IV. Cittadinanza e appartenenza in Kant
2. Il contratto originario
Kant usa il termine «stato» in maniera interscambiabile rispetto a «società civile», ovvero diversamente dall’uso comune che facciamo dei due termini, quando invece distinguiamo tra «stato moderno» e «società civile». Come sottolinea Norberto Bobbio10, la distinzione tra stato e società civile è chiara nella teoria politica di
Machiavelli. Come scrive Bobbio: «Quando Machiavelli parla dello Stato intende parlare del massimo potere che si esercita sugli abitanti di un determinato territorio e dell’apparato di cui alcuni uomini o gruppi si servono per acquistarlo e conservarlo. Lo Stato così inteso non è lo Stato-società ma lo Stato-macchina»11. La società civile, o lo
Stato-società, è «il sistema sociale nel suo complesso», mentre lo stato o Stato-macchina è composto dalle «istituzioni politiche attraverso cui si esercita il dominio (Herrschaft nel senso weberiano)»12. La definizione dello stato moderno come luogo del dominio,
del massimo potere su di una società civile è strettamente connessa a un’architettura del
capitolo precedente, riferendoci alla repubblica di repubbliche, abbiamo considerato il diritto cosmopolitico nella sua definizione più ampia, per cui «esseri umani e stati, essendo in una relazione esterna di influenza reciproca sono da considerarsi come cittadini di uno stato universale degli esseri umani» (ZeF, AA VIII 349, trad. it. cit. p. 159).
9 Si veda a questo proposito N. DE FEDERICIS, Problemi e prospettive della cittadinanza oltre lo stato, in
M. AGLIETTI, C. CALABRÒ (a cura di), Cittadinanze nella storia dello Stato contemporaneo, Milano,
FrancoAngeli, 2017, pp. 151-165.
10 N. BOBBIO, Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, Torino, Einaudi, 1985.
11 Ibidem, p. 41. 12 Ibidem.
potere pubblico che Kant teoricamente rifiuta e a cui oppone un’alternativa, influenzata fortemente da Rousseau e da cui fa derivare la stessa repubblica13. Il contrattualismo,
per rappresentare la convivenza degli esseri umani in uno stato e l’istituzione dello stesso, si era servito di due diversi patti: un pactum societatis e un pactum subiectionis. Il primo patto è stipulato tra esseri umani che si uniscono in una società particolare: è «un insieme di uomini che collaborano fra di loro per raggiungere un fine comune»14,
senza che venga istituito un potere comune. Il secondo patto è invece «quello attraverso cui gli uomini riuniti in società danno il potere ad una determinata persona, o ad una determinata assemblea»15. Il pactum subiectionis è un patto di assoggettamento che
segna la nascita di un potere comune e il legame di assoggettamento tra Stato-società e Stato-macchina. Hobbes compatta i due patti in uno: il pactum unionis, per cui «nello stesso momento c’è il contratto di società, vale a dire il contratto intersoggettivo degli individui tra di loro, e anche il pactum subiectionis, nel senso che il contratto consiste proprio nel decidere insieme a chi attribuire questo potere superiore»16. Quello che
distingue i contrattualisti in rapporto all’assoggettamento è solo la modalità dello stesso, i diritti e doveri che hanno gli individui che hanno istituito il potere comune. Come scrive Claudia Langer: «Kant […] rigetta di principio il modello, secondo cui un legame statuale [Staatsverbindung] sia da fondare e legittimare su un contratto di assoggettamento [Unterwerfungsvertrag], in cui il potere e l’autorità del regnante venga trasferito dal popolo in origine sovrano»17. Questo non significa che Kant rifiuti
13 C. LANGER, Reform nach Prinzipien: Untersuchungen zur politischen Theorie Immanuel Kants,
Stuttgart, Klett-Cotta, 1986, pp. 55-64.
14 N. BOBBIO, Il pensiero politico di Hobbes, http://www.arifs.it/bobbmemo.htm.
15 Ibidem. 16 Ibidem.
l’istituzione di un potere comune, ma solo che non configuri nessun «contratto a favore di terzi»18. Il contratto originario kantiano – il pactum unionis civilis - ricalca invece il
contratto sociale di J. J. Rousseau. Rousseau scrive nel Contratto sociale che: «Non c’è che un contratto nello Stato, quello di associazione; e questo, da solo, ne esclude ogni altro. Non si potrebbe pensare alcun Contratto pubblico che non costituisse una violazione del primo»19. Con questo contratto gli stessi individui si costituiscono in
corpo politico sovrano, il potere comune istituito è saldamente nelle loro mani, inalienabile. Il patto rousseauiano e il contratto originario kantiano hanno la stessa struttura20: «Uno stato […] è una società di esseri umani, su cui non deve comandare e
disporre nessun altro se non lo stato stesso»21.
Il contratto kantiano rappresenta una «volontà comunitaria e pubblica (al fine di una legislazione semplicemente giuridica)»22, una res publica o cosa comune. Anche in
questo è simile al patto rousseauiano, dal momento che «l’interesse maggiore della teoria politica rousseauiana si rivolge proprio alle caratteristiche della natura associativa del patto originario. […] Contro l’idea di una societas civilis costruita per semplice aggregazione dei singoli, Rousseau è alla ricerca di una teoria in grado di definire una forma di “bene pubblico” che possa assicurare un governo stabile alla società. Una tale concezione del patto sociale interpreta una forma peculiarmente pubblicistica, cioè
18 N. BOBBIO, Il pensiero politico di Hobbes.
19 J. J. ROUSSEAU, Du Contrat social, texte établi et annoté par R. Derathé, in Œuvres, III, Du Contrat social – Écrits politiques, Paris,
Gallimard, 1964, pp. 347-470 (trad. it. di R. GATTI, Il contratto sociale, Milano, BUR, 2013, p. 155). Cfr.
C. LANGER, op. cit., p. 60.
20 Si veda W. KERSTING, Wohlgeordnete Freiheit, cit. pp. 229-232.
21 ZeF, AA VIII 344, trad. it. cit. p. 154. 22 TuP, AA VIII 297, trad. it. cit. p. 109.
muove dal primato della dimensione pubblica sulla dimensione privata; al contrario, il contratto formulato nell’orizzonte della concezione aggregativa, come quello di Locke, e per Rousseau dello stesso Hobbes, rimane un mero patto di natura privatistica ed ha come conseguenza la risoluzione delle obbligazioni da esso generate non appena sia venuto a mancare il suo beneficiario, il sovrano»23. Lo stesso «carattere pubblicistico del
contratto sociale»24 si conserva in Kant: il prodotto del contratto originario non è il
corpo politico di Rousseau, ma è come Rousseau una cosa comune o pubblica, che è più di una aggregazione di volontà particolari. Si può dire che per Kant «l’unione delle volontà particolari e private nella volontà comune e pubblica, in cui consiste il contratto
originario, non è l’unificazione delle volontà particolari e private, ovvero non è il
risultato a posteriori di una procedura empirica ma la condizione a priori che rende
pensabile e quindi possibile l’unificazione»25. Arthur Ripstein spiega come lo stato in
Kant non abbia il compito di bilanciare gli interessi differenti delle persone, ma piuttosto di creare le condizioni pubbliche perché ognuno possa realizzare i propri fini soggettivi, senza essere esposto all’arbitrio altrui26. Lo stato – come momento
dell’implementazione del diritto27 – ha una giustificazione formale, è istituito a partire
da una pluralità di esseri umani che sono qualitativamente esseri intelligibili, e non a
23 N. DE FEDERICIS, Gli imperativi del diritto pubblico. Rousseau, Kant e i diritti dell’uomo, Pisa, Pisa
University Press, 2005, pp. 54-70. 24 Ibidem, p. 56.
25 D. MAZZÙ, Il potere invisibile della legge, in G. M. CHIODI, G. MARINI, R. GATTI (a cura di), op. cit., p.
71.
26 Vedremo questo aspetto nell’ultimo paragrafo. Cfr. H. WILLIAMS, op. cit., pp. 182-187.
27 Cfr. O. O’NEILL, Bounded and Cosmopolitan Justice, «Review of International Studies», Vol. 26
partire dai loro interessi28. Ripstein fa l’esempio delle strade e le regole stradali: queste
rappresentano «una precondizione pubblica per realizzare la libertà privata»29. Se non
esistessero, se cioè tutto fosse proprietà privata, ognuno di noi sarebbe sottoposto all’arbitrio altrui solamente per il fatto di muoversi. Si tratta di un problema strutturale: senza un sistema di strade pubbliche, «pubbliche nel senso di essere di diritto [as a
matter of right] aperte a tutti »30, ognuno dipenderebbe dagli altri per muoversi,
dovrebbe chiedere il permesso – che può essere accordato così come negato – di attraversare le proprietà che lo conducono alla sua meta. Invece, «con un sistema pubblico di strade, ognuno può entrare in relazioni volontarie con chiunque voglia, senza essere soggetto all’arbitrio di nessuno»31. Un potere pubblico deve essere creato.
Tuttavia, se il contratto originario ricalca nella struttura il contratto sociale di Rousseau, il bene pubblico che i due autori definiscono è differente. Infatti, differentemente da Kant, Rousseau “traduce” il concetto di ‘bene pubblico’ in ‘interesse pubblico’, o ‘félicité publique’, facendo entrare nella sua teoria un elemento olistico che invece non entra nella dottrina kantiana del diritto pubblico32. Differentemente da Rousseau, i
28 Si veda il Detto Comune, laddove Kant scrive che il pactum unionis civilis non è un patto qualsiasi, ma differisce «da ogni altro essenzialmente nel principio della sua fondazione (constitutionis civilis). L’unione di molti per qualche (comune) fine (che tutti hanno) è rinvenibile in tutti i contratti di società; ma la loro unione che è fine in sé stessa (che ciascuno deve avere) […] è dovere primo e incondizionato: una tale unione è rinvenibile solo in una società, nella misura in cui si trova nella situazione [Zustand] civile, cioè quando costituisce una cosa [Wesen] comune» (TuP, AA VIII 289, trad. it. cit. p. 103). Cfr. M. C. PIEVATOLO (a cura di), Sette scritti politici liberi, pp. 135-136.
29 A. RIPSTEIN, Force and Freedom. Kant’s Legal and Political Philosophy, Harvard, Harvard University
Press, 2009, cit. p. 239 [trad. mia]. Si veda tutto il capitolo “Public Right II: Roads to Freedom”, pp. 232- 266.
30 Ibidem, p. 249. 31 Ibidem, pp. 248-249.
32 «Rousseau aveva già ricordato che lo scopo dell’istituzione del corpo politico era soltanto il bene comune, autentico fine della “società bene ordinata”. Il bien commun (o bien public) ha la propria fonte
confini della “cosa comune” kantiana coincidono con i confini dell’implementazione del principio del diritto. Nel Detto Comune Kant parla di «situazione giuridica di una cosa comune» [in einem rechtlichen Zustande eines gemeinen Wesens]33.
Per evitare di concepire l’unione in società come una sterile situazione giuridica, è necessario pensare quale funzione decisiva assegna Kant al diritto. Con Kant, come sostiene Giuliano Marini, possiamo riaffermare «l’antico concetto di società civile», concetto che si trova a essere banalizzato «come sfera degli enti intermedi tra l’individuo e lo stato»34 e opposto allo stesso Stato-macchina; oppure inteso come sfera
finita, delle particolarità individuali, di fronte a una sfera infinita: lo stato «regno della vita della totalità» alla maniera hegeliana35, in cui «il singolo si vede coinvolto come in
nella volontà generale, e in un tale “interesse comune” dei consociati deve essere ricercata la ragione per la quale la sovranità appartiene in modo esclusivo alla collettività […] l’identificazione dell’interesse collettivo è un elemento molto importante per la ricostruzione non solo della tipologia della volontà generale, […] A un tale interesse Rousseau aveva dato in altri casi il nome di félicité publique. […] L’esigenza di tradurre il concetto di bene pubblico in quello di interesse comune rinvia al carattere potenzialmente pragmatistico che può essere ascritto al diritto politico rousseauiano. La volontà generale è espressione del bene della collettività, contrapposto al bene di alcuni; ma l’interesse pubblico di cui questa si fa portatrice appare segnato da una scelta pragmatica, alla cui base si pone la peculiare posizione individualistica caratteristica del contrattualismo. Su questo punto si scorge una delle differenziazioni più significative con la filosofia politica di Kant. Se la dottrina kantiana del diritto pubblico è antagonista a qualsiasi fondazione pragmatica del mondo dei costumi, con Rousseau siamo di fronte a una teoria olistica, la cui anima teoretica acquista però i tratti peculiari del soggettivismo. L’intera dottrina del contratto sociale appare segnata da un tale procedimento, che produce conseguenze significative anche nel modo di concepire l’ordine politico» (N. DE FEDERICIS, Gli imperativi del diritto pubblico, cit. pp. 88-
89). Si veda anche W. KERSTING, Wohlgeordnete Freiheit, cit. p. 230.
33 TuP, AA VIII 293, trad. it. cit. p. 106.
34 G. MARINI, Tra Kant e Hegel: Per una riaffermazione dell’antico concetto di società civile, «Teoria»,
X(1), 1990, p. 26.
35 Scrive Marini: «Si sa che Hegel pensa che questa forma di stato, alla quale è rimasto fermo Kant, debba essere superata nello stato politico, il quale: a) è stato della libertà, b) vive nell’autocoscienza dei cittadini, c) è stato della ragione e della sostanzialità concreta. Rimaner fermi alla concezione dello stato
un destino»36. Di fronte alla «libertà oggettiva dei vari popoli storici»37, che trascende il
singolo, esiste in Kant, scrive Marini, «pur sempre l’atteggiamento morale dell’uomo, che non rinuncia a nessun ambito della storia, e tutta la considera oggetto plasmabile per la propria azione riformatrice. […] La condizione della totalità politica è anch’essa quale gli uomini l’hanno costituita e quale gli uomini la costituiscono, allo stesso titolo delle più ristrette realtà umane che gli uomini plasmano con il loro agire […]. Anche la vita degli stati, anche la storia del mondo, rientrano in questa stessa logica ed hanno a loro presupposto l’azione morale degli uomini»38. Kant fa «un uso appropriato,
controllato e vigile, del termine ‘società civile’»39: riassorbe il rischio di statolatria, per
cui lo stato diventa, se contrapposto alla società civile, «una sfera umana di valore infinito»40, ma allo stesso tempo gli restituisce la sua ricchezza, per cui società civile
«deve tornare a significare società che ha in sé la civiltà umana»41. La società civile è il
luogo e la condizione di possibilità della realizzazione della nostra Bestimmung, pur,
come società civile vuol dire consegnarsi in preda alle conseguenze politiche dell’incontro delle particolarità e degli arbitrî: conseguenze orribili di un pensiero fatuo: la orribilità (Fürchterlichkeit) del Terrore, corrispondente alla fatuità (Seichtigkeit) del pensiero che deriva da Rousseau e da Kant, e di ogni pensiero che sorge dalla particolarità e dalla riflessione» (G. MARINI, La libertà nel suo concetto e nella sua realizzazione: su alcuni luoghi della ‘filosofia del diritto’ hegeliana, in V. VERRA (a cura di), Hegel interprete di Kant, Napoli, Prismi Editrice Politecnica, 1981, p. 131).
36 G. MARINI, Tra Kant e Hegel: Per una riaffermazione dell’antico concetto di società civile, p. 20.
37 Ibidem. 38 Ibidem, p. 22. 39 Ibidem, p. 26.
40 Ibidem, p. 27. Si noti che con Kant abbiamo un argine che impedisce che lo stato diventi una «sfera umana di valore infinito», ovvero la distinzione, che abbiamo visto nel secondo capitolo, tra scopo finale e scopo ultimo. La società civile perfetta – la respublica noumenon – ha ancora sopra di sé la comunità morale o società religiosa, la ecclesia noumenon. La società civile non corre il rischio di divinizzarsi perché costituisce “solo” il limite fenomenico del genere umano. «Al di sopra della società civile, intesa nel significato pieno e ricco che si è precisato, sta la società degli uomini nella loro infinità di esseri morali, destinati a una vita che trascende la loro fenomenicità» (Ibidem).
come visto, in un orizzonte cosmopolitico, in quanto «civitas gentium»42 e in una
situazione di tensione e di conflitto dovuta alla nostra «insocievole socievolezza».