II. Antropologia in Kant
4. Il carattere della specie
4.2 Esseri umani e esseri razionali in genere
Confrontare l’essere umano con gli animali non serve a individuare lo specifico dato antropologico della ragione umana, essendo gli animali esseri non razionali. Nell’Idea Kant definisce la creazione di «una società civile che amministri universalmente il diritto»79 come il problema «più grande» e «allo stesso tempo il più difficile» per gli
esseri umani. Perché? Sarebbe difficile capire l’importanza e la problematicità del compito se dimenticassimo di confrontare gli esseri umani con l’idea di esseri razionali in genere possibili sulla terra. Come sostiene Kant: «In tutto questo la caratteristica della specie umana paragonabile con l’idea di esseri razionali in genere possibili sulla terra è questa: che la natura ha posto e voluto nella specie umana il germe della divisione [Keim der Zwietracht], mentre la sua ragione ne trae l’unione [Eintracht] o almeno il continuo progresso verso di essa»80. La nostra ragione è gravata dal germe della
divisione: questo rappresenta la differenza specifica rispetto all’idea di esseri razionali in genere possibili sulla terra. Il dato antropologico che cerchiamo, e che Kant chiama germe della divisione, è spiegato ne La religione entro i limiti della sola ragione come «disposizione all’umanità». Come scrive Kant: «Le disposizioni all’umanità possono essere collocate sotto il titolo generale di amore di sé, sempre fisico, ma tuttavia
comparato (per cui si richiede la ragione); in quanto ci si giudica felici o infelici solo in
confronto con gli altri. Da questo amore di sé deriva l’inclinazione dell’uomo ad
78 Ibidem, AA VII 329, trad. it. cit. p. 224 [corsivi miei]. 79 Ibidem, AA VIII 22, trad. it. cit. p. 31.
acquistarsi un valore nell’opinione altrui; […] Su questa inclinazione e cioè sulla gelosia e sulla rivalità, possono innestarsi i vizi più grandi […] I vizi che si innestano su
questa inclinazione possono essere chiamati anche vizi della cultura [...]»81. Kant scrive
che l’amore di sé [Selbstliebe] procede in maniera necessariamente comparata: abbiamo bisogno degli altri, del confronto con gli altri. Siamo per natura spinti ad acquistarci il valore dell’uguaglianza nell’opinione altrui, ma, per timore che gli altri vogliano avere invece una supremazia su di noi, scegliamo piuttosto la supremazia sugli altri, come mezzo precauzionale. L’antagonismo, la divisione, è una dinamica che attiviamo in via precauzionale e implica il ricavarsi un posto speciale nel mondo, agire non seguendo la legge morale, ma mettendo davanti ad essa i propri interessi82: ovvero, il male radicale
si attiva. Questo antagonismo è chiamato nella quarta tesi dell’Idea per una storia
universale in un intento cosmopolitico «insocievole socievolezza», ovvero «la loro
tendenza a entrare in società che però è connessa con una resistenza pervasiva la quale minaccia costantemente di dividere questa società». L’uomo resiste alla società, è «mosso dall’ambizione, dalla sete di potere o dall’avidità di procurarsi una posizione fra i suoi consoci, che non può patire, ma da cui non può neppure separarsi»83. Nella
sua forma più estrema – ma anche nella sua struttura – questa dinamica antagonistica dà luogo alla guerra. L’antagonismo tra gli esseri umani ha uno scopo84: serve a risvegliare
tutte le nostre forze, portarci a superare la tendenza alla pigrizia e farci sviluppare tutte le nostre disposizioni naturali. Possiamo pensare che gli esseri razionali finiti non umani possibili sulla terra procedano nella loro perfezione, nella loro Bestimmung,
81 Rel., AA VI 27, trad. it. cit. p. 26. 82 P. J. ROSSI, op. cit., p. 79.
83 IaG, AA VIII 20, trad. it. cit. p. 30.
cooperando, senza aver bisogno di resistere alla società. Gli esseri razionali umani invece procedono attraverso il loro naturale antagonismo85. La natura ha dato un
«allestimento provvisorio» del mondo: ha previsto che gli esseri umani potessero popolare tutta la terra, vivere ovunque; tramite la guerra li ha spinti a popolare tutta la terra86; sempre attraverso la guerra li ha necessitati a entrare in relazione tra loro,
sviluppando rapporti più o meno legali87. Il male radicale attivatosi socialmente,
all’interno della dinamica delle nostre interazioni caratterizzate da insocievole socievolezza, dà luogo alla guerra88. Le stesse considerazioni ritorneranno nella Pace
perpetua. Si può pensare che questa dinamica provveda un allestimento provvisorio, che
attivi le forze dell’umanità89 e intervenga su questo il compito, storico e sociale, che gli
85 «Senza quelle caratteristiche di insocievolezza, in sé certo non amabili, da cui scaturisce la resistenza che ciascuno deve necessariamente trovare nelle sue pretese egoistiche, tutti i talenti rimarrebbero eternamente celati nei loro germi, in un’arcadica vita da pastori di perfetta concordia, contentezza e reciproco amore: gli esseri umani, docili come le pecore che fanno pascolare, procurerebbero alla loro esistenza un valore a malapena maggiore di quanto ne abbia questo loro bestiame domestico; non riempirebbero il vuoto della creazione riguardo al loro scopo, in quanto natura razionale. Sia dunque reso grazie alla natura per l’intrattabilità, per la vanità che rivaleggia invidiosa, per la brama incontentabile di avere o anche di potere! Senza di esse, tutte le eccellenti disposizioni naturali dell’umanità
sonnecchierebbero in eterno senza svilupparsi» (IaG, AA VIII 21, trad. it. cit. p. 30-31).
86 Le inclinazioni antisociali dell’uomo portano alla guerra, e portano la stessa terra a popolarsi. Secondo Kant: «I desideri degli uomini, la gelosia, la diffidenza, la violenza, la tendenza all’ostilità verso chi non è parte della famiglia, tutte queste qualità hanno una ragione, e una relazione rispetto a uno scopo. Lo scopo di questa previsione [Vorsicht] è: Dio vuole che gli esseri umani popolino la terra intera […]. Se le persone fossero concilianti [verträglich], vivrebbero tutti in un unico luogo, e nessuno si separerebbe dalla società» (Friedl., p. 679, trad. mia).
87 ZeF, AA VIII 363, trad. it. cit. p. 171. 88 P. J. ROSSI, op. cit., pp. 78-85.
89 «Kant […] sees the “unsocial sociability” of human beings as driving them toward shared forms of life and cooperation, which they can achieve only by communication. The “cunning of nature” provides only this minimum: “just enough for the most pressing needs of the beginnings of existence”. (In this, nature is wise, although we experience her as stepmotherly). Only when sufficient capacities to reason have developed to link mankind in a “pathologically enforced social union” can further advances become a
esseri umani hanno di fronte a sé per realizzare la loro Bestimmung (abbiamo visto nel confronto con gli animali che questo è qualcosa che devono fare da sé, come genere, attraverso la propria ragione). Come scrive A. Wood: «Ciò che distingue gli esseri umani sono le specifiche condizioni sotto le quali la loro facoltà razionale si è
sviluppata, e, alla luce di queste condizioni, lo specifico compito storico che la loro
ragione prevede per loro»90.
Questo è il problema puramente antropologico, a partire dal quale bisogna applicare la filosofia morale elaborata a priori. L’arbitrio umano è libero ma esposto a impulsi sensibili che – questa la natura umana – quando gli esseri umani si trovano in società sono portati a far prevalere sulla legge morale in funzione preventiva, dando luogo a una dinamica sociale di insocievole socievolezza (antagonismo, divisione). L’esercizio della nostra libertà umana è corredato da questa tendenza a dominare gli altri. Il diritto coercitivo permette la coesistenza di esseri dotati di questo tipo di arbitrio – è un problema umano e difficile91 da risolvere. Allo stesso tempo, la creazione di «una società
civile che amministri universalmente il diritto»92 è un problema importante da risolvere,
perché la sua mancanza mette a repentaglio la convivenza tra esseri dotati del tipo di
historical undertaking based on the use of capacities already evolved» (O. O’NEILL, Constructions of Reason, cit. pp. 39-40).
90 A. A. WOOD, op. cit., p. 54 [trad. mia].
91 Infatti, «sebbene come creatura razionale desideri una legge che ponga limiti alla libertà di tutti, la sua inclinazione animale egoistica però lo induce a esimersene quando è possibile». Per questo, secondo Kant, l’essere umano «ha bisogno di un signore, che infranga la sua volontà particolare e lo necessiti a obbedire a una volontà universalmente valida, in cui ciascuno può essere libero», ma questo signore deve «tuttavia essere un uomo» e «da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo non si può costruire nulla di completamente diritto» (IaG, AA VIII 23, trad. it. cit. p. 32). Si vedrà poi come la repubblica rappresenterà per Kant la soluzione a questo problema difficile.
arbitrio che hanno gli umani. Le loro inclinazioni «fanno sì che non possano esistere a lungo l’uno accanto all’altro in selvaggia libertà»93 e non riescano a portare le proprie
disposizioni naturali dalla potenza all’atto, ovvero a realizzare la loro Bestimmung94.