III. Cosmopolitismo, popoli, stati
4. Le nazioni hanno un significato etico?
All’interno della cittadinanza liberale, la nazione, o meglio il mito della nazione, si trova ad avere un ruolo indispensabile; permette cioè ai teorici liberali di conservare le proprie premesse antropologiche e allo stesso tempo rendere possibili le obbligazioni di cittadinanza. David Miller ritiene che le nazioni abbiano un significato etico indispensabile per gli stati, in quanto la lealtà dei cittadini verso la propria nazione rende possibili le obbligazioni di cittadinanza94. Le obbligazioni di nazionalità danno
alle persone la motivazione necessaria per espletare le obbligazioni di cittadinanza, che altrimenti gli esseri umani non potrebbero espletare quando esse vanno oltre la stretta reciprocità. Le nazioni hanno secondo Miller un significato etico in senso strumentale95.
L’argomento di Miller poggia su un assunto di psicologia morale che si può riassumere usando le sue parole: «Poiché mi identifico con la mia famiglia, la mia università, la mia comunità locale, riconosco di avere obbligazioni rispetto ai membri di questi gruppi che sono diverse dalle obbligazioni che ho verso le persone in generale. […] La potenza della nazionalità come fonte di identità personale significa che le sue obbligazioni sono fortemente sentite e possono essere estese [may extend very far] – le persone sono
94 La posizione di Miller viene denominata ‘nazionalismo liberale’. Si veda “Citizenship”, in Stanford
Encyclopedia of Philosophy, https://plato.stanford.edu/entries/citizenship/#LibeNatiVsPost. 95 D. MILLER, The Ethical Significance of Nationality, p. 660.
disposte a sacrificarsi per il loro paese come non lo sono per altri gruppi o associazioni»96. Gli esseri umani hanno bisogno di motivazioni forti per espletare le
obbligazioni di cittadinanza: l’identificazione con l’altro a partire dall’appartenenza a una comune nazione può fornire questa motivazione97. Quale potrebbe essere la
posizione kantiana rispetto a questa affermazione di psicologia morale? È necessario, secondo Kant, condividere l’identità nazionale con qualcuno per trovare la motivazione necessaria a fare proprie le obbligazioni di cittadinanza? Pauline Kleingeld analizza il ruolo che i sentimenti hanno nel cosmopolitismo morale kantiano98. La psicologia
morale kantiana è fondata su una concezione adattabile dei sentimenti umani. In virtù della loro adattabilità, non c’è bisogno di sentimenti precedenti che si collochino a monte delle nostre obbligazioni. Kleingeld cita la Metafisica dei costumi, in cui Kant scrive: «Beneficiare è un dovere. Colui che vi si esercita sovente e vede coronato di successo il suo proposito benefico, può finire con l’amare realmente quegli al quale ha
96 D. MILLER, On Nationality, pp. 65, 70 [corsivo e traduzione miei].
97 Come scrive Miller, non si tratta affatto di dire che non tutti hanno la forza morale necessaria per assumere su di sé obbligazioni derivate da principi universalistici. Invece, «a more appealing view looks for reasons holding for every agent for not applying universalist criteria directly to one’s choice of action. A position of this kind requires that whatever has basic ethical value can in general only be created as a by-product of activities aimed overtly in a different direction. Philip Pettit, for example, has presented such a consequentialist case for acknowledging various specific loyalties» (D. MILLER, The Ethical Significance of Nationality, p. 660).
98 L’azione morale è realmente tale quando disinteressata, e non fondata su qualcos’altro che non sia il rispetto della legge morale. Si veda il Detto comune, laddove Kant si confronta con Christian Garve, esponente della Popularphilosophie. Garve riteneva che collegare alla legge morale un principio materiale ci motivasse ad agire moralmente (TuP, AA VIII 278-279, trad. it. cit. p. 95). Kant,
diversamente, «pensa che un’azione possa dirsi libera, e quindi essere valutata nel suo merito o nella sua colpa, solo se si assume almeno come possibile seguire disinteressatamente la legge della ragione, in quanto principio formale» (M. C. PIEVATOLO (a cura di), Sette scritti politici liberi, pp. 128-129). Quindi, i
sentimenti non fondano il dovere, ma lo sostengono nella misura in cui lo rendono semplicemente più facile. Diversamente, si giungerebbe a una morale eteronoma, contro cui Kant argomenta.
fatto del bene. Quando dunque si dice: Tu devi amare il tuo prossimo come te stesso, questo non significa già: tu devi amarlo immediatamente (dapprima) e per mezzo di questo amore (dopo) beneficiarlo, ma significa invece: fa del bene al tuo prossimo, e questa beneficenza determinerà in te la filantropia (in quanto abitudine dell’inclinazione alla beneficenza in generale)»99. Non serve avere un attaccamento precedente verso gli
altri – attaccamento che può essere il senso di appartenenza a una stessa comunità nazionale – per fare ciò che ci viene chiesto moralmente. Questo significa che i sentimenti intervengono nella agency morale in un senso diverso da quanto prevede Miller: non serve avere un precedente senso di appartenenza a una comunità nazionale (un sentimento che mi può motivare), ma l’azione morale stessa produce il sentimento che ci rende più facile fare il nostro dovere. Possiamo trovare il senso delle nostre obbligazioni verso gli altri in un qualsiasi gruppo di esseri umani, possiamo darci qualsiasi focus su cui coltivare le nostre capacità morali100, purché ci diamo un focus.
Come scrive Pauline Kleingeld: «I sentimenti umani sono flessibili in questo senso, […] possono cambiare per divenire più congruenti con le richieste della morale»101. Dato
99 MdS, AA VI 402, trad. it. cit. p. 254.
100 Questo aspetto chiarisce ancora meglio la differenza tra antropologia kantiana e comunitarista. Nel capitolo precedente avevamo scritto come fosse necessario un focus, e quindi un qualche tipo di società, gruppo di persone, su cui concentrare il proprio sforzo morale, per non cadere nell’impassibilità del
Weltliebhaber. Adesso pare ancora più chiaro come questo focus non richiami altro da se stesso. Non è
cioè necessario che questo focus sia specificato – non deve essere la comunità in cui sono socializzato, nè la mia nazione – dato che i sentimenti, che rendono più facile agli esseri umani fare il proprio dovere, sono adattabili.
101 P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. p. 167 [trad. mia]. Da questo, secondo Kleingeld,
deriva il «dovere indiretto che abbiamo di coltivare in noi i sentimenti simpatetici naturali» (MdS, AA VI 457, trad. it. cit. p. 327). Secondo Kleingeld: «Kant’s reasoning here is that we have a moral duty to sympathize with others; that we also have a natural capacity to do so; and that duty requires that we expose ourselves to the kind of circumstances that trigger our natural compassionate feelings, in order to provide additional support for our moral disposition» (Ibidem, p. 167). Se i sentimenti non fossero
questo presupposto psicologico kantiano (la flessibilità dei sentimenti), si può quindi pensare che possa sorgere l’amore per il proprio stato anche senza un precedente
Vaterlandsliebe. Per questo le obbligazioni di cittadinanza possono essere considerate a
prescindere dalle nazioni102. Sia considerate nella complessiva filosofia kantiana – come
un elemento empirico che non è in grado di fondare un ordine secondo ragione – sia considerate come intervenenti nella psicologia degli esseri umani, le nazioni non sembrano avere in definitiva un significato fondante per la morale kantiana; di conseguenza, Kant non fa scaturire nessun dovere verso i propri connazionali in quanto tali103.
adattabili, ciò non avrebbe senso.
102 La teoria democratica di Habermas si sviluppa a partire da tale convinzione.
103 Il patriottismo nazionalista non è doveroso, ma non è neppure vietato finché in accordo con la morale (si veda la parte sui “Permissible Patriotisms” in P. KLEINGELD, Kantian Patriotism). Abbiamo visto infatti
nel capitolo precedente come l’argomento kantiano che giustifica il Vaterlandsliebe come dovere sia inconsistente. Come sostiene Kleingeld, infatti, non a caso nella Metafisica dei Costumi Kant non accenna alla necessità di un focus nazionalista, e mostra invece l’adattabilità dei nostri sentimenti. Gli altri tentativi di fondare razionalmente doveri speciali verso i propri connazionali in quanto tali cadono. Non si può ad esempio fondare questo dovere in senso comunitario, ovvero perché l’appartenenza ad una nazione è necessaria per una identità piena. Questo tentativo non può essere fatto rispetto alle nazioni perché non si può provare che l’appartenenza a una nazione abbia questa importanza per ognuno di noi. È invece un fattore soggettivo che non può fondare un dovere. Questa è anche una possibile critica cui si espone l’obbligazione di appartenere (il patriottismo verso la propria comunità come dovere) teorizzata da Charles Taylor. Si veda P. KLEINGELD, Kantian Patriotism, p. 335-338.