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Antropologia pragmatica: la vocazione degli esseri umani

II. Antropologia in Kant

1. Antropologia pragmatica: la vocazione degli esseri umani

Nel capitolo precedente si è cercato di connettere un preciso modello di cittadinanza e di appartenenza a un’immagine della natura umana in grado di giustificarla. Quello che verrà fatto in questo capitolo è cercare di individuare l’immagine che Kant ha della natura umana, per poter poi vedere in che modo gli esseri umani possano appartenere a uno stato. Nel caso del pensiero kantiano, tuttavia, l’obiettivo non può essere quello di

derivare cittadinanza e appartenenza da dati antropologici. Infatti, la filosofia morale

kantiana è elaborata a priori, cioè a prescindere da considerazioni empiriche di sorta, compresa la nostra esperienza degli esseri umani. La dottrina morale kantiana è elaborata per esseri razionali finiti in genere1. Come esseri umani, siamo una specie di

esseri razionali finiti; quindi, nella nostra differenziazione specifica all’interno del genere, abbiamo bisogno del dato antropologico, ovvero della nostra specifica finitudine. Ciò che accomuna tutti gli esseri razionali finiti – esseri umani e ipotetici esseri non umani – è il tipo di arbitrio che essi posseggono. Kant descrive l’arbitrio degli esseri razionali finiti come arbitrium liberum sed sensitivum, ovvero libero ma esposto a impulsi sensibili. Quindi «questa filosofia morale pura non può essere

1 Questa precisazione ha bisogno di riferirsi a una tassonomia. Kant divide gli esseri razionali da quelli non razionali (come gli animali). All’interno degli esseri razionali, gli esseri si dividono in finiti e non finiti. Per noi, come esseri razionali finiti, ha senso la moralità; infatti «la volontà di un essere razionale non finito non sarebbe “esposta a limitazioni e ostacoli soggettivi”; per una volontà di questo tipo niente potrebbe contare come imperativo o obbligazione, e la moralità sarebbe ridondante» (O. O’NEILL, Constructions of Reason, cit. p. 71).

derivata, ma solo applicata al caso umano»2. La posizione e il senso che pertanto

assumono gli studi antropologici kantiani nel suo pensiero complessivo è un tema di discussione difficile, in cui troviamo differenti posizioni3. Gli studi antropologici

kantiani sono: - fuori dal sistema filosofico kantiano4, - non costituiscono una psicologia

razionale5, - non costituiscono uno studio meramente empirico, un’osservazione delle

azioni e reazioni degli esseri umani, e delle loro differenze empiriche, dal momento che contengono elementi della sua filosofia critica e della sua filosofia della storia. L’impresa antropologica a cui Kant si dedica è ibrida6. Per individuarne la specificità

non è neppure sufficiente la denominazione ‘pragmatica’ che Kant sceglie per l’opera pubblicata nel 1798 e di cui troviamo indicazioni nelle lezioni a partire da l773. Concentrandoci su certe interpretazioni del termine ‘pragmatico’7 rischiamo di

ignorarne importanti aspetti, come il fatto che coesista con il criticismo kantiano e che culmini nella filosofia della storia kantiana. Rischiamo di leggere gli studi antropologici kantiani come una Klugheitslehre, una dottrina della prudenza che serve solamente a

2 Ibidem [corsivo e traduzione miei].

3 Sono molti gli scritti kantiani di antropologia su cui confrontarsi: non solo l’Antropologia pragmatica, opera edita nel 1798, ma anche le lezioni, di cui esistono diversi manoscritti, che Kant ha tenuto dal 1772/73 al 1795/96. Si veda a proposito: R. BRANDT, Ausgewählte Probleme der Kantischen

Anthropologie, in HANS-JÜRGEN SCHINGS (hrsg. von), Der ganze Mesch: Anthropologie und Literatur im 18. Jahrhundert ; DFG-Symposium 1992, Stuttgart – Weimar, Metzler, 1994, pp. 14-32.

4 R. BRANDT, Kritischer Kommentar zu Kants Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798), Hamburg,

Felix Meiner Verlag, 1999, p. 50.

5 La possibilità per Kant di indagare l’anima in senso metafisico viene esclusa nella Critica della ragion

pura. Si veda R. BRANDT, Ausgewählte Probleme der Kantischen Anthropologie, p. 16.

6 O. MARQUARD, Schwierigkeiten mit der Geschichtsphilosophie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag,

1982, pp. 126-129.

7 Per vedere i significati che la parola ‘pragmatico’ può assumere in questo contesto, si veda A. W. WOOD, Kant and the Problem of Human Nature, in B. JACOBS, P. KAIN (ed. by), Essays on Kant’s Anthropology, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, pp. 38-59.

cavarsela nel mondo, a saper avere a che fare con gli altri. Qual è il senso dell’impresa antropologica kantiana? Gli studi antropologici assumono coerenza nel pensiero kantiano se, per dirigerli e dar loro significato, viene data una posizione di guida alla filosofia della storia. Secondo quest’interpretazione l’aggettivo ‘pragmatica’ viene a significare prima di tutto non fisiologica. L’idea guida dell’Antropologia è in ciò che Kant scrive nella Prefazione all’opera: «La conoscenza fisiologica dell’uomo mira a determinare quel che la natura fa dell’uomo, la pragmatica mira invece a determinar quello che l’uomo come essere libero fa oppure può e deve fare di se stesso»8. Reinhard

Brandt propone di leggere l’Antropologia pragmatica su tre livelli: l’attualità, la possibilità e la necessità dell’azione umana9. Al primo livello si trova ciò che l’uomo fa,

ovvero una fenomenologia delle sue azioni e reazioni, propriamente il tema che era della psicologia empirica10. Al secondo livello si trova la svolta propriamente

8 Anthr., AA VII 119, trad. it. cit. p. 3 [corsivi miei].

9 R. BRANDT, The Guiding Idea of Kant’s Anthropology and the Vocation of the Human Being, in B.

JACOBS, P. KAIN (ed. by), op.cit., pp. 85-104.

10 Al tempo in cui scrive Kant, gli esseri umani venivano studiati secondo tre differenti approcci o discipline. In primo luogo l’essere umano veniva studiato come un tipo di animale sulla terra. In questo primo caso l’uomo è considerato nelle sue proprietà fisiche e nei suoi comportamenti. Questa prima disciplina, cui appartiene la differenziazione naturalistica degli esseri umani sulla base delle razze, è la

geografia fisica. In secondo luogo si possono studiare gli esseri umani come li studia la psicologia empirica, dall’interno, nelle loro azioni e reazioni. Gli autori di riferimento di questa disciplina erano

Christian Wolff e Alexander Gottlieb Baumgarten, che l’avevano inclusa nella metafisica (R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 49). Le lezioni di antropologia di Kant erano appunto concepite come

commentario della terza parte della Metaphysica di Baumgarten, sebbene questo libro fosse solo un riferimento e le lezioni si svolgessero in maniera autonoma (W. STARK, Historical Notes and

Interpretative Questions about Kant’s Lectures on Anthropology, in B. JACOBS, P. KAIN (ed. by), op.cit., p.

16). Questo studio dell’uomo è, secondo Kant, sottoposto a una serie di difficoltà e considerato insufficiente. Inoltre, la psicologia empirica rischia di collassare sull’antropologia fisiologica. Questa disciplina, che andava affermandosi in quel tempo, cercava di studiare le azioni dell’uomo a partire dal loro substrato fisiologico, di portare tutte le percezioni sotto leggi naturali: così facendo si riduceva a una

‘pragmatica’. Kant punta a fornire una conoscenza pragmatica e non più scolastica: mentre la conoscenza teoretica o scolastica è la conoscenza del mondo ‘per la scuola’, l’acquisizione delle abilità necessarie per tutti gli scopi che possiamo avere; la conoscenza pragmatica è la conoscenza del mondo ‘per il mondo’, come «incarnazione di tutte le relazioni, in cui l’uomo può trovarsi, dove può esercitare le sue convinzioni e abilità»11. Il mondo è il contesto in cui l’uomo si trova ad agire. La conoscenza degli

esseri umani che Kant ci fornisce nell’Antropologia pragmatica è la base non per conoscere il mondo, ma per avere l’uso del mondo12, non per capire lo spettacolo che si

sta guardando, ma per recitarvi. Ci sono diversi motivi per cui si può voler avere accesso a una conoscenza di come il mondo funziona, di quel che gli esseri umani fanno. Lo si può volere meramente per realizzare tutti i nostri scopi, farne un uso prudenziale. La conoscenza dell’Antropologia pragmatica non è primariamente una conoscenza di questo tipo, per un uso privato o qualsiasi del mondo. Come scrive Kant annunciando le sue lezioni di antropologia: «Questa conoscenza del mondo [Weltkenntniß] è quella che serve a procurare una conoscenza pragmatica di tutte le altre conoscenze e abilità acquisite, così che divengano utilizzabili non solo per la scuola, ma per la vita, e attraverso cui [wodurch] l’allievo viene introdotto nel teatro della propria

vocazione [Bestimmung], ovvero nel mondo. Qui ha di fronte a sé un doppio campo

[zwiefaches Feld], per cui egli ha bisogno di un esercizio preparatorio [vorläufigen

spiegazione della memoria, della mente, a partire dallo studio fisico del cervello (R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. pp. 59-61). La svolta pragmatica consente di salvare la psicologia, le osservazioni

sull’uomo proprie della psicologia empirica. Kant parte da queste, connettendole però allo studio dell’uomo come creatura libera, agganciandole cioè al suo sistema filosofico, al tema del destino del genere umano così come considerato nella filosofia della storia.

11 Friedl., p. 469.

Abriß], per poter ordinare tutte le future esperienze secondo regole: la natura e l’uomo.

Le loro parti devono essere considerate cosmologicamente [kosmologisch], ovvero non secondo ciò che i loro oggetti contengono di strano [Merkwürdiges] (fisica e dottrina empirica dell’anima), ma secondo cosa possiamo dire della loro relazione al tutto, nel quale esistono e nel quale ognuno prende il suo proprio posto [sondern was ihr

Verhältniß im Ganzen, worin sie stehen und darin ein jeder selbst seine Stelle einnimmt, uns anzumerken giebt]. Il primo insegnamento lo chiamo ‘geografia fisica’ e lo tengo in

estate, il secondo ‘antropologia’, che tengo in inverno»13. Quindi, la conoscenza

antropologica che Kant vuole offrire deve servire ad agire nel mondo nel senso primariamente di comprendere la propria relazione al tutto, imparare a prendere il proprio posto «nel teatro della propria vocazione». Come scrive Brandt: «Con questo sviluppo, la fase in cui le curiosità psicologiche si suppone catturino l’attenzione degli studenti è superata; invece, l’antropologia si richiama ai loro interessi come futuri cittadini del mondo [future acting citizens of the world]»14. Il teatro della nostra

vocazione è «l’idea dell’umanità come un’unità storico-sistematica»15. Attraverso questo

passaggio siamo traghettati nel terzo livello di lettura dell’Antropologia pragmatica. Il terzo livello concerne la necessità, ovvero ciò che l’uomo deve fare e ciò cui l’uomo è destinato, la sua vocazione o Bestimmung. L’impresa antropologica kantiana è inseparabile dalla sua filosofia della storia; è quindi inevitabile leggerla in combinato con essa16. Questo può essere meglio compreso se si richiama un punto dello scritto Per

13 Kant (VRM, AA II 443, corsivo e traduzione miei) citato in R. BRANDT, The Guiding Idea..., cit. p. 91.

14 Ibidem. 15 Ibidem, p. 92.

16 I testi che considero qui sono: Idea per una storia universale da un punto di vista cosmopolitico (1984), la terza parte di Sul detto comune: «questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la

la pace perpetua, in cui Kant si confronta con i «politici moralizzanti» [moralisierende Politikern], coloro che pongono la prudenza politica prima dei vincoli morali «con la

scusa di una natura umana incapace del bene». Kant sostiene che i politici moralizzanti «si gloriano di conoscere esseri umani (cosa che è certo da aspettarsi, perché hanno a che fare con molti), senza però conoscere l’essere umano e ciò che si può fare di lui (per la qual cosa si esige una superiore prospettiva di osservazione antropologica)»17.

L’Antropologia pragmatica fornisce quella prospettiva superiore di cui si parla nella

Pace perpetua18.