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I primi atti ufficiali sulla rappresentanza di interessi Il primo documento ufficiale che tratta la tematica del

LA DISCIPLINA DEL LOBBYING NELL’UNIONE EUROPEA

3. Verso una regolamentazione (non vincolante) del lobbying nell’Unione europea

3.1 I primi atti ufficiali sulla rappresentanza di interessi Il primo documento ufficiale che tratta la tematica del

lobbismo, e in più in generale, dell’esistenza di gruppi d’interesse interfacciati con le istituzioni europee, risale al 2 dicembre 1992, ed è il policy paper dal titolo Un dialogo aperto e strutturato tra la Commissione e i gruppi d’interesse32. Tale documento si occupò sostanzialmente di operare una prima ricognizione del fenomeno, e sin dal suo incipit, emerse l’approccio che sarà proprio di tale istituzione nei confronti del lobbismo, ribadendo “la nota accessibilità della Commissione dai gruppi d’interesse, che si è sempre dimostrata aperta agli apporti esterni, nella convinzione che tale processo sia fondamentale per lo sviluppo delle sue politiche”. La Comunicazione in esame, rilevando l’allora assenza di specifiche norme sui rapporti tra Commissione e gruppi d’interesse, chiarì che l’intento fu di “mantenere un dialogo il più                                                                                                                

aperto possibile con tutte le parti interessate, senza dover imporre un sistema di accreditamento”. In definitiva, per la Commissione, i gruppi d’interesse dovevano “aver modo di organizzarsi liberamente e senza interferenze da parte del settore pubblico, nonostante la Commissione si riservi il diritto di controllare la situazione, soprattutto con riguardo alle organizzazioni a scopo di lucro”, il che apparve, secondo alcuni, aprire ad una sorta di libero esercizio dell’attività lobbistica, alla stregua del modello statunitense33.

Il paper del 1992 non ebbe però alcun seguito, e solo nel maggio 1994 la Commissione invitò i gruppi d’interesse a scopo non lucrativo a presentarsi e farsi includere in un repertorio che li elencasse tutti, con una serie di informazioni rilevanti su ciascuno34, esperienza conclusasi con la pubblicazione di una Directory of Interest groups35, il 30 settembre 1996. Contestualmente, con il crescere delle sue funzioni, proliferavano inesorabilmente le istanze di pressione di cui il Parlamento europeo veniva fatto oggetto. Dalla                                                                                                                

33 R. De Caria, Le mani sulla legge: il lobbying tra free speech e democrazia,

op. cit., p. 184.

34 Raccolta di dati sui gruppi di interesse “a scopo non lucrativo”; GUCE N. C

126/8 del 7 maggio 1994 (94/C, 126/06). Le informazioni erano relative al nome, materia di interesse, numero di rappresentanti operanti e paese di origine.

35 Disponibile all’indirizzo https://publications.europa.eu/en/publication detail/-/publication/42a2ab4e-85ba-4911-9a1f-7cfbfce14ce4/language-en.

sua centralità nel processo legislativo conseguì una maggiore attenzione da parte dei lobbisti, e la necessità strutturale di creare strumenti di controllo del traffico di influenze36. A tale esigenza, il Parlamento diede seguito nel 1996, con l’introduzione nel suo Regolamento37 di una disposizione — ossia l’allora articolo 9, paragrafi 1) e 2) — che prevedeva un sistema di lasciapassare nominativi della durata massima di un anno da rilasciarsi a quanti desiderassero accedere frequentemente ai locali del Parlamento per fornire informazioni ai Membri nell’interesse proprio o di terzi.

In ogni caso, anche questi passaggi, compiuti separatamente da Commissione e Parlamento Europeo, non ebbero conseguenze pratiche di rilievo, ed un rinnovato interesse per la questione dei gruppi d’interesse38 si ebbe solo con la pubblicazione da parte della

                                                                                                               

36 W. Lehmann, L. Bosche, Lobbying in the European Union: current rules and practises, AFCO, 2003, disponibile all’indirizzo

http://ec.europa.eu/civil_society/interest_groups/docs/workingdocparl.pdf, pp.

33-38.

37 Il testo attuale del regolamento in questione è disponibile presso http://www.europarl.europa.eu/sides/getLastRules.do?language=IT&reference =TOC. Tale sistema di lasciapassare è tuttora previsto dal Regolamento, sia

pur in una diversa collocazione: l’esame avverrà al § 4.2, in considerazione delle norme attualmente vigenti.

38 Per completezza, è necessario ricordare: il parere del Comitato economico e

sociale Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione

europea (GU C 329, 17 novembre 1999, p. 30); la comunicazione del 3 aprile

2001 della Commissione europea sulla definizione interattiva delle politiche (C(2001) 1014)); al fine del presente elaborato, non occorre approfondirne il contenuto.

Commissione del Libro bianco La governance europea39 del 2001. In questo documento — che fa della partecipazione il fulcro di una vera e propria azione politica comunitaria — la Commissione sostenne la necessità di un rafforzamento della cultura della consultazione e di dialogo tra le istituzioni europee e la società civile40, che avrebbe dovuto condurre, tra le altre cose, a un “miglioramento delle procedure di consultazione, adottando una nuova impostazione per la pianificazione a breve termine, al fine di analizzare in modo molto più approfondito le richieste di nuove iniziative politiche da parte delle istituzioni e dei gruppi di interesse, e realizzare l’interesse generale europeo”. Il libro bianco del 2001 — il cui intento fu quello di stabilire una stretta relazione tra i concetti di governance e di società civile41, affinché tale nozione potesse superare la tradizionale dicotomia tra ambito

                                                                                                               

39 COM(2001) 428 definitivo/2. Sul Libro bianco, in generale, Cfr. O. De

Schutter, Europe in Search of its Civil Society, in European Law Journal, 8, 2002, pp. 198-217.

40 K. Armstrong, Rediscovering Civil Society: the European Union and the White Paper on Governance, in European Law Journal, 8, 2002, pp. 102-132. 41 Si parla secondo alcuni autori di “new governance”, riferendosi al nuovo

sistema europeo “orizzontale”, basato su peer reviews sempre meno fondate su vincoli giuridici bensì sul crescente monitoraggio dei processi di decision-

making da parte di Stati membri e stakeholders, permettendo allo stesso tempo

uno scambio di best-practises virtuoso per l’intero sistema comunitario. Sul punto, Cfr. M. Dawson, Three Waves of New Governance in the European

pubblico e privato 42 — fu ripreso l’anno seguente dalla Comunicazione della Commissione intitolata Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo. Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della Commissione43. In questo documento, enfatizzando il tradizionale apprezzamento per i contributi forniti dai gruppi d’interesse, la Commissione riconobbe indirettamente un diritto delle parti interessate ad essere ascoltate sulle iniziative normative che le riguardavano, riconoscendo loro la facoltà di esprimere un parere (non vincolante) su queste materie. Venne così configurato in capo alla Commissione un autentico “dovere d’intavolare consultazioni”44, e tracciato un legame tra il diritto per tutti gli interessati a essere consultati e la libertà di associazione45.

Anche la comunicazione del 2002 non condusse, però, ad un decisivo esame della questione dell’an e quomodo regolamentare l’attività di lobbying nell’Unione europea, pur enunciando al suo                                                                                                                

42 S. Smismans, Civil Society and Legitimate European Governance,

Cheltenham, Edward Eldgar Publishing, 2006, p. 8.

43 COM(2002) 704 definitivo, dell’ 11 dicembre 2002.

44 G. Sgueo, Oltre i confini nazionali. L’impatto delle lobbies sull’Unione europea, in G. Macrì (a cura di), Democrazia degli interessi e attività di lobbying, op. cit., pp. 89-90.

45 Il documento sanciva che “Il ruolo specifico […] delle organizzazioni della società civile, nelle democrazie moderne, è strettamente connesso col diritto fondamentale dei cittadini di formare associazioni per perseguire finalità comuni, come sancito dall’articolo 12 della Carta europea dei diritti fondamentali”.

interno — sotto forma di una “dichiarazione d’intenti” — i principi generali e i requisiti minimi per le consultazioni avviate dalla Commissione. La svolta decisiva avvenne soltanto tre anni dopo, con il lancio da parte della Commissione della c.d. Iniziativa Europea per la Trasparenza (ETI)46, che portò alla pubblicazione dell’omonimo libro verde47, che descriveva quello che secondo la Commissione sarebbe stato il “quadro di base per disciplinare i rapporti tra le istituzioni UE e i lobbisti”. Gli aspetti significativi di questo documento sono essenzialmente sono due: da un lato, l’estrema apertura nei confronti del lobbying di cui la Commissione dà prova, senza nessuna emersione di particolari preoccupazioni per il pericolo che il continuo avanzare di tale fenomeno potesse corrompere l’integrità del processo democratico 48 , così confermando quanto sostanzialmente affermato dalla giurisprudenza europea sul tema (§ 2). In secondo avviso, emerge in questa sede una rivoluzionaria accezione del lobbismo, qualitativamente diversa rispetto ai precedenti documenti: non vi è alcun richiamo alla libertà di espressione ovvero di associazione,                                                                                                                

46 SEC(2005) 1300, del 9 novembre 2005. 47 COM(2006) 194 def., del 3 maggio 2006.

48 R. De Caria, Le mani sulla legge: il lobbying tra free speech e democrazia,

op. cit., pp. 190-191. La concezione funzionalistica del lobbying nasce proprio a partire dalla pubblicazione del Libro Verde del 2006. Circa le caratteristiche di questa nuova interpretazione, v. § 5.

bensì emerge una chiara considerazione del lobbying come un vero e proprio strumento 49 , che può “contribuire a richiamare l’attenzione delle istituzioni europee su alcuni problemi importanti”. Infine, un ulteriore aspetto da mettere in luce è un’affermazione contenuta nello stesso Libro Verde, che segnerà indelebilmente l’evolversi della disciplina del lobbying presso l’Unione europea: la Commissione, dopo aver preso attentamente in esame la disciplina lobbistica di altri ordinamenti — comprese quelle di alcuni Stati membri50 — ritenne che un “sistema di registrazione obbligatoria non potesse rappresentare la soluzione adeguata”, privilegiando l’idea di un sistema più rigoroso di autoregolamentazione, ovvero di registrazione non obbligatoria. Questo carattere non vincolante è dunque frutto di una precisa scelta della Commissione51, che aprirà il registro dei rappresentanti di interessi il 23 giugno 2008. Il Parlamento europeo, invece, si

                                                                                                               

49 D. Ferri, Dal Libro bianco sulla governance al nuovo registro per la trasparenza: l’UE tra participatory engineering e democrazia partecipativa, in Dir. Pubb. Comp., 3, 2012, pp. 482-535.

50 Per una panoramica generale degli strumenti adottati dagli Stati membri

nella regolazione dell’attività lobbistica, si veda A. Bitoni, P. Harris (a cura di),

Lobbying in Europe: public affairs and the Lobbying Industry in 28 EU countries, op. cit.

51 G. P. Ammassari, Lobbying e partecipazione influente nei processi decisionali dell’Unione Europea, in P. Fantozzi, A. Montanari (a cura di), Politica e mondo globale. L’internazionalizzazione della vita politica e sociale,

dichiarerà successivamente favorevole ad un’impostazione diversa da quella storicamente fatta propria dalla Commissione (§ 4.1).