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Il carattere dei popoli

III. Cosmopolitismo, popoli, stati

2. Il carattere dei popoli

Cosa sono i popoli che coesistono nella repubblica di repubbliche? Nella seconda parte dell’Antropologia pragmatica, dedicata alla ‘Caratteristica antropologica’, sono analizzate le differenze tra gli esseri umani secondo diverse direttrici: il carattere degli individui (quello che chiamiamo genericamente “il nostro carattere”), il carattere del

autosufficiente: così come il sistema della natura costituisce un ordine completo di relazioni causali, funzionalmente differenziate tra tipi di fenomeni, così il sistema di diritto forma un ordine completo di relazioni funzionalmente differenziate governate dal diritto tra tipi di agenti morali. Così come la differenziazione funzionale assicura la autosufficienza sistemica nell’ordine della natura, così fa nell’ordine del diritto» (p. 476). Flikschuh sostiene che la base per non applicare l’analogia interna sia il fatto che gli stati hanno personalità morale in quanto dotati di una volontà (pubblica) sovrana – sono ovvero agenti morali capaci di far valere la loro volontà. Costringerli significherebbe violarli nella loro specifica natura morale (pp. 479-480). Lo stato stesso deve far applicare le sue obbligazioni

internazionali. Secondo Flikschuh: «Questo punto è di fondamentale importanza: la coercizione gioca un ruolo cruciale ma essenzialmente limitato all’interno del sistema kantiano di diritto. Il suo luogo specifico è l’autorità degli stati. Né le persone private a livello interno, né un’autorità sovra-nazionale al livello internazionale possono rivendicare legittimamente autorità coercitiva. […] A livello interno, la sovranità giuridica assicura l’unità della volontà giuridica, risolvendo le dispute sui diritti e rendendo possibile una azione pubblica unita. A livello internazionale, decentralizza il potere coercitivo, contrastando le tendenze verso la monopolizzazione attraverso il principio dell’uguaglianza morale tra gli stati sovrani» (pp. 488- 489). Questo deve valere almeno fin quando permangono forti asimmetrie di potere tra gli stati: «nel contesto internazionale attuale, caratterizzato da forti ineguaglianze nelle relazioni tra gli stati, invocare la riduzione della sovranità statale può essere prematuro» (K. FLIKSCHUH, Kant’s Sovereignty Dilemma…, cit.

p. 493, trad. mia). Si veda anche cosa scrive Pauline Kleingeld: «If the member states are required to integrate the principles of cosmopolitan right into their own constitutions, this would be an important step toward the realization of such rights. It might seem as if this would subsume cosmopolitan right under international right […]. Again, however, this problem can be solved by reference to Kant’s republicanism. For when states are republican and these republics join a global federation for the purpose of promoting peace, as Kant’s normative ideal has it, then cosmopolitan right can be co-legislated by republics and individuals (namely, by individuals indirectly, in their capacity as citizens of republics). In the ideal constitutional federation with coercive powers, hospitality rights can be secured if the republican peoples integrate these within their own legal systems and the international federation enforces states’ respect for cosmopolitan rights» (P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. pp. 90-91).

sesso, del popolo, della razza, e – come visto nello scorso capitolo – del genere umano. Il popolo è una delle direttrici che differenziano gli esseri umani gli uni dagli altri, secondo l’appartenenza al popolo x o al popolo y. Cosa è un popolo e in che cosa consiste la differenza tra popoli? Nell’Antropologia pragmatica Kant scrive: «Col nome di popolo (populus) si intende la moltitudine degli uomini raccolta in un paese [Landstrich], in quanto essa costituisce un tutto»50. Il popolo è per Kant il popolo di uno

stato, il popolo che è alla base di uno stato. In questo senso, Kant usa indifferentemente i termini popolo e stato. Infatti, poco dopo nel testo il popolo viene contrapposto alla plebe: «La parte che si sottrae alle sue leggi (cioè la moltitudine indisciplinata del popolo) si dice plebe (vulgus)»51. Tuttavia, come si definisce il popolo di uno stato?

Quali sono i suoi confini empirici? La totalità che identifica un popolo rispetto a un altro dovrebbe essere il suo carattere. Per individuarla, Kant applica il modello che aveva già concepito per studiare il carattere degli individui nella loro diversità, ovvero distingue tra disposizione naturale [Naturanlage], temperamento o modo di sentire [Sinnesart] e modo di pensare [Denkungsart] o carattere morale o in senso proprio. La disposizione naturale e il modo di sentire sono «il segno distintivo dell’uomo come essere sensibile o di natura», avente cioè un carattere empirico; il carattere morale o modo di pensare corrisponde al carattere che l’uomo si forgia di per sé stesso, «il segno dell’uomo come essere razionale, provvisto di libertà»52, avente cioè un carattere

intelligibile53. In questo contesto abbiamo anche la definizione di carattere morale per

50 Anthr., AA VII 311, trad. it. cit. p. 205. 51 Ibidem.

52 Ibidem, AA VII 285, trad. it. cit. p. 177.

53 Possiamo avere un carattere morale perché abbiamo un carattere intelligibile (R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 486).

Kant, per cui «avere un carattere significa possedere quella proprietà del volere, secondo la quale il soggetto si determina da sé in base a certi princìpi pratici, che egli si è prescritto in modo inalterabile con la sua propria ragione. Se anche tali princìpi possono essere talvolta falsi e manchevoli, tuttavia il lato formale del volere in genere, di agire secondo princìpi fissi (e non come moscerini che volano or di qua ora di là) ha in sé qualcosa di pregevole e di ammirevole; ed è allora anche una rarità»54. Il modello

creato per studiare il carattere della persona, basato su disposizione naturale, modo di sentire e modo di pensare, si applica per intero solamente agli individui e al genere umano: per quanto riguarda il carattere dei popoli, dobbiamo basarci solo sulla disposizione naturale e sulla Sinnesart, il modo di sentire55. Dalla disposizione naturale

e dal modo di sentire dovrebbe emergere il carattere del popolo come totalità, distinguibile rispetto a un altro popolo. Nella trattazione del carattere dei popoli la disposizione naturale viene chiamata «carattere innato» o «carattere naturale innato» [angebornen, natürlichen Charakter] e il modo di sentire carattere «acquisito e artificiale» [erworbene und künstliche]56 o «artificioso» [verkünstelten]57. Il carattere

naturale innato «dovrebbe derivarsi dal carattere innato della razza originaria, ma per ciò mancano i documenti»58. La nostra conoscenza si arresta di fronte alla conoscenza

del carattere innato di un popolo, perché viene demandata alla conoscenza della razza. Questo problema viene chiaramente enunciato nella Critica della ragion pura: «Quando io vedo uomini intelligenti disputare tra loro riguardo alle distinzioni caratteristiche

54 Anthr., AA VII 292, trad. it. cit. p. 184. 55 R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 468.

56 Anthr., AA VII 312, trad. it. cit. p. 206. 57 Ibidem, AA VII 319, trad. it. cit. p. 214. 58 Ibidem, AA VII 312, trad. it. cit. p. 206.

degli uomini, degli animali o delle piante, anzi, persino dei corpi del regno minerale, e quando io vedo gli uni, per esempio, ammettere particolari caratteri nazionali, fondati

sulla discendenza [Abstammung], o anche distinzioni precise ed ereditarie tra le

famiglie, le razze, ecc., mentre gli altri rivolgono invece la loro attenzione al fatto che, a questo riguardo la natura ha dovunque disposto le cose identicamente, e che ogni distinzione si fonda soltanto su contingenze esterne, in tal caso io non ho che da considerare la costituzione [Beschaffenheit] dell’oggetto, per comprendere che tale oggetto è nascosto troppo profondamente alla vista di entrambe le parti, perché queste possano parlare basandosi su di una vera comprensione della natura dell’oggetto»59.

Non possiamo sostenere che non esistano differenze tra i popoli, così come non possiamo dire che esistano, in quanto non possiamo conoscere i popoli nel loro carattere innato, come totalità in senso biologico. Inoltre, un popolo non è identificabile con una razza60, è una mescolanza di razze difficilmente tracciabile su cui intervengono

modificazioni delle istituzioni politiche che si possono difficilmente astrarre61. Infine,

l’evoluzione stessa del pensiero kantiano dal concetto di «razza» [Rasse] a quello di «varietà» [Varietäten] rende difficile l’individuazione di differenze naturali rilevanti tra i popoli62. Individuare il carattere dei popoli attraverso il loro carattere innato non è una

59 KrV, AA III 441, trad. it. cit. p. 677 [corsivi miei]. Citato in R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p.

448.

60 Secondo Kant esistono quattro razze (VRM, AA II 441, trad. it. cit. p. 119), ma per una sola razza ci sono molti popoli (S. SHELL, op. cit., p. 103).

61 Questo aspetto va di pari passo con quanto detto prima: il popolo è popolo di uno stato.

62 Cosa è la razza? Come sostiene Kant in Determinazione del concetto di razza umana nel 1785: «Il concetto di razza contiene dunque, in primo luogo, quello di un ceppo comune, e in secondo luogo, caratteri necessariamente ereditari, per cui i discendenti delle varie classi si distinguono reciprocamente» (BeR, AA VIII 99, trad. it. cit. 186). Kant sostiene la derivazione di tutte le razze da un ceppo originario [Stammgattung]. Il ceppo originario ha in sé i germi di tutte le razze, che restano dormienti o si attivano

strada percorribile. Di fatto, questo è evidente nell’elaborazione dello scritto tardo Per

la pace perpetua. Nel primo supplemento al trattato («Sulla garanzia della pace

perpetua»), Kant si occupa del ruolo della natura nella realizzazione della pace perpetua. La natura lavora come garante di ciò che noi dobbiamo fare, a ogni livello del diritto pubblico. Kant spiega il modo in cui la natura lavora contro l’istituzione di uno stato

in corrispondenza alle diverse zone della terra, dotate di diversi climi e condizioni. All’interno di ciò, la razza è costituita da quel dato biologico che trasmettiamo necessariamente alla prole. Il concetto di razza come totalità biologica sarebbe potente se da essa fosse possibile derivare differenze nelle disposizioni naturali delle persone. L’iniziale razzismo di Kant, per cui gli esseri umani si distinguono in razze e le razze si distinguono in quanto a differenze nelle capacità morali o tecniche (intellettive) lascia però nel tempo spazio alla prospettiva dell’irrilevanza del concetto di razza per le questioni morali e politiche. Si veda il carattere delle razze nell’Antropologia pragmatica. Kant scrive lì che la natura, mescolando le razze tra di loro, anziché andare nella direzione dell’assimilazione, verso un’unica razza e quindi verso una perdita di diversità nel mondo, va in direzione di una moltiplicazione di varietà: «La natura invece si è proposta di moltiplicare all’infinito le forme fisiche e spirituali in una medesima stirpe e anzi in una stessa famiglia. […] La natura possiede abbastanza risorse per non mandare al mondo, per mancanza di forme disponibili, un uomo che vi sia già stato» (Anthr., AA VII 320-321, trad. it. cit. p. 215). In entrambi i casi, comunque, sia che vi sia un’assimilazione (ovvero che si torni al ceppo originario, e dunque non vi sia nessuna differenza di razza), sia che il concetto di razza si perda per essere sostituito da infinite varietà biologiche non più tracciabili, questo ha una conseguenza fondamentale nel pensiero kantiano. Diviene cioè difficile, se non impossibile, attribuire alle persone un carattere fisso e definito innato derivatogli dalla razza. La conclusione naturale di questo discorso, che pure Kant non esplicita, sarebbe, secondo Pauline Kleingeld, la scomparsa del concetto stesso di razza. Questo va di pari passo con la

riformulazione delle razze come totalità biologiche: le differenze biologiche tra gli esseri umani secondo l’appartenenza a una razza non riguardano le disposizioni naturali, non si sostanziano in differenze morali o cognitive tra gli esseri umani. Il razzismo di Kant, ovvero il pensiero che ogni razza porti ai suoi ‘membri’ delle differenze nelle disposizioni naturali, sembra andare affievolendosi, riducendosi a una mera differenza nel colore della pelle, come dato biologico che trasmettiamo necessariamente alla prole e a cui non si può connettere altro (P. KLEINGELD, Kant’s Second Thoughts on Race, «The Philosophical

Quarterly», 57 (2007), n. 229, pp. 573-592; P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. pp. 92-123).

L’irrilevanza del concetto di razza in una prospettiva pratica nel pensiero finale di Kant sembra trovare spazio nella Prefazione dell’Antropologia pragmatica, laddove egli scrive: «Quindi anche la conoscenza delle razze umane, come prodotti appartenenti al gioco della natura, non appartiene ancora alla

egemonico o monarchia universale [Universalmonarchie], che elimina la diversità e dunque la pluralità dei popoli. Come scrive Pauline Kleingeld, nelle note preparatorie Kant aveva considerato la razza come uno degli aspetti che tengono separati tra di loro i popoli, mentre nel testo finale la razza non compare più63. Questo significa che la razza

non ha più un ruolo nella filosofia della storia kantiana, non è più di per sé una forza che separa i popoli. Invece, la natura «si serve di due mezzi per trattenere i popoli dal mescolarsi e per separarli, la varietà delle lingue e delle religioni, che certo porta con sé l’inclinazione all’odio reciproco e pretesti per la guerra, ma conduce pure, con la crescita della cultura e con l’approssimarsi graduale degli esseri umani a una maggiore armonia nei princípi, all’accordo in una pace che non è creata e garantita come quel dispotismo (sul cimitero della libertà) dall’indebolimento di tutte le forze, bensì dal loro equilibrio nella loro più viva competizione»64. Gli esseri umani tendono a dividersi per

lingua e per religione, quindi uno stato mondiale non riuscirebbe nell’omogeneizzazione. Qual è lo spazio delle lingue e delle religioni all’interno del modello che Kant usa per studiare il carattere del popolo nell’Antropologia pragmatica? Quello che possiamo affermare sul carattere dei popoli riposa sul carattere acquisito, l’insieme di «massime avite o diventate per il lungo uso natura e sulla natura innestate, le quali esprimono il modo di sentire di un popolo»65. È questo che Kant espone

partendo dal carattere dei francesi e degli inglesi, i quali, più degli altri popoli mostrano un carattere acquisito – una loro Cultur e una Zivilisierung – e determinato. Questo è il posto delle lingue e delle religioni: esse sono i pilastri del modo di sentire dei popoli.

4).

63 P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. p. 116.

64 ZeF, AA VIII 367, trad. it. cit. p. 176. 65 Anthr., AA VII 312, trad. it. cit. p. 206.

Nella trattazione del carattere del popolo francese, Kant scrive infatti che «le parole:

esprit (invece di bon sens), frivolité, galanterie, […] ecc. non si possono facilmente

tradurre in altra lingua, perché indicano piuttosto le proprietà del modo di sentire della nazione che le adopera, che non l’oggetto presente al pensiero»66. Concepire una

Sinnesart o modo di sentire dei popoli, che ne segna la diversità l’uno dall’altro, non

significa concepire un Volksgeist, affidando ad ogni popolo un’essenza e alla diversità tra i popoli un intrinseco valore67. Come scrive Reinhard Brandt: «Mentre Kant sin dalle

Considerazioni sul sentimento del bello e del sublime si interessa della psicologia dei

popoli [Völkerpsychologie], non ha alcun interesse per lo Zeitgeist storico, il «genius» o «spiritus saeculi». […] È d’altra parte caratteristico della filosofia del diritto kantiana che essa non si interessi del carattere nazionale [Nationalcharakter]; questa è concepita

66 Ibidem, AA VII 314, trad. it. cit. p. 208.

67 Infatti bisogna chiedersi che valore ha la diversità dei popoli nel pensiero kantiano. La diversità dei popoli non ha un valore in sé – come sosteneva ad esempio J. G. Herder, attribuendo a ogni popolo uno spirito e una missione da compiere sulla base della propria diversità per il compimento del destino ‘polifonico’ dell’umanità – ma, come sostiene Kleingeld, la difesa della diversità culturale è connessa alla libertà. Proteggere la diversità dei popoli – il pluralismo culturale – significa proteggerla in quanto incarna la libertà delle persone di vivere come vogliono, la difesa del loro modo di vivere. Come scrive Kleingeld: «People make different choices depending on their preference and the circumstances in which they find themselves. There are many different terms of cooperation on which people may jointly decide, and there are many different conceptions of happiness which people may seek to pursue, individually or collectively; hence their feeedom requires the freedom to live their lives in different ways. Of course, since it is defended in terms of (Kantian) freedom, any cultural pluralism must remain within the limits indicated by the principles of morality and right, principles which both uphold and circumscribe freedom. In other words, cosmopolitan egalitarianism trumps cultural pluralism if the two come into conflict» (P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. pp. 120-123). La diversità dei popoli non costituisce un valore

di per sé, ma ha valore quando il rispetto della libertà delle persone non può prescindere dal suo

riconoscimento. Flikschuh indaga questo aspetto del pensiero kantiano nel caso dell’incontro con popoli nomadi, che non conoscono l’istituto della proprietà privata (K. FLIKSCHUH, Kant’s Nomads: Encountering Strangers, «Con-Textos Kantianos. International Journal of Philosophy», 5 (2017), pp. 346-368).

in maniera universalistica, non comunitaria»68. Kant non considera gli stati come

incarnazioni dello spirito dei popoli69. La psicologia dei popoli deve adattarsi nella

condizione repubblicana70, e quindi pare difficile concepire i popoli ‘in maniera

comunitaria’. Come scrive Pauline Kleingeld: «Le caratteristiche nazionali, dal suo [di Kant, ndt] punto di vista, sono tendenze psicologiche con cui i membri di un popolo devono lottare nei loro sforzi di agire moralmente. Sono inclinazioni pre-morali […]. Non impediscono la personalità morale. Piuttosto, segnano le specifiche difficoltà che specifici gruppi di persone devono affrontare nella loro strada verso la virtù»71. Tuttavia,

68 R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 449 [trad. mia].

69 Nel modo, scrive Brandt, in cui fanno ad esempio Rousseau e Montesquieu: il primo per quanto riguarda il Progetto di costituzione per la Corsica, il secondo ne Lo spirito delle leggi. Le leggi e il governo di un paese sono espressione di un proprio carattere nazionale, determinate da questo (R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 449).

70 Si veda S. SHELL, ‘Nachschrift eines Freundes’: Kant on Language, Friendship and the Concept of a People, «Kantian Review», 15 (2010), n. 1, pp. 88-117. Qui Shell analizza l’ultimo scritto kantiano, il

poscritto al Dizionario lituano-tedesco e tedesco-lituano dell’amico Christian Gottlieb Mielcke. Kant elogia il carattere del popolo lituano: i lituani hanno un modo di sentire, una psicologia favorevole alla condizione repubblicana. Come scrive Shell: «In the Lithuanian case this natural civic aptitude is especially expressed, on Kant’s account, through language – including the ‘tone of equality’ with which they speak. That tone contrasts with the ‘newly uplifted noble tone’ among would-be philosophers of which Kant had recently complained. And it suggests that Lithuanians too (in common with the ancient Greeks) know something of the ‘art of reciprocal communication between the crudest and the most refined’ - that ‘attunement’ between refinement and originality that constitutes ‘the right standard’ for taste ‘as universal human sense’. […] The Lithuanian not only freely speaks his mind; he also consent to all that’s ‘fair’. As such, his tone recalls Kant’s earlier discussion, in the Critique of Pure Reason, of the attributes of critical reason itself: namely, a willingness to give every voice a veto, so long as it is willing to give fair audience to the rest. It also calls to mind the newly ‘uplifted tone’ of certain false philosophers and opponents of republican equality of which Kant had more recently complained» (Ibidem).

71 P. KLEINGELD, Kant and Cosmopolitanism, cit. p. 118 [trad. mia]. Teoricamente, una psicologia dei

popoli, per quanto possa risultare essenzialista, offensiva, non è strutturalmente come il razzismo che all’inizio del suo pensiero, privava persone della personalità morale sulla base della razza di

“appartenenza”. Come scrive Kleingeld: «Saying that certain peoples are prone to deception, for example, is quite different from saying, as he did in in the 1780s, that Native Americans are incapable of any

quello che viene esposto con riguardo al carattere dei popoli, queste «massime avite [angestammten] o diventate per il lungo uso natura e sulla natura innestate, le quali esprimono il modo di sentire di un popolo, non sono che tentativi destinati più a classificare empiricamente per il geografo le varietà di tutti i popoli in fatto di tendenze naturali, che non a classificarle per il filosofo in base a princìpi razionali»72. Di fatto,

non conosciamo il carattere innato dei popoli e il modo di sentire è innestato su di esso. Le massime del modo di sentire sono «soltanto una conseguenza»73 del carattere

naturale e sono la «caratteristica acquisita, artificiale (o artificiosa) delle nazioni»74.

Come scrive Susan Shell: «data la mancanza di evidenze rispetto al carattere innato della razza originaria da cui i popoli moderni discendono, e data la facilità con cui le