II. Antropologia in Kant
6. Antropologia kantiana e antropologia liberale
L’antropologia liberale «rifiuta come illusoria l’idea che la ragione abbia dei fini suoi»121, che ci siano fini oggettivi che ci definiscono. L’impostazione metafisica
119 Si veda la nota n. 69.
120 Kant sostiene che nella società a lui contemporanea la costrizione del decoro esista, ma non ci sia ancora la costrizione morale (Friedl., p. 692).
kantiana, per cui esistono interessi della ragione122, viene rifiutata. La nostra ragione ci
fornisce gli strumenti per realizzare i nostri fini soggettivi. Secondo Kant123, le persone
sono portate ad agire, a causa del loro arbitrio caratterizzato dal «male radicale», mettendo in primo piano i propri interessi soggettivi o desideri rispetto alla legge morale. Abbiamo visto come questo avvenga all’interno della società, che costituisce la condizione per attivare il «male radicale», dando luogo alla dinamica di «insocievole socievolezza» che diventa guerra e ne costituisce la struttura124. Tuttavia, gli esseri
umani hanno anche un carattere intelligibile, che rende possibile seguire la legge morale: accettandone tutte le implicazioni, questo influenza notevolmente la loro convivenza come esseri che desiderano. La questione dei desideri si pone in maniera differente nell’ordine politico e nell’ordine etico125. Mentre l’ordine etico – la comunità
122 Può essere spiegato, in maniera forse eccessivamente contratta, ma sufficiente per gli scopi di questa tesi, cosa significhi il fatto che per Kant esistano degli interessi della ragione. Ogni interesse della nostra ragione, pura e pratica, consiste nelle tre domande: «che cosa posso sapere?», «che cosa devo fare?», «che cosa posso sperare?» (G. MARINI, La filosofia cosmopolitica di Kant, pp. 18-22). La nostra necessaria
ricerca e la frustrazione sono dovute al fatto che la ragione è immersa in un mondo che non crea lei stessa, si trova ad agire in un contesto dato, nel mondo della natura. Le domande, che non possiamo evitare di farci sorgono dal fatto che l’umanità si trova al confine tra libertà e natura: il lavoro di ricerca e frustrazione si svolge nell’intersezione. Per gli scopi di questa tesi, dobbiamo mettere in evidenza la seconda domanda, «che cosa devo fare?», che costituisce l’interesse (pratico) della ragione – ma anche la terza, «che cosa posso sperare?», che costituisce un interesse sia pratico sia teoretico (P. J. ROSSI, op. cit.,
pp. 27-28).
123 Questo paragrafo non può essere un confronto esaustivo tra antropologia kantiana e liberale, ma ha lo scopo di inquadrare meglio la questione dell’appartenenza a uno stato nel pensiero politico kantiano, alla luce delle difficoltà che abbiamo visto sorgere per l’antropologia liberale (sulle quali rimando al § 1 del primo capitolo).
124 Si veda P. J. ROSSI, op. cit., pp. 77-85.
125 Come sostiene Katrin Flikschuh, il desiderare per l’agency politica, differentemente da quanto avviene per l’agency etica, specifica una relazione tra soggetti in riferimento a oggetti in una relazione necessariamente competitiva (K. FLIKSCHUH, Kant and Modern Political Philosophy, p. 97). Questo
etica – si basa su una disciplina dei desideri, l’ordine politico non può che conciliarli o lasciarli scontrare, ma non eliminarli. Questo perché per Kant i desideri hanno una funzione ben precisa, che abbiamo visto emergere bene negli scritti di filosofia della storia: per questo, «data la loro funzione per la vita [life-sustaining], i desideri economici non possono essere superati o disciplinati nello stesso modo in cui può essere possibile disciplinare le proprie emozioni in relazione ai propri doveri etici»126. Per
Kant, la conciliazione di esseri desideranti è possibile implementando il principio del diritto127. Senza il principio del diritto e la sua implementazione resta lo scontro128.
Vedremo nei prossimi capitoli che l’implementazione del principio del diritto e la motivazione per cui gli individui devono abbandonare lo stato di natura o costituire la società politica è differente nel caso kantiano e nel caso liberale. La filosofia politica
umani. Nella società civile «gli esseri umani non soffrono perché manca loro il pane, ma perché non possono vivere come gli altri del proprio ceto, allora, come si direbbe, è la miseria [Elend] che qui ci preme. La miseria è in relazione all’opinione delle persone, non al bisogno naturale» (Friedl., p. 685, trad. mia).
126 K. FLIKSCHUH, Kant and Modern Political Philosophy, pp. 102-103 [trad. mia].
127 MdS, AA VI 231, trad. it. cit. p. 35. «The task of the State is to moderate man’s ‘unsociable
sociability’ so that it proves to be a power which is both beneficial to the individual and the community» (H. WILLIAMS, op. cit., p. 133).
128 Si veda la quinta tesi dell’Idea, in cui Kant scrive che «una costituzione civile perfettamente giusta, deve essere il compito supremo della natura per il genere umano, perché la natura può raggiungere i suoi intenti ulteriori col nostro genere solo mediante la sua risoluzione e attuazione. A entrare in questo stato di coercizione l’uomo, altrimenti tanto favorevole a una libertà senza vincoli, è costretto dalla necessità, e precisamente dalla più grande di tutte, cioè quella che reciprocamente si infliggono gli esseri umani, le cui inclinazioni fanno sì che non possano esistere a lungo l’uno accanto all’altro in selvaggia libertà» (IaG, AA VIII 23, trad. it. cit. p. 31). Si veda anche la Pace perpetua: qui l’opzione è tra una pace perpetua nel senso di ‘durevole’ da ottenersi attraverso il diritto e una pace perpetua nel senso di ‘cimiteriale’. Se non costruiamo la prima alternativa, la natura comunque ci garantisce, attraverso le nostre inclinazioni, la seconda. Nell’usare l’aggettivo ‘perpetua’ nel titolo del suo scritto Kant è
deliberatamente ironico (ZeF, AA VIII 343, trad. it. cit. p. 153). Si veda anche ZeF, AA VIII 380, trad. it. cit. p. 187.
kantiana è a priori, non tiene in considerazione i nostri dati empirici, ma ci considera nella nostra proprietà intelligibile. La filosofia politica normativa contemporanea ha recuperato parte del pensiero kantiano usandolo per elaborare una teoria della giustizia, che è anche la teoria di uno stato “giusto”. Secondo Katrin Flikschuh, questo recupero del pensiero kantiano, che accoglie la filosofia morale ma ne espelle la metafisica, distorce la concezione che Kant ha degli esseri umani, per poterla inserire all’interno di un’antropologia sostanzialmente liberale, così come all’interno delle figure del pensiero politico elaborate riferendosi a tale antropologia129. La dismissione della metafisica
kantiana porta però a un’interpretazione scorretta della distinzione tra il punto di vista noumenico e il punto di vista fenomenico a partire dai quali Kant considera l’umanità. Il carattere intelligibile viene visto come un «‘omuncolo’ – ovvero un sé in miniatura all’interno del sé incarnato [embodied], fenomenico che guida le azioni del sé fenomenico nel modo che ritiene adatto. L’immagine di questo ‘omuncolo’ è una caricatura popolare della concezione kantiana del punto di vista noumenico»130. In ottica
liberale, «i riferimenti kantiani a una prospettiva noumenica nei suoi scritti morali sono considerati come un infelice ripiombare in un metodo di indagine razionalista che egli afferma di aver screditato. Per questo motivo, si pensa che sostituire le affermazioni kantiane trascendenti con l’attribuzione agli individui di più plausibili predicati morali [more plausible moral predicates] costituisca un miglioramento della teoria kantiana. Predicare un senso di giustizia o una intuitiva idea di libertà degli individui offre un modo tangibile di integrare le capacità morali di quell’elusivo sé noumenico al sé fenomenico, fisicamente incarnato, psicologicamente motivato e totalmente più
129 K. FLIKSCHUH, Kant and Modern Political Philosophy, pp. 12-49. Cfr. H. WILLIAMS, op. cit., pp. 59-74.
tangibile »131. Ciò che rappresenta la moralità nello stato liberale è un punto di vista
innestato in un soggetto la cui ragione è preda di interessi soggettivi o desideri e che conserva secondariamente qualche capacità morale (un senso di giustizia132 o un’idea di
libertà): da ciò si delibera per realizzare uno stato “giusto”. Flikschuh argomenta i limiti di un tale stato: le persone partecipano allo schema cooperativo finché hanno interesse a farlo, il muro dei fini soggettivi non viene infranto. Differentemente, secondo Kant, gli esseri umani hanno le risorse per perseguire la conciliazione dei lori desideri, attraverso la creazione di un mondo comune che non abbia i limiti che Flikschuh individua nel caso liberale. Con Kant, la nostra razionalità non può essere solo strumentale133 perché
non abbiamo in noi solo desideri, fini soggettivi da servire, ma anche fini oggettivi. La nostra ragione è sia «al servizio di altri moventi», sia «pratica per se stessa, cioè incondizionatamente legislatrice»134. La ragione considerata nel primo modo (al servizio
di altri moventi) è la condizione di possibilità della nostra disposizione all’umanità, e si riferisce ai modi in cui cerchiamo la felicità, necessariamente nel confronto con gli altri. La ragione considerata nel secondo modo (incondizionatamente legislatrice) è la
131 Ibidem, pp. 16-17.
132 Rawls parla di «senso di giustizia» (J. RAWLS, Una teoria della giustizia, p. 428 ss.).
133 Kantianamente non esistono persone dotate di una razionalità meramente strumentale. Come scrive Onora O’Neill, «l’affermazione di Kant è che ogni ragionatore pratico [practical reasoner] – persino un essere razionale finito – possa fare di più che calcolare mezzi e fini. La concezione di ragione pratica favorita dagli empiricisti non solamente non è l’unica concezione esistente: non si trova mai isolata [It is
never found in isolation]. Gli unici esseri che possono ragionare strumentalmente sono agenti liberi. I
decisori razionali delle concezioni empiriciste della ragion pratica non sono casi speciali: sono casi mancanti. O agli esseri umani mancano anche le capacità di ragionare strumentalmente – e devono avere arbitrio non libero – [O’Neill scrive ‘arbitria bruta’, ovvero il tipo di arbitrio che, nella tassonomia degli esseri kantiana si riferisce agli animali, ndt] oppure devono avere qualcosa di più della capacità
strumentale di ragionare» (O. O’NEILL, Constructions of Reason, cit. p. 73, trad. mia).
condizione di possibilità della nostra disposizione alla personalità, ovvero «la capacità di sentire per la legge morale un rispetto che sia un movente, sufficiente per se stesso, dell’arbitrio», laddove la personalità è «l’idea dell’umanità, considerata in una maniera completamente intellettuale»135. Nel suo essere incondizionatamente legislatrice, la
ragione ha un interesse specifico136. Come scrive Philip Rossi: «Oltre e contro gli
interessi che abbiamo per conto delle nostre particolarità individuali (in virtù delle quali cerchiamo per noi stessi cose come la proprietà, il potere, il riconoscimento), c’è un interesse che abbiamo – o che le circostanze della nostra esistenza umana ci obbligano ad avere – nel fare e avere un mondo comune; ovvero, un comune terreno di attività in cui tutti possiamo perseguire i nostri interessi particolari. Esercitiamo la ragione a costituire una base comune come la vera condizione di possibilità per il riconoscimento dell’alterità e differenza da cui sorgono i nostri interessi particolari e su cui essi entrano in competizione, […] nell’uso della nostra ragione siamo capaci, individualmente e collettivamente, di formare e adottare una prospettiva per prendere decisioni e guidare le nostre azioni che rappresenta concretamente, contro i nostri interessi particolari, e al di là delle alleanze che uniscono chi ha interessi simili, l’interesse universale
dell’umanità»137. Questo differisce molto dall’affermazione liberale per cui «gli esseri
umani sono e possono essere guidati solo da interessi particolari che, per loro natura, sono parziali e non universali. [Nel caso liberale, ndt] non c’è un “interesse” della ragione che può essere considerato oltre questi interessi umani particolari in modo da costituire un interesse comune a noi tutti»138. Abbiamo visto nel primo capitolo come
135 Ibidem.
136 Si veda la nota n. 122.
137 Ibidem, pp. 145-147 [trad. mia] (e più estensivamente, pp. 139-152). 138 Ibidem.
questo possa essere considerato problematico anche pensando di allargare questa prospettiva portandovi dentro gli interessi degli altri, ragionando a partire da un punto di vista astratto che realizzi uno stato giusto. Questi interessi allargati sono «moralmente lodevoli e socialmente utili, ma sono veramente razionali solo nella misura in cui gli agenti vedono la realizzazione dei desideri e delle preferenze altrui come (in ultima istanza) servire i propri»139. Quali sono le implicazioni sull’ordine politico delle
premesse antropologiche kantiane, in particolare relativamente al tema dell’appartenenza a uno stato? La presenza di fini oggettivi, che sono interessi della ragione, rompe il muro di cui abbiamo parlato, che impedisce allo stato liberale, anche quando teorizzato a partire da un punto di vista morale astratto, di essere qualcosa di più di un aggregato di decisori particolari. Con Kant non giustifichiamo l’ordine politico, il regno del diritto, ovvero la dimensione della libertà esterna – come vedremo nei prossimi capitoli – a partire dai nostri desideri ma abbiamo le risorse per considerarlo come un bene comune, al di fuori dalla stretta reciprocità, verso cui si può sentire un senso di appartenenza.