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Copia Autore Cristiano Giomett

36. Sculture attivo a Roma

Crocifisso

seconda metà XVII secolo

terracotta dorata; Cristo cm 23 x 15 x 5,5; cornice cm 36 x 37 x 7

Inv. 13385 (deposito); 1949, Collezione Gorga

Il Crocifisso di piccole dimensioni presenta una doratura superficiale ancora in buona parte integra ed anche il suo stato di con- servazione è sostanzialmente buono, ad esclusione della perdita di parte dell’avam- braccio e della mano destra. Il Cristo, an- cora vivo e dall’espressione profondamente dolente, ha il corpo ben proporzionato nel- l’anatomia: il modellato nervoso evidenzia la particolare tensione delle braccia e del busto scavato, cui fa da contrappunto l’an- damento più morbido e sinuoso del peri- zoma. La croce, dalla caratteristica forma a tau, è inserita entro una cornice lignea mo- danata di forma trapezoidale sul retro della quale un cartiglio riporta la seguente iscri- zione: “Brandani da Urbino è/ l’autore del presente Cristo/ in creta cotta/ [...]991 KAL”. Sarebbe dunque lecito ricondurre l’opera nell’alveo della produzione di Fe- derico Brandani (Urbino 1522/25-1575), prolifico scultore e plasticatore attivo nella nativa Urbino e nelle Marche, ma anche a

Copia Autore Cristiano Giometti

Roma, Rivoli e Fossano.

Dopo un apprendistato presso il “vasaio” Giovanni Maria Mariani, il giovane Fede- rico entrò nella bottega del pittore ed ar- chitetto Girolamo Genga (1476-1551) ed in questo frangente perfezionò la tecnica dello stucco dando prova delle sue capacità, già nel 1541, con le dieci statue di Santi e

Profeti per la chiesa di Santo Stefano a

Piobbico. Tra il 1552 e il 1553 lo troviamo impegnato nel prestigioso cantiere di Villa Giulia a Roma ove eseguì nei due saloni ai lati dell’atrio d’ingresso i riquadri che fun- gono da cornice agli affreschi di Taddeo Zuccari e Prospero Fontana, rifacendosi anche al ricco repertorio squadernato da Giovanni da Udine a villa Madama. Tor- nato in patria, lavorò per Guidobaldo II Della Rovere in varie sale e nella cappella prossima allo studiolo del palazzo Ducale e a Senigallia decorò sei ambienti del palazzo dell’umanista Giuseppe Baviera (1560). La sua fama valicò ben presto i confini dello stato Pontificio e, nel corso degli anni Ses- santa, Brandani fu chiamato da Emanuele Filiberto di Savoia a decorare i castelli di Fossano e Rivoli almeno in due occasioni (1562-1564 e 1569). È probabilmente nel- l’intervallo tra le trasferte piemontesi che lo scultore realizzò il gruppo con il Croci-

fisso e la Maddalena che abbraccia la croce

per la cappella Bonamini nella chiesa di Sant’Agostino a Pesaro, scultura che, pur nel netto scarto dimensionale, costituisce l’unico riferimento di confronto iconogra- fico con l’opera in esame. Nel Cristo morto di Pesaro, Brandani rappresenta il corpo ormai abbandonato sulla croce, mentre nella piccola terracotta di Palazzo Venezia lo spasimo del dolore tende le braccia, con- trae il ventre e, soprattutto nel volto, la sof- ferenza si concentra nella bocca semiaperta e negli occhi socchiusi, con la fessura delle palpebre incisa nervosamente. Anche il pe- rizoma si fa più articolato nella disposi- zione e presenta uno svolazzo elegante e moderno nella concezione. Nell’insieme la figura risulta molto vivida e presenta una forte impronta naturalistica che si va deci- samente smorzando nella versione monu- mentale ancora improntata ai moduli della maniera. Si potrebbe quindi pensare che il piccolo cartiglio sul retro della cornice, pur risultando antico, non riporti la corretta in- dicazione dell’autore ma soltanto una tra- dizione radicata. La concezione dell’opera, infatti, non sembra poter prescindere da al- cuni capisaldi dell’arte barocca romana come il Crocifisso dipinto da Guido Reni tra il 1638 e il 1639 e ora sull’altare mag- giore di San Lorenzo in Lucina a Roma, o il Cristo vivo ideato da Bernini nel 1657 per la serie dei candelabri e crocifissi destinati agli altari di San Pietro. Sulla base di tali

affinità, si può quindi plausibilmente asse- gnare l’esecuzione della terracotta ad uno scultore attivo a Roma nella seconda metà del XVII secolo.

Bibliografia

Inedito.

37. Scultore attivo a Roma

Olindo e Sofronia

metà XVII secolo

terracotta; cm 49,5 x 53,5 x 18

Inv. 10354; 1770 ca., Collezione Cava- ceppi; 1947, Donazione Nicod Sussmann Restauri: 2010, Davide Fodaro, Livia Sfor- zini

Il rilievo era conservato nello studio di Bar- tolomeo Cavaceppi ove venne catalogato come “rappresentante tre Donne legate a un palo per essere abrugiate opera della Schola del Bernini” (BAV, Ferrajoli MSS. 974, 16); è poi entrato a far parte delle rac- colte del Museo di Palazzo Venezia nel 1947 a seguito della donazione promossa da Margaret Nicod Sussmann in memoria del cognato, l’archeologo Ludwig Pollak. Lo stato di conservazione non è ottimale dal momento che sullo sfondo si notano al- cune fessurazioni di una certa entità ed un brano piuttosto consistente dell’angolo su- periore destro è andato perduto. Nel 2010 l’opera è stata sottoposta ad un restauro che ne ha rimosso la vernice rossastra che rico- priva per intero la superficie, rivelando il

colore giallo molto tenue della terracotta. Brinckmann, che per primo la pubblicò nel 1923, la riteneva un modello prepara- torio per una pala marmorea con il Marti-

rio di Sant’Agnese destinata alla chiesa

pamphiliana di piazza Navona; tuttavia Santangelo (1954), escludeva questa ipo- tesi individuando correttamente il tema tratto dalla Gerusalemme Liberata di Tor- quato Tasso (II, 33-38). Nel poema si narra che il mago Ismeno aveva suggerito al re saraceno Aladino di rubare un’icona della Madonna da un tempio cristiano e di cu- stodirla in Gerusalemme, al fine di garan- tire la protezione al suo regno. La sacra immagine scomparve misteriosamente e quando Aladino minacciò di uccidere tutti i Cristiani di Gerusalemme, Sofronia e poi Olindo si dichiararono colpevoli per sal- vare il loro popolo e, benché innocenti, fu- rono condannati al rogo. Il rilievo in esame raffigura il momento in cui i giustizieri portano le fascine da ardere ai piedi del palo a cui i due innamorati sono legati, mentre sulla destra irrompe a cavallo Clo- rinda, guerriera saracena, che intercede col re per la liberazione dei giovani offrendogli in cambio i propri servigi militari. Santangelo, nell’unica disamina stilistica dell’opera ad oggi esistente, proponeva un’attribuzione ad Ercole Ferrata (1610- 1686), “in un momento pienamente ma- turo, ma ancora prossimo all’Algardi”, e, più di recente, anche Ferrari e Papaldo (1999) hanno confermato, seppur dubita-

tivamente, la paternità ferratesca. Allo stato attuale delle conoscenze si può defi- nitivamente escludere l’intervento di Fer- rata nella terracotta di Palazzo Venezia, spostando la nostra attenzione su un arti- sta più vicino ai modi e alla sensibilità di Pietro da Cortona (1596-1669), tanto quasi da supporre un intervento diretto del maestro stesso. Il passaggio rapido della stecca sulla superficie della terracotta quasi ricorda le pennellate dense e vibranti del grande pittore; anche la presenza sullo sfondo del rilievo di un tempio monop- tero rimanda alla stessa architettura dei di- pinti con Anania guarisce san Paolo dalla

cecità (Roma, Santa Maria della Conce-

zione) e Cesare rimette sul trono Cleopatra (Lione, Musée des Beux-Arts), o alle forme del nartece di Santa Maria della Pace, pro- gettata proprio dal Berrettini. Si devono tuttavia rilevare altre componenti stilisti- che, non ultimo una forte impronta ber- niniana soprattutto nella figura del re saraceno all’estremità destra del rilievo, assai prossimo nell’impostazione ai Padri

della Chiesa disegnati dal cavaliere per la Cattedra di San Pietro in Vaticano. Sono

proprio tali riferimenti figurativi a far pro- pendere per una datazione dell’opera alla seconda metà del XVII secolo e ad avvici- nare il tratto compendiario del modellato allo stile di Leonardo Retti (documentato tra il 1666 e il 1714), plasticatore di ori- gini ticinesi, attivo a Roma dal 1673 e tra i collaboratori di Antonio Raggi nella de- corazione a stucco della volta della chiesa del Gesù.

Bibliografia

Brinckmann 1923, I, p. 120; Santangelo 1954, p. 86; Barberini 1994, pp. 131-132; Ferrari – Papaldo 1999, p. 506; Giometti 2011, pp. 264-265.