II. Antropologia in Kant
2. Finalismo e antropologia
Come scrive Alix Cohen: «I principi guida e le procedure del metodo antropologico kantiano sono […] essenzialmente teleologici. […] Il principio guida del metodo biologico di Kant, che è basato sul principio della teleologia per massimizzare l’intelligibilità del mondo, è quello per cui ‘Tutto nel mondo serve a qualcosa, niente è per niente’ [‘Everything in the world is good for something or other; nothing in it is
gratuitous’]»19. Kant studia gli esseri umani postulando per essi uno scopo, non in senso
speculativo, ma limitatamente alla loro autocomprensione. Qual è lo scopo, la vocazione dell’essere umano? Il termine Bestimmung, che Kant usa esplicitamente nell’Antropologia pragmatica, può avere due significati. Da un lato può significare determinazione [determinatio] di qualcosa attraverso qualcos’altro, o nelle sue proprietà. Tuttavia, può anche significare destinazione [destinatio]. In questo secondo
Conflitto delle facoltà (1798).
17 ZeF, AA VIII 374, trad. it. cit. p. 182. 18 R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 62.
19 A. A. COHEN, Kant’s Answer to the Question ‘What is Man?’ and its Implications for Anthropology,
caso, nella Bestimmung come destinatio, si va al di là del primo senso di Bestimmung «attraverso l’aggiunta di una struttura teleologica. Qualcosa non solo è determinato nelle sue proprietà o attraverso qualcosa – può anche essere destinato o determinato (bestimmt) a qualcosa»20. Gli esseri umani possono essere studiati in questo modo,
«sono tra quelle cose naturali la cui forma ed esistenza possiamo cogliere solo se riconosciamo il “a che cosa” della loro determinazione (das Wozu seiner Bestimmung). Nella teoria di Kant, la determinatio è un problema per l’intelletto, mentre la scoperta della destinatio è tra le responsabilità della ragione e del giudizio riflettente. Riconosciamo il fine a cui siamo destinati (bestimmt) solo nelle nostre proprie capacità, ovvero, siamo i conoscitori e gli autori della nostra propria vocazione (Bestimmung) sia nel senso epistemologico che pratico-morale»21. Conoscere la nostra Bestimmung e
realizzarla è responsabilità della nostra ragione. Per indagarci come esseri umani nella nostra destinatio, bisogna connetterci con un universale, che è la natura22.
Limitatamente a ciò, alla comprensione dei suoi organismi – tra cui gli esseri umani – la natura può essere considerata come un sistema teleologico. Scrive Kant che «non ci è possibile farci un concetto di questo mondo se non ne concepiamo una suprema causa che agisca secondo fini»23. Possiamo indagare il nostro scopo usando quella che Kant
chiama la facoltà del giudizio, attraverso un giudizio riflettente, in particolare un
20 R. BRANDT, The Guiding Idea..., cit. p. 96 [trad. mia].
21 Ibidem, p. 97.
22 Per una spiegazione dell’uso del termine ‘natura’ piuttosto che ‘destino’ o ‘provvidenza’ si veda M. C. PIEVATOLO (a cura di), Sette scritti politici liberi, Firenze, Firenze University Press, 2011, p. 215. Si veda
inoltre G. A. KELLY, Idealism, Politics and History. Sources of Hegelian Thought, Cambridge, Cambridge
University Press, 1969, pp. 139-140.
23 KU, AA V 399. Citato e tradotto in G. MARINI, La filosofia cosmopolitica di Kant (a cura di N. De
giudizio riflettente teleologico24: «Con esso noi intravediamo nella natura organica (ed
anche in quella manifestazione della natura organica che è la storia della specie umana vista come insieme di esseri liberi) una universalità interna, cioè uno sviluppo che tende ad un fine: in una pianta o in un essere vivente noi vediamo il divenire compiutamente secondo un fine»25. Il giudizio riflettente teleologico non ha una certezza deterministica,
ma ci serve appunto per comprenderci26. Nella prima tesi dello scritto del 1784 Idea per
una storia universale in un intento cosmopolitico Kant fissa il principio base della
teleologia applicato alla comprensione degli esseri naturali – compresi gli esseri umani: «Tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno pienamente e conformemente al fine». Quello che abbiamo ha un senso, deve servire a
24 Nella Critica del giudizio vengono esaminati due tipi di giudizio, quello determinante e quello riflettente. Mentre il giudizio determinante si occupa di sussumere il particolare sotto un universale, il giudizio riflettente cerca, dato il particolare, di costruire un universale non noto. Il giudizio riflettente può essere estetico o teleologico. Il giudizio che pertiene quando ci occupiamo di filosofia della storia, di cercarne il senso, è il secondo, il giudizio riflettente teleologico. «Si tratta di trovare un senso nella storia, a noi nota, per esperienza, come una molteplicità di eventi particolari che si estendono da un passato via via più indefinito a un futuro nebuloso. In altre parole, dobbiamo trovare, pur conoscendo solo particolari, un progetto universale o un fine che valga per l’intero corso storico. Kantianamente, la facoltà che congiunge l’universale col particolare è il Giudizio. In questo caso, essendo l’universale sconosciuto, dovremo ricorrere non al giudizio determinante bensì al giudizio riflettente di tipo teleologico» (M. C. PIEVATOLO (a cura di), Sette scritti politici liberi, pp. 147-148).
25 G. MARINI, La filosofia cosmopolitica di Kant, p. 60.
26 «The assumption of purpose on our part of judging nature is a merely reflective rather than
determinant judgement, and as such it “should serve as a mere subjective principle for the purposeful use of the cognitive faculties [als bloß subjectives Princip zum zweckmäßigen Gebrauche der
Erkenntnißvermögen], namely, for reflecting on a type of object” (5:385). […] In the language of the first
Critique, this assumption of purpose is a regulative as opposed to constitutive principle. […] The
assumption of purpose is thus a humanly necessary heuristic assumption or regulative idea for the interpretation of nature. And since we human beings are ourselves (at least in part) natural beings, we need also to look at ourselves teleologically. In order for us to make sense of human nature and its history, we must also approach it teleologically» (R. B. LOUDEN, Kant’s Impure Ethics. From Rational Beings to Human Beings, Oxford, Oxford University Press, 2000, pp. 141-142).
qualcosa e deve dispiegarsi, passare dalla potenza all’atto: «Un organo che non deve essere usato, un ordinamento che non raggiunge il suo scopo è una contraddizione nella dottrina teleologica della natura. Infatti se deviamo da quel principio non abbiamo più una natura che è conforme a leggi, ma che gioca senza scopo, e al posto del filo conduttore della ragione subentra il caso sconfortante»27.