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Copia Autore Cristiano Giomett

47. Bottega dei Mazzuol

Putto seduto su una conchiglia

1667-1725 ca.

terracotta; cm 20,4 x 16,4 x 9

Inv. 1189-2; Donazione Magni; 1920, Ca- stel Sant’Angelo, n. 1354

Ceduta nel 1920 dal Castel Sant’Angelo, la piccola terracotta presenta una serie di mutilazioni piuttosto gravi, mancando della testa, dei due avambracci e della gamba destra dal ginocchio in giù. Il

Putto ha il busto alquanto allungato e sta

seduto su una conchiglia, anch’essa in stato frammentario, che a sua volta si im- posta su di una base circolare in terra- cotta. La superficie corporea della figura è levigata con accuratezza e la lieve pin- guedine infantile è modellata con sapiente plasticità. È forse per queste indubbie qualità esecutive che Mariani (1929- 1930), nel pubblicare il pezzo per la prima volta, pensò di attribuirlo a Ber- nini. Qualche anno più tardi, Santangelo (1954) avanzò il nome di Giuseppe Maz- zuoli, che l’avrebbe eseguito “in un mo- mento attiguo alla collaborazione con il Bernini nei giorni del suo primo sog- giorno romano e della susseguente colla- borazione con il Bernini in Siena”. Stando dunque alle indicazioni dello studioso, Mazzuoli avrebbe realizzato l’opera dopo il suo arrivo a Roma nel 1667, anno in cui entrò nello studio di Ferrata lavorando sotto la direzione di Melchiorre Cafà, e i primi anni Settanta del Seicento, quando iniziò la collaborazione con Bernini, for- nendo i modelli per le figure della Fede e della Carità (1672) per l’altare del Santis- simo Sacramento. Lo stato di conserva- zione così compromesso e la grande quantità di statuette di analoga iconogra- fia prodotte in quel tempo, anche come modelli utilizzati da pittori, inducono a considerare con cautela le indicazioni di Santangelo e, in mancanza di ulteriori ter- mini di confronto, suggeriscono di am- pliare i termini attributivi alla bottega dei Mazzuoli, comprendendo in essa, oltre a Giuseppe (1644-1725), anche il fratello maggiore Giovanni Antonio (1639-1714) e il nipote Bartolomeo (1674-1748). Bibliografia Mariani 1929-1930, p. 59; Santangelo 1954, pp. 81-82. 48. Cosimo Fancelli (Roma 1618-1688)

Apparizione della Madonna di Savona

1669-1674

terracotta; cm 85,5 x 49 x 17,5

Inv. GNAA 2554; Collezione Fassini; 1971, Acquisto Heim Gallery, Londra Restauri: 1997, Roberto Della Porta La nobile famiglia dei Gavotti di Savona, ascritta al patriziato genovese per la prima volta nel 1626, coltivava interessi anche nella città di Roma ed in particolare man- teneva stretti rapporti con i Barberini. Nel

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1657 Giovanni Battista Gavotti fece ri- chiesta di erigere la propria cappella nel transetto sinistro della chiesa di San Nicola da Tolentino già dedicata alla Madonna di Savona, ma la sua domanda non poté es- sere accolta poiché quel sito era già stato ri- servato al principe Camillo Pamphilj. Dopo la sua scomparsa, furono i nipoti Ni- cola e Carlo a portare avanti l’iniziativa e il 2 marzo del 1661 ottennero in concessione la seconda cappella a sinistra e ne affida- rono la progettazione architettonica a Pie- tro da Cortona; i lavori si protrassero fino al 1669, anno della morte del maestro, per

essere proseguiti da Ciro Ferri che terminò l’impresa entro il 1674. Per quanto ri- guarda la decorazione scultorea, le statue laterali furono commissionate ad Antonio Raggi ed Ercole Ferrata, autori rispettiva- mente del San Giovanni Battista e del San

Giuseppe, mentre il rilievo dell’altare mag-

giore fu scolpito da Cosimo Fancelli, scul- tore cortonesco per eccellenza. La pala marmorea doveva raffigurare l’Apparizione

della Madonna della Misericordia, evento

realmente accaduto nei pressi di Savona l’8 aprile del 1536, quando la Vergine si ma- nifestò per la seconda volta al contadino

Antonio Botta pronunciando le parole “Misericordia e non giustizia”.

Dal momento che Cortona progettò l’in- tera cappella è ragionevole supporre che possa aver fornito anche il disegno del ri- lievo d’altare, di cui tuttavia esiste uno schizzo di mano di Ciro Ferri all’Istituto Nazionale della Grafica (F.C. 12441r) che, per le sue caratteristiche, è stato ritenuto piuttosto un d’apres per una versione ri- dotta della composizione destinata forse ad un altarolo o ad una riproduzione in me- tallo (Montagu 1997). In effetti il modello in esame, assai più che il marmo finale, ri- sulta molto pittorico nel tratto e ben si conforma allo stile vibrante ed intenso di Pietro da Cortona. La terracotta, prove- niente dalla collezione del barone Alberto Fassini, è stata acquistata dallo Stato Ita- liano sul mercato antiquario londinese nel 1971, e conserva ancora intatta la delicata immediatezza del tocco di Fancelli, parti- colarmente incline alla modellazione per aver partecipato, sempre sotto la direzione del Berrettini, ai cantieri decorativi di Santa Maria in Vallicella (1644-1648) e di Santa Maria della Pace (1657 ca.) in qualità di stuccatore. Secondo la tradizione, la scena è ambientata sulla riva di un ruscello presso il quale il contadino si inginocchiò a mani giunte vedendo una intensa fonte di luce sull’altra sponda ove, su una roccia, comparve la Vergine. Botta, portandosi le mani al petto, osserva rapito la Madonna che ricambia il suo sguardo aprendo le braccia nel classico gesto della misericor- dia; ben visibile è il ruscello che divide le due figure, mentre un vivace gioco di luce è scaturito dalle profonde scalfitture della materia che caratterizzano gli alberi sullo sfondo. L’effetto di freschezza atmosferica così evidente nel modello si perde fin quasi a raggelarsi nella tavola di San Nicola da Tolentino ove un processo di semplifica- zione viene ad impoverire la composizione, a cominciare dalla sparizione del corso d’acqua, fino alla drastica riduzione degli alberi sullo sfondo, più piccoli nelle di- mensioni e goffi nelle proporzioni. Soprat- tutto è la figura della Vergine a farsi più fredda ed accademica, perdendo quel tocco barocco del manto svolazzante che le si av- volgeva intorno al ventre, mentre viene modificata anche la posizione delle braccia, non più rivolte verso il basso ma ora aperte orizzontalmente. Secondo la Montagu (1997), la discrasia tra le due versioni ri- flette “i problemi inerenti alla trasposizione di una visione da pittore, che può essere realizzata in maniera relativamente facile in terracotta” ma non altrettanto agevolmente nella meno malleabile superficie del marmo. Del resto, questa tendenza alla ri- duzione degli eccessi decorativi barocchi si

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apprezza anche in altre opere di Fancelli come, ad esempio, nel bel rilievo raffigu- rante Cristo con San Giacomo, San Gio-

vanni e la loro madre scolpito per la chiesa

di Santa Maria Portae Paradisi (1645 ca.). A riprova del maggiore impatto del mo- dello rispetto all’opera finita si segnala l’esi- stenza di una stampa di Giovanni Antonio Faldone (XVII secolo, pubblicata da Zan- dri 1987) che riproduce proprio la terra- cotta in esame.

Bibliografia

Venturi 1931, II, tav. XL; Faldi 1972, pp. 36-37; Zandri 1987, pp. 159, 160 fig. 36; Montagu 1991, p. 83; Magnani 1992, pp. 309-310; Barberini 1991, p. 50; Montagu 1997, p. 442; Ferrari – Papaldo 1999, p. 505; Cannata 2003a, pp. 211-212. 49-56. Alessio Pellegrini

(documentato a Urbino 1636-1676 ca.) 49. Sant’Anna e la Vergine bambina Inv. 13197

Iscrizione: ALESIUS PELLEGRINUS/ CAMER FECIT ANNO/ 1671

50. Sant’Antonio da Padova Inv. 13198

Iscrizione: ALESSIO P. FECIT CAMO/ 1669

51. San Raimondo da Peñafort Inv. 13999

Iscrizione: ALESIUS PELLEGRINUS/ CAMERIS/ FECIT ANNO 1671

52. Madonna col Bambino Inv. 13200

Iscrizione: ALESSIO PELLEGRINI FECIT CAM/ 1669

53. Santa Francesca Romana Inv. 13301

Iscrizione: ALESSIO PELLEGRINI FECIT CAM/ 1669

54. Tobiolo e l’angelo Inv. 13202

55. Maria Maddalena Inv. 13302

56. San Filippo Neri Inv. 13976

1669-1671

terracotta dorata; 23 x 19

(deposito); 1949, Collezione Gorga