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III. Cosmopolitismo, popoli, stati

3. Stato e nazione

Quale ruolo hanno le nazioni nella fondazione dell’ordine politico kantiano? Si veda quello che Kant scrive nella Metafisica dei Costumi, quando tratta del diritto internazionale (o ius gentium): «Gli uomini, che costituiscono un popolo, possono essere rappresentati, secondo l’analogia della loro origine, come indigeni [Landeseingeborne] derivati da una stirpe comune (congeniti), anche se essi non lo sono; in ogni caso, in senso intellettuale e giuridico, come figli nati da una madre comune (la repubblica), essi costituiscono in certo modo una famiglia (gens, natio), i cui membri (i cittadini) sono tutti parenti»80. Mi sembra che, a partire dall’impossibilità di

conoscere scientificamente il carattere empirico dei popoli, qui ci siano due modi in cui rappresentarli nella loro unità, ovvero in senso intellettuale e «in senso intellettuale e giuridico». Nel primo caso i popoli sono rappresentati «secondo l’analogia della loro origine»: i membri si riconoscono come derivati da una stirpe comune, anche se di fatto non lo sono81. Nel secondo caso, nel senso intellettuale e giuridico, sono i cittadini ad

Shell: «Popular instruction according to the model of the purest (national) language not only enlightens a people’s understanding; it also clarifies the underlying principle of unity that allows them to be grasped in their volkstümlich peculiarity» (S. SHELL, op. cit., p. 108).

80 MdS, AA VI 343, trad. it. cit. p. 179.

81 Abbiamo visto che la nostra conoscenza si arresta prima di poterlo sapere. Questa visione kantiana di nazione è coerente con gli studi sulla nazione come «comunità immaginata» (seguendo la tesi originaria sviluppata nel 1983 da Benedict Anderson in Imagined Communities. Reflections on the Origin and Spread of Nationalism). Si veda quanto scrive David Miller: «How, then, are nations to be individuated? It is fairly clear that no objective criterion, such as language, race, or religion, will be adequate to mark all national distinctions, even though these criteria may enter into particular national identities. Thus nationality is essentially a subjective phenomenon, constituted by the shared beliefs of a set of people: a belief that each belongs together with the rest […] One feature of this definition deserves underlining. Whether a nation exists depends on whether its members have the appropriate beliefs; it is no part of the definition that the beliefs should in fact be true» (D. MILLER, The Ethical Significance of Nationality,

essere «tutti parenti», rappresentati come figli di una madre comune, la repubblica, costituenti «in certo modo una famiglia»82. Questo secondo modo di rappresentare le

persone in un popolo non sembra implicare il primo senso e sembra valere «in ogni caso [dennoch]»83.

Qual è il posto che le nazioni occupano nel pensiero politico kantiano? Franco Volpi scrive che Kant «distingue due modi di considerare l’agire dell’uomo: la considerazione ‘fisiologica’ e la considerazione pragmatica, ovvero la considerazione che vede l’agire umano come facente parte dell’ordine della natura e la considerazione che lo vede invece come scaturente dall’ordine della libertà, cioè come attività, spontaneità e autodeterminazione pratico-morale; l’una mira a determinare “quel che la natura fa dell’uomo”, l’altra “quello che l’uomo come essere libero fa o deve fare di se stesso”»84.

Dove si colloca il concetto di nazione? Come scrive Volpi: «Su questo sfondo il

82 Kleingeld spiega in che senso le persone in una repubblica costituiscano una famiglia: «The crucial question here is in what regard the family and the nation are analogous. Defenders of nationalist patriotism take the two as analogous insofar as both are claimed to imply special duties on the part of their members toward co-members. But this is not what Kant has in mind here. Instead, the analogy lies in the fact that all members are of the same rank. Membership in a republic should be understood as analogous with the shared birthright that comes from a shared ancestry. Just as all children in a family are of the same social class, all citizens in a republic are equal. Kant uses the telling term ‘ebenbürtig’, which carries the connotations of equality and of shared family origins in its meaning. So the mere comparison of a people with a family does not make Kant a nationalist patriot» (P. KLEINGELD, Kant’s Cosmopolitan Patriotism, pp. 313-314).

83 Quindi concettualmente si possono distinguere il concetto di popolo (una totalità naturale che non possiamo tuttavia conoscere) dal concetto di nazione (di cui dobbiamo accontentarci per distinguere i popoli) e di repubblica (un concetto intellettuale e giuridico). Ci sono ovvero due determinazioni del concetto di popolo, come unità di discendenza e come società civile. Si veda R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit. p. 449.

84 F. VOLPI, Il concetto di nazione in Kant, in L. COTTERI (a cura di), L’unità d’Europa: il problema delle nazionalità, Atti del XVIII convegno internazionale di studi italo-tedeschi (11-15 aprile 1983), Merano,

concetto di nazione assume una collocazione particolare, giacché esso sta a metà tra l’uno e l’altro ambito. Da un lato, infatti, esso ha il proprio fondamento in determinazioni empiriche, cioè nella differenza naturale tra i popoli, dovuta in primo luogo alla diversità delle lingue e delle religioni. Dall’altro, tuttavia, esso assume rilievo politico e storico per l’agire degli uomini»85. Il concetto di nazione è qualcosa che non si

può ignorare, e a cui tuttavia non può essere assegnato un ruolo decisivo nell’ordine politico kantiano. Infatti si tratta di una «contaminazione empirica che mal si concilia con l’esigenza, che ispira tutto il pensiero politico di Kant, di fondare la convivenza pacifica tra gli uomini su princìpi veramente universali»86. Dato ciò, «Kant non può

assegnare a tale concetto una funzione decisiva nella fondazione razionale dell’universale politico cui egli mira; egli non può considerarlo, insomma, quale

criterio razionale di legittimità, quale principio sufficiente a fondare o rivendicare un

ordine politico autonomo, come avverrà invece in seguito con i romantici»87. Nella

fondazione razionale della convivenza politica tra esseri umani non troviamo le nazioni, ma gli stati, che – vedremo nel prossimo capitolo – hanno un loro proprio criterio di legittimità che non ha a che fare con il principio nazionale. Invece «la “comune discendenza”, qui indicata come fondamento dell’unità chiamata nazione, rappresenta un criterio d’unità empirico-naturale e non può essere ancora, in quanto tale, un criterio sufficiente per la fondazione e la legittimazione razionale di un’unità politica»88. Le

nazioni non possono tuttavia allo stesso tempo venire ignorate, e hanno, scrive Volpi, un ruolo e una loro giustificazione razionale; tengono cioè separati i popoli nella loro

85 Ibidem. 86 Ibidem. 87 Ibidem. 88 Ibidem.

diversità, impedendo la fusione di tutti gli stati in un unico stato egemonico (fusione che rappresenta il fallimento del diritto, dal momento che porta necessariamente al dispotismo e poi all’anarchia)89. In una delle riflessioni sull’Antropologia pragmatica

dedicata allo spirito della nazione tedesca [Nationalgeist] Kant scrive: «Poiché è intenzione della provvidenza che i popoli non si mescolino, ma che, per opera di una forza che li trattiene dal farlo, rimangano in conflitto tra di loro, l’orgoglio nazionale [Nationalstoltz] e l’odio tra le nazioni [Nationalhaß] sono necessari. [...] I governi vedono con piacere questa follia [Wahn]. È questo il meccanismo universale che istintivamente ci unisce e ci separa. D’altra parte, la ragione ci dà la legge secondo la quale, poiché gli istinti sono ciechi, essi guidino sì in noi l’animalità, ma debbono essere sostituiti da massime della ragione. Perciò la follia nazionalistica [Nationalwahn] è da eliminare e al suo posto debbono subentrare il patriottismo e il cosmopolitismo»90.

C’è un momento in cui, secondo Kant, la propria diversità inizia a divenire illusoria, quando cioè «si considera la semplice rappresentazione di una cosa come equivalente alla cosa stessa»91. Si noti che Kant usa il termine tedesco Wahn [illusione] anche con

riferimento alle religioni, ne La religione entro i limiti della sola ragione. La concezione kantiana delle religioni chiarisce come esse non siano universi a sé stanti, ma siano dotate del medesimo nucleo: quello che Kant chiama ‘religione’ in senso proprio. Kant distingue la ‘religione’ dalle fedi storiche e dai falsi culti (le fedi storiche

89 Si veda il primo supplemento alla Pace Perpetua, dove viene trattato il ruolo di garante della natura rispetto a ciò che il genere umano deve fare (e che realizzerà la pace perpetua). Abbiamo visto che la natura lavora contro una monarchia universale attraverso la diversità delle lingue e delle religioni (ZeF, AA VIII 367, trad. it. cit. p. 176).

90 Refl. 1353, AA XV 590-591. Tradotta e riportata in F. VOLPI, op. cit, p. 409.

senza nucleo ‘religioso’): «La vera ed unica religione non contiene che leggi: cioè quei principii pratici, della cui necessità assoluta noi possiamo renderci consapevoli, che noi dunque riconosciamo come rivelati dalla ragion pura (e non in maniera empirica). Unicamente per uso di una chiesa, di cui possono esservi forme ugualmente buone, posson proporsi statuti, cioè prescrizioni considerate come divine, le quali, per il nostro giudizio morale puro, sono arbitrarie e contingenti. Ritenere dunque questa fede statutaria (che in ogni caso è ristretta ad un popolo, e che non può contenere la religione universale) come essenziale al culto divino in generale, e farne nell’uomo la condizione suprema del compiacimento di Dio, è una illusione religiosa* [Religionswahn]92, la cui

pratica è un falso culto, cioè quella pretesa adorazione di Dio, con cui si agisce proprio contro il vero culto, a noi richiesto da Dio stesso»93. Tutte le fedi storiche veicolano una

dottrina morale, delle norme di comportamento per gli esseri umani, cioè dei doveri che essi hanno verso gli altri: ciò significa un progetto di miglioramento dell’umanità dal punto di vista morale. Fin quando la fede storica resta entro i limiti della ‘religione’,

92 All’asterisco corrisponde una nota nel testo kantiano che spiega cosa sia l’illusione [Wahn], ovvero «un inganno, per cui si considera la semplice rappresentazione di una cosa come equivalente alla cosa stessa […] la stessa follia [Wahnsinn] ha questo nome perché suole prendere una semplice

rappresentazione (dell’immaginazione) per la presenza della cosa stessa e suole darle proprio lo stesso valore» [*) Wahn ist die Täuschung, die bloße Vorstellung einer Sache mit der Sache selbst für

gleichgeltend zu halten […] Selbst der Wahnsinn hat daher diesen Namen, weil er eine bloße Vorstellung (der Einbildungskraft) für die Gegenwart der Sache selbst zu nehmen und eben so zu würdigen gewohnt ist] (Rel., AA VI 168, trad. it. cit. p. 185).

93 Rel., AA VI 167-168, trad. it. cit. pp. 185-186. Si veda anche: «Diversità delle religioni: che

espressione bizzarra! Proprio come se si parlasse anche di morali diverse. Ci possono certo essere diversi

modi di aver fede [Glaubensarten], in merito a mezzi storici, usati non nella religione bensì nella storia

della sua promozione, che ricadono nel campo dell’erudizione, e similmente diversi libri religiosi (Zendavesta, Veda, Corano e così via), ma soltanto un’unica religione valida per tutti gli esseri umani e in tutti i tempi. Quelli dunque non possono contenere nient’altro che il veicolo della religione, che è casuale e può variare secondo la diversità delle epoche e dei luoghi» (ZeF, AA VIII 367, trad. it. cit. p. 176).

ovvero conserva un nucleo razionale – mantiene il suo elemento religioso e allo stesso tempo il culto specifico – funziona come elemento di separazione dei popoli senza allo stesso tempo impedire un sistema di diritto cosmopolitico. Quando l’illusione religiosa particolare, la Religionswahn, prevale, la diversità delle religioni non può che ostacolare il cosmopolitismo.