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Bottega di Gian Lorenzo Bernin

Copia Autore Cristiano Giomett

28. Bottega di Gian Lorenzo Bernin

Volto di santa Teresa d’Avila

seconda metà XVII secolo terracotta; cm 15 x 31 x 22

Inv. 13270; 1949, Collezione Gorga Restauri: 2010, Davide Fodaro, Livia Sfor- zini

L’opera, in terracotta chiara, ritrae l’estatica espressione di santa Teresa d’Avila e ripro- duce al dettaglio, anche nelle misure (ri- portate in Cannata 1999b), il volto della figura scolpita da Bernini sull’altare della cappella Cornaro in Santa Maria della Vit- toria. Proprio questa puntuale coincidenza dimensionale rilevata in occasione del re- stauro del 1998-1999 (funzionario re- sponsabile Livia Carloni), unita ad un trattamento della superficie troppo rifinito e alquanto estraneo alla tecnica più esube- rante del maestro, rende assai arduo speci- ficarne la funzione nel contesto del

processo creativo e identificarne l’autore. Fu il cardinale Federico Cornaro, già Pa- triarca di Venezia ma residente stabilmente a Roma dal 1644, ad ottenere la conces- sione della cappella alla Vittoria il 22 gen- naio del 1647: i lavori vennero avviati quasi subito e già nell’estate del 1652 un

Avviso descriveva “l’universal contento” ri- scosso dalle statue, apprezzate per la loro “vaghezza e bizzarria”. I pagamenti a Ber- nini, conservati presso il banco di Santo Spirito, sono registrati a inizio (23 giugno, 29 ottobre 1649) e fine dell’impresa (5 gennaio, 20 agosto 1652), mentre negli anni intermedi sono soprattutto i collabo- ratori a ricevere compensi (Jacopo Antonio Fancelli; Baldassarre e Giovanni Antonio Mari; Lazzaro Morelli, Antonio Raggi). Il maestro scolpì per l’edicola d’altare il gruppo con la Trasverberazione di santa Te-

resa, dando forma tangibile al resoconto di

quell’esperienza riportato dalla santa stessa nella Vita (cap. XXIX 12-13): “Dio volle che io vedessi alla mia sinistra un angelo sotto forma corporea [che] avea in mano un lungo dardo d’oro, dalla cui punta di ferro usciva una fiamma. Mi colpì tosto il cuore fin nelle fibre più profonde […]. Il dolore era tanto vivo da strapparmi dei ge- miti, ma la soavità che l’accompagnava era tanta che non avrei voluto che quella sof- ferenza mi fosse tolta”. Alla scena, inon- data di luce dorata proveniente da un’apertura nascosta dietro il timpano ar- chitettonico, assistono dai loro palchetti la- terali i membri della famiglia Cornaro, variamente impegnati ad osservare, leggere e discutere del miracoloso evento. Del gruppo relativo alla parete orientale della cappella si conserva un vivace bozzetto al Fogg Art Museum di Cambridge (inv. 1937.77), unanimemente ritenuto auto- grafo dalla critica. Un modello per il ta-

bleau vivant d’altare si trova all’Hermitage

di San Pietroburgo (inv. 619): proveniente dalla collezione dell’abate veneziano Fi- lippo Farsetti, l’opera è giudicata dalla cri- tica con pareri discordi. Mentre Androsov ne esalta l’eccezionale qualità e l’estrema compiutezza dei dettagli, Fagiolo dell’Arco, Khun, Bacchi e soprattutto Lavin trovano proprio in questa eccessiva puntualità un motivo di dubbio sulla reale pertinenza berniniana dell’opera. Allo stesso modo, come detto, la testa di Santa Teresa di Pa- lazzo Venezia lascia aperti numerosi inter- rogativi cui Cannata (1999; 2003) e poi Schutze (2005) hanno cercato di dare qual- che risposta. Gli studiosi hanno osservato che proprio la modellazione levigata del pezzo rappresenta un grosso ostacolo al- l’attribuzione ed hanno proposto che l’opera, realizzata all’interno della bottega, possa essere servita come “prova per verifi- care direttamente nella cappella gli effetti della composizione e della luce”. Se il volto della santa è stato veramente eseguito per provarne l’efficacia nella sua destinazione finale, ed è quindi stato concepito come un modello in grande, stupisce l’utilizzo della terracotta laddove solitamente tali modelli venivano realizzati in stucco, la cui colora- zione, peraltro, è assai più prossima a quella del marmo. L’unico confronto può essere istituito con il volto di Proserpina del Cle- veland Museum of Art (inv. 68101) che, pur presentando un analogo trattamento superficiale, è di dimensioni assai ridotte – circa la metà – ed anche per questo ri- sponde pienamente alle caratteristiche di un modello. L’opera in esame, proprio per la diretta corrispondenza con il marmo della cappella Cornaro, potrebbe dunque essere una esercitazione accademica, ipotesi che comunque non chiarisce la palmare

Copia Autore Cristiano Giometti

coincidenza delle misure con la figura in Santa Maria della Vittoria.

Bibliografia

Cannata 1999b, pp. 350-351; Cannata 2003a, pp. 229-230; Schutze 2005, p. 414.

29. Gian Lorenzo Bernini

(Napoli 1598 – Roma 1680)

Stemma per la Fontana dei Fiumi

1650 ca.

terracotta; cm 11,5 x 10 x 4 Inv. 13473; 1949, Collezione Gorga

All’indomani della sua elezione al soglio di Pietro, Innocenzo X Pamphilj incaricò Francesco Borromini di potenziare la quan- tità di acqua che dalla Fontana di Trevi giungeva in piazza Navona in previsione della costruzione di un nuovo grande in- vaso al centro dello spazio agonale. Nel 1647, a lavori appena terminati, il ponte- fice decise di includere nella struttura anche un obelisco e richiese a diversi artisti la re- dazione di un progetto; nel novero dei mae- stri non era compreso il nome di Gian Lorenzo Bernini per il suo passato barberi- niano, ma il cavaliere – secondo una tradi- zione che ha quasi connotati di leggenda – riuscì a far entrare a palazzo Pamphilj, con la complicità di Donna Olimpia Maidal- chini, un modelletto in argento della sua idea che Innocenzo apprezzò grandemente decidendo di metterla in opera. Oltre alla consueta miriade di disegni, Bernini rea- lizzò numerosi modelli della fontana in di- versi materiali, studiando poi la posizione delle singole figure in bozzetti autonomi in terracotta: alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia si conservano due studi per le statue del Nilo e del Rio de la

Plata (inv. 77, 78), mentre all’Accademia di

San Luca di Roma si trova il bozzetto per il

Leone (inv. 258) che minaccioso si affaccia

dagli scogli. La vivacità quasi sinestetica del- l’intera composizione è stata riprodotta da Bernini in un modello, oggi in collezione privata, eseguito in legno, lavagna e terra- cotta mista a gesso, mentre un secondo pro- totipo in legno di ciliegio fu individuato nel 1968 nei depositi dell’Accademia Clemen- tina di Bologna (Mostra di scultura... 1968). Buona parte delle componenti di quest’ultima opera sono andate perdute ed oggi si conservano soltanto la vasca con i suoi colonnini di recinzione, la grande roc- cia centrale e il bozzetto del Rio de la Plata, elementi che nel loro insieme restituiscono un’immagine molto vicina allo stadio finale dell’ideazione progettuale e all’inizio effet- tivo dei lavori.

Il modello di Bologna, oggi in deposito alla Pinacoteca Nazionale, nel 1999 fu esposto alla mostra di Roma dal titolo Ber-

nini. Regista del Barocco. In quell’occasione

il curatore della rassegna, Marcello Fagiolo dell’Arco, ebbe modo di individuare uno dei pezzi mancanti del modello felsineo proprio tra le terrecotte del Museo di Pa- lazzo Venezia. Si tratta di uno stemma privo della figurazione araldica, inqua- drato ai lati da due cornucopie, da una conchiglia in alto e “da una testa molto espressiva alla base, un po’ faunesca e un po’ moresca” (Fagiolo dell’Arco 2002). Il bozzetto fu dunque rimontato sopra l’ar- cata rocciosa dell’esemplare ligneo e se ne riscontrò la perfetta congruenza, certificata inoltre dalla corrispondenza della posi- zione di un perno che doveva sostenere lo stemma al blocco centrale. La terracotta in esame, rifinita con estrema precisione in ogni dettaglio, si riferisce all’insegna col- locata nel lato della fontana prospiciente palazzo Braschi e rispetto all’opera finita non mostra particolari differenze; si può infatti supporre che anche la parte sopra- stante la conchiglia apicale, mutila nel bozzetto, raffigurasse la tiara pontificia e le chiavi di San Pietro come nella versione definitiva. In relazione alla cronologia, si mantiene valida la datazione al 1650 circa, ormai unanimemente accettata dalla critica.

Bibliografia

Avery 1997, p. 288; Fagiolo dell’Arco 2002, p. 110.

30. Gian Lorenzo Bernini

(Napoli 1598 – Roma 1680)

Testa di moro

1653 ca.

terracotta chiara; cm 11 x 8,5 x 10,5 Inv. 10378; 1949, Collezione Gorga Restauri: 2010, Davide Fodaro, Livia Sfor- zini

L’opera rappresenta una Testa di moro e fu plasmata da Gian Lorenzo Bernini per stu- diare la fisionomia e l’espressione della fi- gura centrale della fontana di piazza Navona detta, appunto, del Moro. Il boz- zetto è modellato con tratti rapidi di stecca e gli elementi più sporgenti, quali i ciuffi sulla fronte, il naso camuso ed anche le lab- bra, sembrano quasi essere stati eseguiti se- paratamente ed aggiunti in un secondo momento. Alcune fratture da ritiro, pro- dotte durante la cottura, sono ben evidenti in corrispondenza del naso e del retro della testa e una lacuna nel ductus plastico si ri- scontra nella parte superiore destra della capigliatura. Il volto da “satiro nero”, come lo definì Fraschetti (1900), e con l’espres- sione accigliata è inquadrato da spessi ric- cioli di barba, mentre le ciocche dei capelli, come battute dal vento, imprimono “un moto di febbrile vitalità a tutta la testa” (Angelini 1999). Proveniente dalla raccolta di Evan Gorga, il bozzetto fu pubblicato nel repertorio di Brinckmann (1923) e suc- cessivamente da Hermanin (1948) che lo assegnò a Bernini associandolo corretta- mente alla “fontana minore di piazza Na- vona, che sta di faccia al Palazzo Doria Pamphili”. La pertinenza al corpus delle opere del maestro non è stata più messa in discussione e gli interventi critici successivi si sono piuttosto concentrati sulla crono- logia della terracotta in relazione alla genesi e alle varie fasi dei lavori della fontana ago- nale.

Nel 1651, a pochi giorni dalla solenne inaugurazione della Fontana dei Fiumi, papa Innocenzo X incaricò Bernini di dare un nuovo assetto all’invaso sul lato sud di piazza Navona, di fronte alla chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. La struttura era

Copia Autore Cristiano Giometti

stata realizzata in semplici forme mistilinee verso il 1570 da Giacomo della Porta, con uno zampillo d’acqua che sgorgava da una roccia posta al centro, ora del tutto inade- guata alla nuova sistemazione della piazza. Bernini ideò dunque un gruppo costituito da altrettanti delfini che, intrecciando le loro code, sorreggono una grande conchi- glia e ne tratteggiò le sagome in un foglio conservato alla Royal Library di Windsor Castle (RL 5625). Le figure, poi scolpite da Angelo Vannelli, furono sistemate al centro della fontana ma risultarono subito troppo piccole e vennero presto rimosse. Trasferite dapprima a San Pietro, furono poi ricollocate nella fontana detta della Re- gina della villa pamphiliana al Gianicolo ove rimasero fino agli ultimi decenni del secolo scorso (D’Onofrio 1957), prima di essere sostituite da una copia e definitiva- mente sistemate a palazzo Doria Pamphilj al Corso. Il pontefice rinnovò l’invito a Bernini ad elaborare una seconda soluzione testimoniata, anche questa, da un foglio conservato a Windsor (RL 5623) in cui sono raffigurati due tritoni affrontati che sorreggono sulle spalle tre delfini dalle code intrecciate e dalle cui bocche defluiscono i fiotti d’acqua. In questa circostanza, il mae- stro formulò ancor più compiutamente il suo pensiero come stanno a dimostrare il vigoroso bozzetto del museo di Berlino pubblicato da Schlegel (1978, inv. 1795) e quello altrettanto efficace dell’Hermitage (Androsov 1991, inv. 602). Anche questo progetto non superò le fasi ideative poiché Bernini decise di puntare su una proposta forse meno dinamica ma più monumen- tale, incentrata sulla figura di un uomo ignudo in equilibrio su una grossa conchi- glia e intento a trattenere per la coda un in- domito delfino getta-acqua. Questa nuova fase del lungo processo creativo è testimo- niata da un grande modello acquistato nel 2003 dal Kimbell Art Museum di Forth Worth (h. 80,5 cm.; inv. AP 2003.01) e dalla testa di Palazzo Venezia che mostra una strettissima coincidenza di tratti con la terracotta americana e, come quella, può essere datata al 1653. Proprio nell’agosto di quell’anno, infatti, il collaboratore di Bernini, Giovanni Antonio Mari (docu- mentato 1653-1661), iniziò a scolpire il gruppo con il “Tritone, pesce e lumacone” per il quale percepì un saldo di 300 scudi il 19 luglio del 1655 (Angelini 1999). Mari si attenne assai scrupolosamente ai modelli del maestro e la traduzione marmorea pre- senta soltanto piccole varianti morfologi- che nella capigliatura e nei ciuffi della barba, mentre sembra di poter escludere che la fisionomia del Moro sia stata esem- plata su quella della famosa statua di Pa-

squino, collocata nell’omonima piazza a

pochi metri di distanza dalla fontana ago- nale. Bernini, che riteneva quella scultura uno dei massimi capolavori dell’arte antica, vi si ispirò di certo per la torsione improv- visa del busto del suo Moro e per l’inclina- zione della testa, mentre il volto non palesa richiami all’antico e si deve ritenere frutto della sua invenzione.

Bibliografia Brinckmann 1923, I, p. 57; Mariani 1929- 1930, pp. 59-65; Riccoboni 1942, p. 161; Hermanin 1948, p. 279; Santangelo 1954, p. 92; D’Onofrio 1977, p. 505; Schlegel 1978, pp. 10-13; Bernini Pezzini 1986, p. 36; Barberini 1991, p. 40; Angelini 1998, p. 382 n. 120; Ferrari – Papaldo 1999, p. 503; Vigliarolo 2009, p. 86; Giometti 2011, p. 269.