• Non ci sono risultati.

2. Il velo dell’indovino: ambiguità linguistica e aberrazione familiare nel

2.1. L’apparizione di Laio

Fin dall’Iliade – cioè dagli inizi della letteratura occidentale – il sogno è stato movente dell’azione, impulso e sprone alla decisione contro le incertezze diurne.329 Colpisce ulteriormente, nella prospettiva della nostra

indagine, il fatto che il primo sogno dell’Iliade sia un “sogno falso”, οὖλον
 ὄνειρον,330 uno ψεῦδος
indotto da Zeus su istanza di Teti per vendicare l’ἀτιµία


subita dal figlio Achille e placare la sua ira.

Spazio privilegiato dell’azione luminosa, il sogno è necessariamente – nell’onirocritica classica – un luogo in cui in forma simbolica si preannuncia l’Altro – il futuro, l’Aldilà, l’irrazionale.331

329 A tal proposito cfr. E.R. DODDS, Schema onirico e schema di civiltà, in I Greci e l’irrazionale

(ed. or. The Greeks and the Irrational, Berkeley, University of California Press, 1951), Firenze, La Nuova Italia, 1973; D. DEL CORNO, prefazione al Libro dei sogni di Artemidoro, Milano,

Adelphi, 1975; C. BRILLANTE, Studi sulla rappresentazione del sogno nella Grecia antica, Palermo,

Sellerio, 1991.

330 Hom., Il., II, 1-6.

331 È impossibile, in questa sede, ripercorrere compiutamente le varie teorie sul sogno

espresse dal mondo classico. Si può tuttavia ricordare come in Pindaro il sogno rappresenti un’esperienza vana e fugace (cfr. i framm. 131b-137 in Pindari Carmina cum fragmentis II, a cura di B. SNELL,H. MAEHLER, Lipsia, Teubner, 19754); presso le comunità orfico-pitagoriche,

esso si mostra preannuncio dell’esperienza sovrannaturale che troverà compimento nella “vera vita” dell’aldilà (Cfr. Diog. Laert., VIII, 32=58B Diels-Kranz). Eraclito, per così dire freudianamente, aveva annunciato il carattere individuale e soggettivo del mondo onirico: ἕνα
καὶ
κοινὸν
κόσµον
εἶναι,
τῶν
δὲ
κοιµωµένων
ἕκαστον
εἰς
ἴδιον
ἀποστρέφεσθαι

(VS 22 B 89 Diels- Kranz). Anche in Platone (nel Teeteto, nell’Apologia, in Critone, Fedone, Filebo, nel libro IX della

Repubblica) dal discorso sul sogno traspare un misto d’amore e ripudio quale quello provato

dal filosofo nei confronti del mito; vi si trovano molti riferimenti al sogno come fonte di conoscenza, fatto che ha indotto Vegleris ad affermare: “è tuttavia strano che Freud non abbia sfruttato le analisi di Platone e si riferisca più spesso ad Aristotele” (In G. GUIDORIZZI,

Il sogno in Grecia, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 119). Quanto ad Aristotele, è noto come il

sogno si inquadri nella capacità del soggetto di produrre φαντάσµατα, e come il mondo onirico abbia origini, per così dire, esclusivamente fisiologiche: il che dovrebbe spingere Aristotele verso il rifiuto di qualsiasi aspetto profetico del sogno; tuttavia, la questione si risolve per lui in un cauto agnosticismo (cfr. Aristotele, Περὶ
ἐνυπνίων
e Περὶ
τὴν
καθ’
ὕπνον
 µαντικήν,
in
 Petits traités d’histoire naturelle, a cura di R. MUGNIER, Paris, Les Belles Lettres,

All’epoca di Stazio la tematica del sogno ha una lunghissima storia alle spalle, derivante da Omero e da Esiodo, da Platone e da Erodoto, da Aristofane e dai tragici, dal De divinatione ciceroniano, per citare solo i punti di riferimento principali. Il sogno di Eteocle nella Tebaide (II, 89-127), per di più, presenta alcuni elementi (apparizioni, sparizioni, fughe da un oggetto all’altro, allusioni furtive, travestimenti e metamorfosi) che contribuiscono a collocarlo in una tradizione continua e ben attestata, in modo da accentuarne al massimo le potenzialità espressive.

Antefatto del sogno di Eteocle: i fratelli, maledetti da Edipo, hanno rotto il patto di regnare insieme, e Polinice, costretto ad allontanarsi da Tebe, viene accolto da Adrasto ad Argo, dove matura propositi di rivincita e di ritorno in patria.

Il poeta inizia col descrivere il luogo dell’apparizione di Laio (regis Echionii,332 Theb., II, 89) e la durata del sogno (vv. 71-75):

et tunc forte dies noto signata Tonantis fulmine, praerupti cum te, tener Euhie, partus transmisere patri. Tyriis ea causa colonis insomnem ludo certatim educere noctem suaserat.333

La notte, nox ea (v. 89),334 quando Mercurio giunge alla reggia di Eteocle,

quest’ultimo, accecato dall’odio ([…] in absentem consumit proelia fratrem, v.

1953). Il problema è comunque aperto: resta in ogni caso evidente l’alterità del sogno rispetto alla realtà, la dualità tra l’ὕπαρ
e l’ὄναρ.


332 H.M. MULDER (Publii Papinii Thebaidos liber secundus, Groningen, De Waal, 1954, p. 87)

nota l’accostamento a livello lessicale: lo stesso aggettivo viene riferito anche a Polinice in II, 353: Echionius iuvenis, mentre con Echionides ci si riferisce a entrambi i fratelli in VI, 467.

333 P. VENINI osserva che “l’orgia dionisiaca è lo sfondo adatto per l’episodio di terrore

dominato dalle potenze infernali” (Studi sulla Tebaide di Stazio. L’imitazione, in «RIL», 95, 1961, pp. 379-380). Si potrebbe aggiungere che il giorno festivo a Tebe coincide con i festeggiamenti religiosi che si fanno ad Argo il giorno dell’arrivo di Tideo e Polinice.

334 Stazio, facendo sì che il sogno si manifesti di notte, attinge all’antica tradizione per cui

quest’ultimo era il simbolo per eccellenza del mondo opposto a quello in cui l’uomo agisce coscientemente, e nel quale le leggi che governano il cosmo appaiono sospese. Nel buio della notte, che non permette una normale percezione del reale, e nella dimensione extra-umana, i

133), fuderat Assyriis exstructa tapetibus alto / membra toro. pro gnara nihil mortalia fati / corda sui! capit ille dapes, habet ille soporem (vv. 91-93).

Non è Mercurio ad apparire a Eteocle, bensì l’ombra di Laio, che il messaggero degli dei ha sottratto agli inferi per ordine di Giove. Laio tuttavia non si presenta al nipote col suo vero aspetto: (neu falsa videri / noctis imago queat, vv. 94-95), ma sotto le false sembianze di Tiresia (Tiresiae vultus vocemque et vellera nota, v. 96).

Segue la descrizione dell’apparizione: has […] expromere voces.335 Laio

rimprovera Eteocle per il suo torpore: non somni tibi tempus, iners qui nocte sub alta, / germani secure, iaces (vv. 102-103)336 e lo mette a conoscenza delle

intenzioni bellicose del fratello, che con l’aiuto degli Argivi si appresta a marciare contro Tebe. Per dare maggiore autorità alle sue parole aggiunge: ipse deum genitor tibi me miseratus ab alto / mittit (vv. 115-116), e conclude ordinandogli di combattere valorosamente per evitare che Tebe sia assoggettata da Argo (vv. 116-119). Infine, allontanandosi (vv. 120-124):

[…] (etenim iam pallida turbant sidera lucis equi)337 ramos ac vellera fronti

deripuit, confessus avum, dirique nepotis incubuit stratis, iugulum mox caede patentem nudat et undanti perfundit vulnere somnum.338

confini tra fantasia e realtà diventano decisamente sottili, e incerto il giudizio tra ciò che è vero e ciò che è falso. Cfr. A. STRAMAGLIA, Res inauditae, incredulae. Storie di fantasmi nel mondo

greco-latino, Bari, Levante, 1999, pp. 47-48.

335 Cfr. Verg., Aen., V, 723: talis effundere voces; II, 280: maestas expromere voces; Luc., Phars.,

I, 360: veras expromere voces. A riguardo del verbo expromere H.M. MULDER (Publii Papinii

Thebaidos liber secundus, cit., p. 94) nota che “bene autem verbum expromendi vocabolo

adiungitur, ut est aptum ad res arcanas occultasve, quae in luce proferuntur”: IV, 531: vera

minis poscens adigitque expromere vitas / usque retro; cfr. anche Luc., Phars., I, 67; V, 68; VIII, 279.

336 Cfr. Hom., Il., II, 23-24; XXIII, 69; XXIV, 683-684; Verg., Aen., IV, 560-561. 337 Cfr. Verg., Aen., V, 739: et me saevus equis Oriens adflavit anhelis.

338 Per questa espressione: Ov., Met., XI, 657-658: tum lecto incumbens, fletu super ora