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Copia Autore Cristiano Giomett

63. Giulio Cartar

(documentato a Roma dal 1665 al 1691)

Amore e Psiche

1679-1680 ca.

terracotta; cm 30,8 x 25 x 18

Inv. 10396; 1952, Donazione Nicod Sus- smann

Restauri: 2010, Davide Fodaro, Livia Sforzini La terracotta fu pubblicata per la prima volta da Brinckmann (1923) come opera di ambito vagamente berniniano e forse attri- buibile a Massimiliano Soldani Benzi (1656-1740). Giunto al Museo di Palazzo Venezia quale dono della signora Margaret Nicod Sussmann in ricordo del cognato, Ludwig Pollak, il modello fu inserito da Santengelo nel suo Catalogo delle Sculture (1954) con un riferimento all’ambito bolo- gnese, per l’affinità con un bronzetto di

Giuseppe Mazza raffigurante Diana ed En-

dimione di proprietà dei marchesi Bevilac-

qua di Bologna. Si deve a Jennifer Montagu e poi a Bacchi (1996) l’identificazione del- l’autore con Giulio Cartari grazie al rinve- nimento della versione marmorea della composizione conservata nel Giardino d’Estate di San Pietroburgo. Le vicende ma- teriali della scultura sono poi state definiti- vamente chiarite da Androsov nei suoi studi dedicati al collezionismo di Pietro il Grande. Il gruppo fu acquistato a Roma nell’aprile del 1719 da Jurij Kologrivov per conto del sovrano alla somma di 1050 talleri. L’agente ricordava che il marmo era stato eseguito per la regina Cristina di Svezia da un allievo di Bernini e che questi lo avrebbe realizzato seguendo un disegno del maestro. Kologri- vov inviò Amore e Psiche a San Pietroburgo, via Amsterdam, ove giunse soltanto nel- l’estate del 1721 per essere collocato subito nella Grotta del Giardino d’Estate. Nel 1803 si registra la sua presenza a palazzo Ta- vriceskij ma il mutamento di sede fu assai breve se già nel 1863 l’opera era nuova- mente segnalata nella sua ubicazione origi- naria, ove ancora oggi si ammira.

Le notizie relative a Giulio Cartari sono al momento piuttosto scarse, tanto che non ne conosciamo ancora di preciso le date di nascita e morte. Di certo lo scultore fu l’al- lievo prediletto di Bernini e lo seguì – e questa è la prima indicazione certa che lo riguarda – anche in Francia nel 1665 con l’incarico di sbozzare il marmo per il ritratto di Luigi XIV. A lui si deve la copia dell’An-

gelo con il titolo della croce (1671) commis-

sionata per sostituire su Ponte Sant’Angelo l’originale del maestro, oggi in Sant’Andrea delle Fratte; ancora, tra il 1674 e il 1677, fu Giulio a completare le statue della Verità e della Prudenza e a scolpire interamente quella della Giustizia per il monumento di

Alessandro VII in San Pietro. Sul finire del

1680, Cartari entrò nell’orbita degli artisti di Cristina di Svezia ricevendo regolari pa- gamenti fino al momento della scomparsa della sovrana: in questi anni eseguì soprat- tutto restauri di sculture antiche – basterà ricordare la famosa Clizia ora al Museo di Ponte Vedra in Spagna – e scolpì il busto di

Cristina (1682) conservato al Palazzo Reale

de La Granja. Se, come riporta Kologrivov, la composizione del gruppo con Amore e

Copia Autore Cristiano Giometti

Psiche fu veramente disegnata da Bernini

bisogna supporre che il maestro l’abbia tracciata negli ultimi anni della sua vita, forse proprio tra il 1679 e il 1680, in un momento molto intenso dell’amicizia con Cristina di Svezia: è dunque in questo stesso lasso di tempo che Cartari può aver eseguito il modello in esame.

Nel complesso il tessuto figurativo è ancora pienamente apprezzabile, anche se si ri- scontrano la perdita del braccio destro e di parte del mantello di Psiche, e il taglio al- l’altezza del ginocchio della gamba sinistra di Amore. La superficie dell’opera risulta quasi del tutto ricoperta da una patina bruno rossastra, probabilmente intesa a si- mulare il bronzo e a nobilitare l’oggetto; il recente restauro e le analisi di alcuni mi- crocampioni, effettuate dalla dottoressa Claudia Pelosi (Università della Tuscia), hanno dimostrato che i pigmenti di tale colorazione sono pressoché coevi all’esecu- zione da parte di Cartari.

Bibliografia

Brinckmann 1923, I, p. 138; Santangelo 1954, p. 84; Bacchi 1996, p. 794; Fagiolo dell’Arco 2002, p. 219; Androsov 2004, pp. 364-365; Giometti 2011, p. 274.

64. Scultore attivo a Roma

Madonna col Bambino e angeli

1680-1720 ca.

terracotta; cm 20,5 x 22 x 4

Inv. 1651; 1920, Castel Sant’Angelo Il tondo, di ridotte dimensioni, era origi- nariamente montato su un fondo di legno che lo ha preservato da eventuali danni: il suo stato di conservazione è infatti molto buono e non sono evidenti fratture o mancanze. Il rilievo è piuttosto basso e le figure sono definite con vivaci colpi di spatola, mentre lo scultore è intervenuto con lo stecco a solcare variamente lo sfondo e le vesti favorendo un acceso gioco chiaroscurale. La Madonna, sul lato destro della composizione, abbassa il capo ad osservare il Bambino disteso obliqua- mente sul suo grembo e appoggiato su di un cuscino tondeggiante; a sinistra, due angioletti, scalati nello spazio, vegliano sorridenti su di lui.

Ceduta dal Museo di Castello nel 1920, l’opera è stata studiata per la prima volta da Santangelo il quale, nelle bozze dattilo- scritte del suo Catalogo, la definì un “eccel- lente bozzettino” per un tondo da tradurre in bronzo o in marmo, assegnandola ad uno scultore “berniniano” non meglio identificato. Nella versione a stampa (1954), lo studioso formulò un’ipotesi più compiuta, ravvisando nella tecnica i “modi soliti di Ercole Ferrata”, nel periodo in cui

l’artista intelvese era impegnato ad eseguire la bella figura della Fede per il monumento del cardinale Lelio Falconieri in San Gio- vanni dei Fiorentini (1665-1668), di cui si conserva un modello anche al Museo di Pa- lazzo Venezia (v. 2556). Santangelo inoltre spiega il tratto compendiario e fortemente pittorico dell’insieme con la compresenza in quel cantiere di Pietro da Cortona e Ciro Ferri, che avrebbero dunque influenzato i modi di Ferrata. La stessa interpretazione venne confermata qualche anno più tardi anche da Valentino Martinelli nel catalogo della mostra sul Seicento Europeo (1956). Più di recente, soltanto Ferrari e Papaldo sono tornati a far menzione della terracotta, limitandosi tuttavia a riportare le opinioni critiche dei precedenti autori.

A ben guardare, la plastica di piccolo for- mato di Ercole Ferrata non risulta quasi mai così rapida e indefinita nei tratti mo- strando, al contrario, un buon grado di fi- nitezza. Oltre al già citato modello per la

Fede Falconieri, basterà ricordare la bella

terracotta dell’Angelo con la Croce prepara- toria per la figura di Ponte Sant’Angelo, oggi all’Hermitage di San Pietroburgo (inv. 623), in cui lo scultore si sofferma a defi-

nire con estrema grazia i lineamenti del volto, le ciocche ondulate dei capelli e per- sino il piumaggio delle ali. Per tentare di ri- solvere il problema attributivo si deve, a mio avviso, volgere lo sguardo verso qual- che altro artista della generazione successiva a quella di Ferrata, e dunque verso uno scultore attivo a Roma tra la fine del Sei- cento e i primi due decenni del secolo suc- cessivo. Tra i possibili candidati si propongono i nomi di Giuseppe Mazzuoli (1644-1725) o, in alternativa, di Francesco Moderati (1680-1729 ca.). Del primo ri- sulta particolarmente calzante il confronto con la statuetta della Carità che calpesta

l’Avarizia sempre dell’Hermitage (inv. 618),

in cui lo scultore sembra quasi scalfire a colpi rapidi e forti la superficie delle figure, creando solchi profondi nei panneggi e tratti più grafici ed epidermici sulla carne dei vari personaggi. Analogie ancor più stringenti si notano con la bella statuetta della Carità di Moderati all’Hermitage (inv. 635), soprattutto nella conformazione della testa dell’allegoria: il volto sommariamente definito, il capo chinato verso sinistra e il manto che lo ricopre soltanto parzialmente sono riproposti con una certa puntualità

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anche nella terracotta in esame, mentre un modellato quasi impressionistico accomuna l’aspetto delle due opere.

Bibliografia

Santangelo 1954, pp. 90-91; Il Seicento eu-

ropeo 1956, p. 263; Ferrari – Papaldo

1999, p. 506.