sotheby’s New York). Nel proporre l’attribuzione a Rusconi, Ciechanowiecki (1970) ha ritenuto che si trattasse di un mo- dello preparatorio eseguito verso il 1711; tuttavia, anche per le maggiori dimensioni rispetto alle precedenti (cm 50,4), la terra- cotta di New York è da ritenersi piuttosto una replica successiva, forse eseguita all’in- terno della stessa bottega rusconiana all’ini- zio del XVIII secolo.

Bibliografia Chiechanowiecki 1970, p. 27; Barberini 1991, p. 66; Gasparri – Ghiandoni 1993, p. 226; Barberini 1994, p. 121; Rudolph 1995, pp. 82-83, 198; Ferrari – Papaldo 1999, p. 509; Martin 2001, pp. 297-298; Vigliarolo 2009, p. 89; Giometti 2011, p. 275. 75. Domenico Guidi

(Torano di Carrara 1625 – Roma 1701)

San Filippo Neri

1691

terracotta, cm 35 x 25 x 12,5

Inv. 1192; Acquisto Ferrando; 1920, Ca- stel Sant’Angelo, n. 3695

Tra il 1691 ed il 1693, Domenico Guidi scolpì la statua raffigurante San Filippo

Neri, destinata a decorare l’altare maggiore

della chiesa oratoriana di Genova. Com- missionato dal padre Davide Vaccà du-

rante un viaggio a Roma, il marmo risultò troppo piccolo per la nicchia disegnata da Bernardo Garvo e fu necessario far realiz- zare un basamento di nuvole ed angeli dallo scultore Honoré Pellé. Il modello in piccolo del San Filippo si conserva al Museo di Palazzo di Venezia; proveniente da Castel Sant’Angelo, può essere datato con buona approssimazione tra la fine del 1690 e l’inizio del 1691. Il suo stato di conservazione è, nel complesso, buono anche se la mano destra e la testa risultano restaurate.

Una lunga diatriba attributiva ha caratteriz- zato la storia critica di questa terracotta, in un primo momento assegnata da Riccoboni (1942), Hermanin (1948) e Santangelo (1954) ad Alessandro Algardi e messa in re- lazione con il suo San Filippo nella sagrestia della Vallicella. Successivamente Preimesber- ger (1966-67) lo ritenne il modello per l’omonima scultura della cappella Antamoro in San Girolamo della Carità, assegnandone la paternità a Pierre Le Gros. La corretta identificazione con il gruppo genovese scol- pito da Guidi è stata proposta da David Ber- shad e, indipendentemente, da Ursula Schlegel (1974), trovando consenso una- nime anche da parte della critica successiva. Nella terracotta di colore grigio rossastro il santo si erge, con instabile equilibrio, su un piedistallo di nuvole vorticose e indossa i paramenti sacri; la pianeta, finemente de- corata con i classici motivi a meandro, ha il lembo sinistro ripiegato a svelare la gamba lievemente flessa. Nel momento più in- tenso del rapimento mistico, con le brac- cia aperte e lo sguardo rivolto al cielo, il Neri è sorretto da un angelo alato mentre un putto, seduto ai suoi piedi, solleva la mano destra per porgergli un giglio e con la sinistra tiene un libro aperto. L’insieme è caratterizzato da un modellato in cui il gusto della linea e il decorativismo preval- gono sulla plasticità preannunciando ac- centi già tipicamente settecenteschi. Nella traduzione in marmo, secondo una modalità assai tipica del suo operare, Guidi apportò numerose modifiche; grazie alla considerevole riduzione dei nembi alla base, la figura di San Filippo, pur mante- nendo un elegante dehanchement, assume una postura più equilibrata tanto da ren- dere quasi vano lo sforzo dell’angelo che lo sostiene. Inoltre il putto, posato il giglio ai piedi del Neri, squaderna con entrambe le mani un libro nella direzione dei fedeli.

Bibliografia Riccoboni 1942, p. 183; Hermanin 1948, p. 279; Santangelo 1954, p. 82; Preime- sberger 1966-1967, pp. 212-213; Bershad 1973, pp. 384-385; Schlegel 1974, pp. 61, 67-68; Montagu 1977, p. 99; Souchal 1981, II, p. 291; Barberini 1991, p. 60; Bar- berini 1995, pp. 538-539; Bacchi 1996, p. 812; Ferrari – Papaldo 1999, p. 507; Pam- palone 2000, p. 166; Giometti 2003, p. 232; Giometti 2010, pp. 299-300.