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Bartolomeo Sinibaldi, detto Baccio da Montelupo

Copia Autore Cristiano Giomett

2. Bartolomeo Sinibaldi, detto Baccio da Montelupo

(Montelupo Fiorentino 1469 – Lucca 1535)

Cristo Redentore

1494-1495 ca. terracotta; cm 27 x 26

Inv. 957; 1919, Donazione Angeli

Il busto in terracotta policroma raffigu- rante il Cristo Redentore è giunto al Museo di Palazzo Venezia nel 1919 come dono del fiorentino Carlo Angeli, e con una at- tribuzione a Matteo Civitali (1436-1501). E proprio allo scultore lucchese lo assegnò per primo Federico Hermanin (1948) istituendo un confronto con un esemplare simile conservato al locale Museo di Villa Guinigi ma proveniente dalla chiesa di San Ponziano. Fu invece Santangelo (1954) a proporne la pertinenza all’am- bito dell’opera di Baccio da Montelupo soprattutto per le affinità somatiche con il Cristo in pietà di Segromigno in Monte e il San Sebastiano ligneo della badia di San Godenzo a Dicomano; in virtù della somiglianza con quest’ultima scultura rea- lizzata intorno al 1506 era stata dunque proposta una cronologia posteriore a quella data. Il nome di Baccio è stato ri- confermato di recente anche da Turner che, nella sua tesi di dottorato (1997), ha inserito l’opera in esame tra quelle attri- buibili allo scultore, suggerendo tuttavia di anticiparne l’esecuzione ai primi anni Novanta del Quattrocento.

Sul periodo di formazione del Sinibaldi si hanno ben poche notizie certe ed è Va- sari a raccontarci l’aneddoto secondo il quale “nella sua giovanezza sviato da’ pia- ceri quasi mai non istudiava; et ancora che da molti sgridato e sollecitato, nulla o poco stimava l’arte”. In realtà pare che Baccio abbia frequentato il famoso “Giar- dino di San Marco”, luogo di studio e di

confronto dei giovani artisti fiorentini vo- luto da Lorenzo il Magnifico, e nel quale esordì anche Michelangelo. La prima scultura a lui ascritta con certezza per via documentaria è il Compianto sul Cristo

morto in terracotta per la cappella del Se-

polcro di Cristo in San Domenico a Bo- logna; del gruppo originario, ora al Museo della basilica, si conservano sol- tanto la testa di San Giuseppe di Arimatea, e le figure della Vergine, di Santa Maria

Maddalena e di un’altra pia donna, forse

da identificare in Santa Marta. Secondo Turner sono queste le opere che mag- giormente si avvicinano in termini di stile al nostro busto. In particolare il Cristo presenta le stesse sopracciglia arcuate e il naso prominente del San Giuseppe di Ari-

matea, mentre il disporsi morbido e li-

neare delle ciocche di capelli si conforma in generale a quello delle tre figure fem- minili del Compianto. Ulteriori somi- glianze si possono ravvisare anche in altre opere di Baccio quali il Crocifisso in legno policromo del Museo di San Marco di Fi- renze (1496), che presenta la stessa con- formazione del volto caratterizzato dal naso prominente, o il già citato Cristo in

pietà del tabernacolo di Segromigno

(1518), che socchiude la bocca lasciando intravedere i denti con analoga modalità della scultura di Palazzo Venezia.

Bibliografia

Hermanin 1948, p. 275; Santangelo 1954, p. 68; Franklin 1994, p. 17; Turner 1997, pp. 176-178.

3-4. Jacopo Tatti, detto Sansovino

(Firenze 1486 – Venezia 1570)

3. San Marco guarisce gli infermi e libera

l’indemoniato

1536

terracotta; cm 49,5 x 67 x 8 Inv. 3258; 1921, Donazione Mond 4. Il martirio di San Marco

1536

terracotta; 50 x 66 x 9,5

Inv. 3259; 1921, Donazione Mond Restauri: 2006-2007, Davide Fodaro Quando Jacopo Sansovino raggiunse Ve- nezia, dopo aver lasciato Roma a seguito del disastroso sacco del 1527, non pensava di fermarsi troppo a lungo, intenzionato com’era a proseguire per la Francia ove avrebbe lavorato alla corte di Francesco I. Tuttavia quella tappa momentanea era de- stinata a trasformarsi nella meta ultima, e in quella città lo scultore avrebbe trascorso il resto della sua vita. Formatosi a Firenze alla scuola di Andrea Sansovino (1467/70-

Copia Autore Cristiano Giometti

1529) e poi a Roma a studiare i marmi an- tichi, Jacopo trovò la maggiore fama pro- prio a Venezia e già il 1 aprile del 1529 veniva nominato proto magister di San Marco, carica che avrebbe mantenuto fino alla morte, occorsa il 27 novembre del 1570. Contestualmente ai grandi progetti architettonici della Libreria Marciana, della Zecca e della Loggetta, il maestro si occupò anche di creare per la basilica di San Marco alcune opere decorative in bronzo, un ma-

teriale con cui si misurava per la prima volta: nacquero così le statuette dei Quat-

tro Evangelisti, i battenti della porta della

sagrestia e gli otto rilievi per i pergoli del coro con le storie del Santo. Quest’ultima impresa ebbe inizio nel 1536: il primo dei due amboni con le vicende della vita di San Marco, fu collocato sul lato destro del trono ducale ed era già terminato alla fine dell’anno seguente, mentre l’altro, su cui erano narrati i miracoli post mortem, fu

completato entro il 1542.

Di tali complesse prove compositive si con- servano soltanto due modelli preparatori per il pergolo più antico raffiguranti San

Marco che guarisce gli infermi e libera l’inde- moniato e il Martirio del Santo. Provenienti

dalla collezione di Frida Mond, al mo- mento dell’entrata in museo i due pannelli erano inquadrati entro cornici lignee, men- tre la superficie era ricoperta da una spessa patina di vernice rossastra, poi rimossa a se- guito di un recente restauro (2006-2007); il retro risulta invece levigato tramite il pas- saggio di un filo che ne ha livellato la su- perficie favorendo il distacco dal piano di appoggio. La scena dell’Indemoniato si svolge sullo sfondo di un portico da cui si intravedono templi e guglie piramidali a ri- creare l’aspetto di Alessandria, città in cui l’evangelista trascorse gli ultimi tempi del suo ministero. Sansovino orchestra sul pro- scenio circa 27 figure che partecipano ani- matamente al miracoloso evento, e ad esso reagiscono con una straordinaria gamma di espressioni. Il Santo, in posizione lieve- mente eccentrica e purtroppo acefalo, im- pone la mano destra sull’indemoniato che si contorce per liberarsi dallo spirito maligno ora aleggiante sugli astanti. Il gruppo di fi- gure alle spalle dell’evangelista è composto da vecchi barbuti e da storpi che si spor- gono e si accalcano ad osservare l’accaduto, mentre dalla parte opposta alcune donne vegliano un morto, riproducendo nei gesti e nelle pose la scena di una Deposizione

dalla croce. I singoli personaggi emergono

con forte plasticità dal fondo, ma Sansovino non rinuncia anche a brani di stiacciato e persino ad incidere alcuni profili diretta- mente sul fondo. Nel secondo rilievo il forte impatto drammatico non accenna a diminuire e una grande concitazione do- mina l’azione: San Marco con una corda le- gata intorno al collo viene trascinato per le vie della città quando, d’improvviso, una violenta pioggia di pietre interviene ad in- terrompere il martirio. Gli astanti cercano di fuggire in tutte le direzioni, e al con- tempo si coprono la testa e il volto, evo- cando in alcuni casi la figura michelangiolesca al centro del rilievo gio- vanile con la Centauromachia di Casa Buo- narroti a Firenze, ma l’impaginato, nel suo complesso, risente anche della lezione di al- cune xilografie di Albrecht Dürer e, in par- ticolare, si rilevano precise citazioni tratte dall’Apertura del quinto e del sesto sigillo della serie dell’Apocalisse (1498). La piena lettura di questo febbrile composto è in parte infi- ciata dalla perdita di alcuni brani del testo figurativo, mentre la fascia all’estremità si- nistra del rilievo risulta costituita da una terra di diversa qualità e particolarmente porosa. La traduzione in bronzo di questa

Copia Autore Cristiano Giometti

scena risulta pressoché identica al modello sansoviniano e l’intervento dei vari colla- boratori dovette essere limitato alla rinetta- tura e all’incisione a freddo di alcuni particolari. Nel caso dell’Indemoniato si nota al contrario una certa difformità ri- spetto al prototipo, soprattutto nella posa di alcune figure, tanto che Boucher (1991) ha ipotizzato che il modello di Palazzo Ve- nezia sia da identificare con una prima ver- sione della composizione, poi modificata dallo stesso Sansovino.

Nell’affrontare la tipologia del rilievo scul- toreo in bronzo, Jacopo non poté eludere lo studio ed il confronto con le opere la- sciate da Donatello nella basilica di San- t’Antonio a Padova, mutuando dal maestro il gusto narrativo e una certa abilità nel ca- librare i gruppi di figure sulla scena. Ma al- trettanto fondante sembra essere stato il confronto con la pittura coeva ed in parti- colare con l’arte di Raffaello; le mirabili in- venzioni degli arazzi per la cappella Sistina

furono senza dubbio una valida fonte da cui Sansovino attinse soluzioni composi- tive anche per queste opere veneziane.

Bibliografia

Donazione Mond 1921, pp. 40-44; Brin-

ckmann 1924, pp. 10-11; Weihrauch 1935, p. 100; Santangelo 1954, pp. 20-22; Scott 1982; Boucher 1991, 329-330; Poeschke 1992, pp. 149-215; Davis 1999, 210-213; Myssok 1999, p. 361; Bacchi 2000, p.783; Boucher 2001, pp. 168-169; Cannata 2007b p. 309; Pittiglio 2009, p. 83.

5. Bartolomeo Bandinelli detto Baccio,