IV. Cittadinanza e appartenenza in Kant
6. Eguale libertà, eguali diritti
Abbiamo visto come la repubblica kantiana sia il luogo in cui i cittadini possono obbedire a leggi a cui avrebbero potuto dare il loro assenso, ovvero il luogo della giustizia, che comprende anche la dimensione dell’auto-legislazione. Abbiamo seguito l’interpretazione di un Kant democratico in senso sostanziale e anche procedurale. I cittadini nella repubblica kantiana non sono solamente egualmente tenuti in considerazione dalla legislazione, ma hanno tutti diritto di voto, partecipano alla vita della repubblica nel senso appena visto. Nella Pace Perpetua Kant scrive che «una
158 Ibidem, p. 244. 159 Ibidem, p. 246.
costituzione in cui il suddito non è cittadino […] non è repubblicana»160,
contestualmente al tema centrale dello scritto: l’istituzione della pace perpetua. Le repubbliche sono pacifiche perché le persone che soffrono le conseguenze della guerra hanno diritto di voto: i rappresentanti eletti dal popolo voteranno contro la decisione di entrare in guerra161. I diritti politici mi sembrano essere una parte fondamentale della
cittadinanza kantiana anche perché sono diritti speciali. Secondo Kant «un governo
paterno (imperium paternale) […] è il più grande dispotismo pensabile»162 non perché
non pensa al benessere dei sudditi, ma in quanto impone ai sudditi una concezione di felicità, di benessere, che non emana da loro, per quanto benevola nei loro confronti. Questo governo non potrebbe affatto concedere i diritti politici163, in quanto questi
ultimi impediscono di fatto l’imposizione della volontà dispotica del governo paternale sulla comunità, rendendo invece possibile l’autodeterminazione, l’auto-legislazione. I diritti politici si pongono quindi non solo come parte della cittadinanza kantiana ma come il nucleo della repubblica164. Per fare funzionare la repubblica abbiamo però visto
come sia necessario strutturare quella sfera di pubblicità che costituisce la condizione di possibilità della rappresentanza. Pertanto, assieme ai diritti politici, della cittadinanza kantiana fanno parte tutti quei diritti che consentono a ognuno di contribuire ad
160 ZeF, AA VIII 351, trad. it. cit. p. 161.
161 Questa costituisce una motivazione empirica a favore della rappresentanza parlamentare. 162 TuP, AA VIII 291 , trad. it. cit. p. 104.
163 Così si esprime Habermas, citato in L. C. BRESSER-PEREIRA, Citizenship and Res Publica: The
Emergence of Republican Rights, «Citizenship Studies», Vol. 6 No. 2, 2002, p. 148. Un governo dispotico
avrebbe difficoltà anche a concedere i diritti civili. Gli unici diritti che potrebbe concedere sono i diritti sociali.
164 Si vedano in questo senso quegli autori che propongono di tenere maggiormente conto del fatto che ai diritti corrispondono i doveri, e suggeriscono di «prendere i nostri doveri sul serio» (Q. SKINNER, op. cit.,
approssimare la propria repubblica alla repubblica noumeno. I diritti necessari a far funzionare la sfera di pubblicità sono la libertà di espressione, il diritto di accesso all’informazione, il diritto all’educazione. Ciò a cui tutti avrebbero potuto dare il proprio assenso costituisce il nucleo di diritti della cittadinanza kantiana. Per pensare alla cittadinanza dobbiamo richiamare l’esperimento mentale del contratto originario. Come scrive Kersting: «Le leggi pubbliche contraddicono il contratto proprio quando ledono le condizioni, sotto le quali lo stesso contratto può esistere […]: appunto i principi di libertà e uguaglianza»165. La eguale libertà è per Kant l’unico diritto innato.
Egli scrive nella Metafisica dei Costumi: «Il diritto innato è uno solo. La libertà (indipendenza dall’arbitrio costrittivo altrui), in quanto essa può coesistere con la libertà di ogni altro secondo una legge universale, è quest’unico diritto originario spettante a ogni uomo in forza della sua umanità»166. Arthur Ripstein sottolinea bene questo punto:
«Rendendo il diritto innato alla libertà la base per ogni ulteriore diritto, Kant impone un’estrema domanda di unità [an extreme demand for unity] sulla sua concezione di giustizia politica. I diritti che ogni persona ha rispetto agli altri devono essere derivati da esso, come devono esserlo i diritti costituzionali fondamentali che proteggono la libertà politica e la libertà di religione»167. Per individuare i diritti, che costituiscono la prima
dimensione della definizione di cittadinanza che abbiamo dato, dobbiamo pensarli in funzione della libertà esterna come definita nella Metafisica dei Costumi: libertà come reciproca indipendenza dall’arbitrio costrittivo altrui. Il sistema di diritti che possiamo individuare a partire da ciò costituisce il bene comune che dobbiamo istituire e di cui
165 W. KERSTING, Wohlgeordnete Freiheit, cit. p. 223 [trad. mia].
166 MdS, AA VI 237, trad. it. cit. p. 45. 167 A. RIPSTEIN, op. cit. p. 31 [trad. mia].
dobbiamo prenderci cura. Come sostiene Ripstein, un coerente sistema di diritti elaborato a partire da una concezione negativa di libertà, come non interferenza nel perseguimento propri fini soggettivi, è difficile da individuare. Se la libertà è definita come la realizzazione dei propri fini soggettivi senza interferenze da parte degli altri, allora non solo il potere pubblico diviene in qualche modo ostile, ma nel momento in cui i fini soggettivi vengono a contrastare, si scontrano anche i diritti istituiti per proteggerli. Come individuare quindi una cittadinanza che costituisca un bene comune per tutti, che possa costituire il vettore della nostra appartenenza allo stato168, se questa
deve garantire la nostra libertà negativa come non interferenza nella realizzazione dei nostri fini soggettivi?169 La libertà esterna kantiana non è invece una libertà negativa, ma
consiste nella qualità di ognuno «di essere il suo proprio padrone (sui iuris)»170. La
cittadinanza deve consistere in «un sistema di eguale libertà […] in cui ogni persona è libera di usare le sue capacità, individualmente o con gli altri, per impostare i propri scopi [set his or her own purposes], e a nessuno è consentito costringere gli altri a usare le proprie capacità in modo da avanzare e soddisfare gli scopi di qualcun altro»171. Ciò
che deve essere protetto è la capacità delle persone di impostare i propri scopi, il loro arbitrio: «Una persona è un essere capace di impostare i propri scopi [setting its own
168 Come prevede Marshall, che definisce la cittadinanza come «l’uguaglianza umana fondamentale di appartenenza» (T. H. MARSHALL, op. cit., p. 7).
169 Come scrive Ripstein: «These difficulties aside, the deeper problem is that how different exercises of negative liberty interact with each other depends on the particular purposes the people are pursuing, or what Kant would call the “matter” of their choice. If our puroposes come into conflict, so too must our negative freedom. Any purpose, whether my private purpose of crossing your yard or the state’s public purpose of coordinating traffic flow, can come into conflict with some person’s ability to get what he or she wants» (A. RIPSTEIN, op. cit., p. 33).
170 MdS, AA VI, 237-238, trad. it. cit. p. 44. 171 A. RIPSTEIN, op. cit., p. 33 [trad. mia].
purposes]. Una cosa è qualcosa che può essere usata per perseguire qualsiasi scopo
potrebbe avere la persona che la possiede»172. Quando qualcuno è padrone di se stesso
nessuno lo restringe nella sua capacità di proporsi i propri scopi nel limite delle sue capacità. La libertà esterna kantiana è relazionale: «Essere il tuo padrone significa non avere nessun altro padrone. Non è un’affermazione che riguarda la tua relazione con te stesso, solo la tua relazione con gli altri»173. Il nemico della libertà del liberalismo
classico, ovvero quella negativa, è l’interferenza altrui nel perseguimento dei propri fini soggettivi. Il nemico della libertà esterna così definita è invece la dipendenza, il dominio rispetto agli altri174. Il concetto di dominio è più ampio di quello di
interferenza, è il potere incontrollato da noi che gli altri hanno di interferire con la nostra capacità di proporci degli scopi. Non tutto il potere che hanno gli altri di interferire con le nostre scelte è incontrollato da noi. Il potere pubblico che emani legittimamente da noi, che non possiamo definire incontrollato175, non costituisce una
172 Ibidem, p. 36. 173 Ibidem.
174 Non è tuttavia opportuno esagerare la distanza che separa la libertà ‘liberale’ e la libertà ‘repubblicana’. Come scrive Pinzani: «Il liberalismo nasce dall’esigenza di garantire all’individuo il rispetto incondizionato di uno spazio di azione. […] Uno dei punti su cui tutti gli autori liberali – compreso Hobbes – hanno sempre insistito è invece la creazione di una situazione di certezza giuridica: i cittadini devono essere certi che i loro diritti siano inviolabili e sottratti all’arbitrio del sovrano. Liberali e repubblicani sembrano dunque condividere la stessa visione di libertà come indipendenza dal dominio altrui, almeno riguardo a questo punto» (p. 307). Ciò che secondo Pinzani costituisce la reale differenza tra repubblicanesimo e liberalismo è il «diverso criterio di legittimazione dell’esistenza delle istituzioni statali. […] Mentre il primo fa dell’indipendenza individuale dall’arbitrio altrui il bene la cui salvaguardia costituisce la legittimazione della repubblica, il secondo identifica tale bene con l’interesse particolare dei cittadini» (A. PINZANI, Repubblicanesimo e democrazia liberale: un binomio inconciliabile?, «Annali del
Dipartimento di Filosofia 2003-2004», XI-X (2004), p. 310).
175 Questo è il nucleo della teoria repubblicana della democrazia. Si veda “Republicanism”, in Stanford
forma di dominio e ha anzi il compito di eliminare il dominio “privato” nelle relazioni tra i cittadini, attraverso la strategia della cittadinanza176. Il problema è individuare i
contenuti della cittadinanza. Per farlo, bisogna individuare i modi in cui la capacità di proporsi degli scopi può essere ristretta dagli altri, per individuare i diritti che possono invece proteggerla.
Quali sono i diritti che è possibile derivare dall’unico diritto innato secondo Kant? Nella
Metafisica dei Costumi Kant elenca le facoltà che sono «già insite nel principio della
libertà innata»177 e che però rendono più facile capire come nei diritti di cittadinanza
rientrino senz’altro i diritti civili. Oltre alla qualità di essere il proprio padrone, insite nel principio della libertà innata ci sono anche «la qualità di un uomo retto incensurato (iusti), rivendicabile quando anteriormente a ogni atto giuridico non si è commesso ingiustizia contro nessuno, e […] il potere di fare riguardo agli altri ciò che non li danneggi in nulla, purché non vi annettino un serio interesse, come ad esempio comunicare a loro semplicemente il proprio pensiero»178. Queste facoltà – che sono
contenute nell’unico diritto innato – sono la base su cui rivendicare diritti civili, dalla libertà personale alla libertà di pensiero, di espressione, di fede, associazione, movimento179. Qual è la relazione tra i diritti sociali – il terzo blocco dei diritti nella
176 L’eliminazione del dominio nelle relazioni tra i cittadini è strettamente legata alla presenza di un potere pubblico non dominato, alla possibilità che i cittadini possano decidere per questo tipo di politica. L’eliminazione del dominio pubblico è pertanto logicamente precedente all’eliminazione del dominio privato (P. PETTIT, On The People’s Terms, pp. 24-25).
177 MdS, AA VI, 238, trad. it. cit. p. 45. 178 Ibidem.
179 Lascio da parte la questione del diritto di proprietà nel pensiero politico kantiano, che non posso affrontare qui. Basti accennare che nella Metafisica dei Costumi Kant non include il diritto di proprietà nel diritto innato alla libertà (MdS, AA VI, 238, trad. it. cit. p. 45), ma lo considera un ‘diritto acquisito’ (MdS, AA VI 258, trad. it. cit. p. 71). Cfr. K. FLIKSCHUH, Kant and Modern Political Philosophy, pp. 117-
cittadinanza teorizzata da Marshall - e la qualità di essere padroni di noi stessi? Nella
Metafisica dei Costumi è possibile trovare un argomento kantiano per i diritti sociali180,
che resti nella logica dello stato repubblicano e non lo faccia traghettare verso lo stato paternale, con l’imposizione di un concetto di felicità o benessere. Secondo quest’argomento i diritti sociali sarebbero una questione di diritto e non di benessere dei cittadini. Kant scrive: «Il governo è […] autorizzato dallo Stato stesso a costringere gli abbienti a fornire i mezzi per mantenere quelli che non hanno nemmeno di che soddisfare ai più necessari bisogni della natura: mettendosi sotto la protezione e la cura dello Stato, necessaria alla loro propria esistenza, essi si sono legati verso la cosa pubblica ed è su questo che si fonda il diritto che ha lo Stato d’esigere ch’essi contribuiscano del proprio alla conservazione dei loro concittadini»181. Kant sembra
prevedere misure di sollievo alla povertà da finanziarsi attraverso una redistribuzione fiscale. Trovarci in una situazione di povertà consegna infatti la nostra capacità di proporci e realizzare i nostri scopi nelle mani di qualcun altro, colui che ci nega o ci accorda la sua benevolenza. Dipendere dalla benevolenza altrui significa non essere padroni di noi stessi, ma trovarci piuttosto in una situazione in cui non possiamo decidere cosa proporci, né usare il nostro corpo, né spostarci. La condizione della eguale libertà di tutti non è realizzata se persistono relazioni di dipendenza, se qualcuno è esposto all’arbitrio altrui. Come sostiene Arthur Ripstein: «Un servo o uno schiavo non condividono una volontà comune con il loro signore o padrone, così questo tipo di
121.
180 Si vedano gli altri argomenti usati a favore dell’inclusione dei diritti sociali nella cittadinanza kantiana in S. W. HOLTMAN, Kantian Justice and Poverty Relief, «Kant-Studien», 95. Jahrg., 2004, pp. 86-
106.
relazioni non sono compatibili con una situazione legale. […] Il problema della povertà, nell’analisi di Kant, è precisamente quello: i poveri sono completamente sottomessi all’arbitrio di coloro che sono in circostanze più fortunate»182. L’argomento così
individuato è tuttavia formale e non deve necessariamente prevedere diritti sociali a un livello minimo, sufficiente a «soddisfare ai più necessari bisogni della natura»183. Si
richiede che la giustificazione dei diritti sociali sia l’eliminazione del dominio184, e non
un aumento del benessere o il raggiungimento di precisi fini, ma questo non specifica cosa sia concretamente il dominio. Per individuarlo bisogna entrare nella sfera della pubblicità, definita ampiamente, e della politica185.
182 A. RIPSTEIN, op. cit., p. 275 [trad. mia]. Si veda anche S. W. HOLTMAN, op. cit., pp. 98-99.
183 MdS, AA VI 326, trad. it. cit. pp. 157-158.
184 Potrebbe essere interessante valutare anche, se i diritti da riconoscere devono incarnare l’idea del contratto originario, la compatibilità dei ‘diritti repubblicani’ come quarto blocco di diritti nel pensiero kantiano. I diritti repubblicani sono i diritti che le persone hanno alla res publica, che essa venga utilizzata sempre nel pubblico interesse. Si possono citare tra i diritti repubblicani il diritto all’ambiente, al patrimonio storico, al patrimonio economico. Come i diritti sociali, i diritti repubblicani si
occuperebbero delle relazioni di potere all’interno della società, in particolare di proteggere la res publica dai cittadini quando essi, usando la res publica come fosse loro proprietà, dominano di fatto sugli altri. Con Kant, i diritti repubblicani sarebbero un modo per proteggersi dalle volontà dispotiche. Per una panoramica sui diritti repubblicani – in particolare rispetto al patrimonio economico – si veda L. C. BRESSER-PEREIRA, op. cit.
185 Quando è che concretamente siamo in una relazione di dominio rispetto agli altri? Si veda Ripstein: «The requirement of a general will constrain the form of possible answers, but not their substance. Any answer need to be consistent with equal freedom, so they cannot introduce mandatory forms of cooperation merely on the grounds that they will produce an aggregate increase in welfare. […] But within the appropriate structure, the answers must be imposed by the people themselves. […] The principle of right focuses exclusively on the relation between the choice of the person of means and that of the one in need, and requires that provision be public rather than private. A further “principle of politics” brings that structure to bear on particulars, taking account of the particular society to which the principle of right is to be applied, and guides officials in determining the level and manner of provision. The resulting forms of public provision will in turn reflect economic and political features of a particular society, provided only that they are carried out without violating any person’s innate right of humanity»
Al principio di questa tesi, abbiamo illustrato i diritti sociali come caso emblematico di uno schema cooperativo che esce fuori dalla stretta reciprocità e porta il segno della desiderata integrazione del corpo politico. Il problema era: come possono gli individui conformarsi ad uno schema cooperativo a partire dai propri fini soggettivi? Perché chi ha abbastanza denaro per garantirsi un’assicurazione sanitaria dovrebbe finanziare un minimo sistema di assistenza sanitaria per tutti? Con Kant, la domanda non si pone. Gli esseri umani, abbiamo visto nel secondo capitolo, hanno le risorse per concepire un mondo comune. Concepire un mondo comune mi pare debba significare ben più di sacrificarsi per gli altri, finanziando un sistema di assistenza sanitaria per tutti anche se si hanno le risorse economiche per permettersi un’assicurazione sanitaria. Concepire un mondo comune mi sembra debba significare proprio non entrare in considerazioni di questo tipo. Il motivo per cui sono obbligata ad abbandonare lo stato di natura, quindi la giustificazione per la creazione di uno stato che eserciti coazione, è secondo Kant la garanzia della mia libertà esterna. Le mie considerazioni prudenziali – la tutela della mia vita, calcoli di interesse, ecc. – non hanno un ruolo nella giustificazione dello stato. Questo significa che, quando devo conformarmi allo schema cooperativo, non posso far entrare considerazioni legate ai miei interessi186, entrare in calcoli di costi-benefici né
(A. RIPSTEIN, op. cit., pp. 284-286).
186 Questo mi sembra perfettamente compatibile con la contestazione che gli individui possono fare, attraverso l’uso pubblico della ragione, nella sfera pubblica. Qui essi possono far valere ragioni e interessi, esigere di essere convinti della legislazione istituita. Si è visto ciò nel paragrafo precedente. La contestazione, la critica, sono cosa diversa rispetto al sottrarsi allo schema cooperativo sulla base di un calcolo prudenziale. Si veda lo scritto Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, laddove Kant scrive: «Il cittadino non può rifiutarsi di pagare le tasse che gli sono imposte; e, anzi, una critica
inopportuna di tali imposizioni quando devono essere da lui assolte, può venir punita come uno scandalo (poiché potrebbe indurre a ribellioni generali). Tuttavia, egli non agisce contro il suo dovere di cittadino se, come studioso, manifesta pubblicamente il suo pensiero sull’inadeguatezza e persino sull’ingiustizia di
conformarmi per spirito di sacrificio. Come scrive Ripstein, «invece di analizzare la salute pubblica o la difesa nazionale in termini di costi-benefici [benefits and burdens], è meglio assimilarli all’esempio delle strade. Sono richieste per sostenere una situazione legale. Le persone possono essere costrette a contribuire alla difesa nazionale a
prescindere dal fatto se ne beneficeranno personalmente»187. L’argomento per la
creazione dello stato è formale188, non materiale: la repubblica ideale garantisce una
situazione di non dominio ad ognuno, non si occupa di bilanciare i nostri interessi, che sono diversi189. Come sostiene Philip Rossi: «Esercitiamo la ragione a costituire una
base comune come la vera condizione di possibilità per il riconoscimento dell’alterità e differenza da cui sorgono i nostri interessi particolari e su cui essi entrano in competizione»190. Le persone devono conformarsi allo schema – in questo caso, con
Kant, provvedere al sollievo della povertà – perché «mettendosi sotto la protezione e la cura dello Stato, necessaria alla loro propria esistenza, essi si sono legati verso la cosa pubblica»191. Ognuno di noi è parte dello stato come portatore di interessi differenti,
ognuno è vulnerabile nella sua propria maniera. Lo stato non si occupa di bilanciare queste vulnerabilità, ma di garantire un sistema in cui ognuno possa non essere vulnerabile rispetto agli altri, in cui ognuno sia suo padrone: «Nella concezione di Kant […] coloro che hanno bisogno di assistenza monetaria non differiscono da coloro che hanno bisogno di proteggere le loro proprietà. Siamo tutti vulnerabili in termini di bisogni fisici e psicologici. Qualcuno ha bisogno dello stato per difendere le società
simili imposizioni» (WiA, AA VIII 037-038, trad. it. cit. p. 55-56). 187 A. RIPSTEIN, op. cit., p. 260 [corsivo e traduzione miei].
188 Si veda il § 1 del terzo capitolo del presente lavoro. Si veda anche H. WILLIAMS, op. cit., pp. 166-170.
189 Ibidem, pp. 232- 266.
190 P. J. ROSSI, op. cit., pp. 145-147 [trad. mia] (e più estensivamente, pp. 139-152).
[holdings]. Altri ne hanno bisogno per avere ciò che è necessario a sostenere la propria vita e a svilupparsi [develop] come agenti [agents] e cittadini»192. La tassazione generale
– che incarna l’idea di “fare ognuno la propria parte”, come si addice a un contratto tra eguali193 – finanzia un sistema di eguale libertà per tutti, non qualcosa di cui tutti devono
per forza usufruire194. La cittadinanza repubblicana non tenta un bilanciamento tra gli
interessi di tutti, né fornisce ad ognuno ciò che solo tutti hanno interesse ad avere.