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3. Meccanismi e funzioni del personaggio duplicato nella Tebaide

3.3. Eteocle come eroe negativo

omnia fanda nefanda malo permixta furore iustificam nobis mentem avertere deorum. quare nec talis dignantur visere coetus, nec se contingi patiuntur lumine claro. Catullo, LXIV, 405-408.

Eteocle è caratterizzato come un autentico tiranno.192 Egli è pronto a ogni

crimine193 e giunge a deplorare il ritardo con cui Polinice rivendica il proprio

diritto: [...] sedet omne paratus / in facinus queriturque fidem tam sero reposci (II, 387-388). Il rifiuto della sepoltura a Meone (III, 96-98), come tra l’altro il rifiuto di Creonte di seppellire i morti tradiscono il tipico atteggiamento del tiranno (cfr. la caratterizzazione di Creonte: bello cogendus et armis / in mores hominemque Creon, XII, 165-166). Non a caso anche nel momento decisivo Eteocle uccide il fratello con la frode (XII, 565-567).

Un altro tratto che contraddistingue i tiranni nella tradizione è la viltà e il timore. La paura accompagna il potere di qualsiasi tiranno: ἄρχειν
ἑλέσθαι
ξὺν


épopoées de Stace, Actes du Xe congrès de l’Association G. Budé. Toulouse 8-12 avril 1978,

Paris, 1980, Les Belles Lettres, pp. 184-185), riprende la divisione aristotelica fra l’epos ‘patetico’ (l’Iliade) e l’epos ‘etico’.

192 Sulla figura del tiranno e la sua popolarità nella letteratura latina la bibliografia è

amplissima. Cfr., p. es., D. LANZA, Il tiranno e il suo pubblico, Torino, Einaudi, 1977; A. LA

PENNA, Atreo e Tieste sulle scene romane, cit., pp. 127-141; M. SCAFFAI, Il tiranno e le sue vittime

nel l. I degli “Argonautica” di Valerio Flacco, in AA.VV., «Munus amicitiae. Quaderni di

filologia latina in memoria di Alessandro Ronconi», Firenze, Le Monnier, 1986, pp. 233-261; P. VENINI, Echi senecani e lucanei nella Tebaide. Tiranni e tirannidi, in «RIL», 99, 1965, pp. 157-

167; D.T.MCGUIRE, Acts of Silence: Civil War, Tyranny, and Suicide in the Flavian Epics, cit., pp.

147-184.

193 Per i tratti simili nella caratterizzazione di Eteocle cfr. Eur., Phoen., 504 ss.; Sen., Phoen.,

φόβοισι
 µᾶλλον,194 governare in mezzo alle paure, questa è la condizione del tiranno. Proprio per questa ragione, spiega Creonte nell’Edipo Re, egli non aspira alla responsabilità connessa con il potere assoluto. Eteocle è raffigurato come pauroso già al momento dell’annuncio dell’oracolo (IV, 406- 409):

at trepidus monstro et variis terroribus impar longaevi rex vatis opem tenebrasque sagaces Tiresiae, qui mos incerta paventibus, aeger consulit.

La paura di Eteocle risalta in confronto con l’imperturbabilità di Tiresia e della sacerdotessa Manto (IV, 488-493)195:

dixerat, et pariter senior Phoebeaque virgo erexere animos; illi formidine nulla,

quippe in corde deus, solum timor obruit ingens Oedipodioniden, vatisque horrenda canentis nunc umeros nunc ille manus et vellera prensat anxius inceptisque velit desistere sacris.

Le caratteristiche anxius e pavens si riscontrano nelle descrizioni svetoniane di Domiziano. Nella biografia dell’ultimo degli imperatori Flavi Svetonio196 sottolinea, con brevissimi allusioni, la pessima condotta morale e

il carattere ombroso, astuto e imprevedibile del principe. Di particolare interesse è il fatto che Svetonio ribadisce come il principe si impressionasse

194 Soph., Oed.Tyr., 585.

195 È un topos il motivo dei sovrani spaventati dai responsi di inquietanti oracoli: cfr.

Verg., Aen., VII, 68-106 (Latino); Stat., Theb., I, 395-400 (Adrasto). Anche Valerio Flacco rappresenta Pelia preda di un pavor che lo corrode nel profondo: il tiranno è, infatti, terrorizzato dall’oracolo che indica nel figlio di suo fratello Esone il successore designato e l’incombente rovina: Sed non ulla quies animo fratrisque paventi / progeniem divumque minas;

hunc nam fore regi / exitio vatesque canunt pecudumque per aras / terrifici monitus iterant (Arg., I,

27-28).

196 F. GALLI, a cura di, Svetonio. Vita di Domiziano. Introduzione, traduzione e commento,

esageratamente per i più piccoli sospetti: Quare pavidus semper atque anxius, minimis etiam suspicionibus praeter modum commovebatur (Dom., XIV, 2), proprio come in Stazio Eteocle si agita per i presagi.

Eteocle, infatti, si presenta spaventato quando riceve la notizia che le truppe argive si avvicinano al campo tebano (Theb., VII, 227): Nuntius attonitas iamdudum Eteoclis ad aures. Va precisato che già in Virgilio attonitus sottintende ‘avvertiti non come puri e semplici fenomeni fisici, ma come prodigio che paralizza, come intervento sacrale nel rapporto uomo- divinità‘.197 In Seneca attonitus tumultus è agitazione che rende stupefatti, che

sgomenta, che paralizza.198

Pochi versi dopo attonitus viene rafforzato con il sostantivo metus, caratterizzante la paura che Eteocle cerca di nascondere all’arrivo dell’esercito dei Sette (VII, 232-234):

ille metum condens audire exposcit et odit narrantem: hinc socios dictis stimulare suasque metiri decernit opes.

A proposito del carattere vile e timoroso di Eteocle si nota inoltre una certa somiglianza dei brani riportati con il passo delle Silve in cui Nerone impallidisce alla vista dell’ombra della sua madre (II, 7, 117-119):

nescis Tartaron et procul nocentum audis verbera pallidumque visa matris lampade respicis Neronem.

197 Serv., ad Aen., III, 172: proprie attonitus dicitur, cui casus vicini fulminis et sonitus

tonitruum dant stuporem”; In Stazio attonitus è molto frequente: 36 volte contro 10 in Virgilio,

cfr. J.J.L. SMOLENAARS, Statius, Thebaid VII. A Commentary by J.J.L. Smolenaars, cit., ad VII,

118.

198 P. P

ASIANI, Attonitus nelle tragedie di Seneca, in AA. VV., Studi sulla lingua poetica latina,

Svetonio e Tacito199 raccontano che Nerone dopo il matricidio era

tormentato da visioni della madre e delle Furie armate di fruste e di fiaccole accese. Qui le due immagini sono fuse tra loro e l’ombra stessa della madre appare come quella di una Erinni che agita la fiaccola. L’aggettivo pallidus che caratterizza Nerone viene usato per l’espressione della paura, come confermano i passi paralleli, cfr. Enn., Scaen., 26 (Joc.) exalbescat metu; Hor., Ep., X, 15-16; Ov., Fast., II, 468: timore pallet; Met., XI, 111; XIII, 74.200 La paura

quindi che il tiranno incute agli altri, la subisce anche lui stesso.

La prova del fatto che la viltà e il timore sono le caratteristiche proprie all’atteggiamento del tiranno emerge nella descrizione di Creonte, nuovo re di Tebe. Egli prova paura appena viene a sapere dell’avvicinarsi a Tebe di Teseo (XII, 686-687):

[...] stetit ambiguo Thebanus in aestu curarum, nutantque minae et prior ira tepescit.

Anche le topiche caratteristiche della crudeltà e dell’altrui invidia accomunano Eteocle al personaggio di Nerone nelle Silve (V, 2, 31-34)

[...] quippe ille iuventam

protinus ingrediens pharetratum invasit Araxen belliger indocilemque fero servire Neroni

Armeniam.

e negli Epigrammi di Marziale, dove crudelis, ferus, durus, rabidus sono gli epiteti costanti di Nerone: heu! Nero crudelis nullaque invisior umbra (VII, 21, 3), quid Nerone peius? (VII, 34, 4).

Nella descrizione dell’Eteocle staziano si legge la preoccupazione politica prevalente a partire dell’avvento della dinastia flavia di stabilire un distacco

199 Svet., Nero, XXXIV, 4: […] saepe confessus exagitari se materna specie verberibus Furiarum

ac taedis ardentibus; Tac., Ann., XIV, 3-8.

200 H.-J. VAN DAM, P. Papinius Statius Silvae Book II. A Commentary, Leiden, Brill, 1984, p.

netto e sicuro con l’età di Nerone. Il Nerone mostro della tradizione storica è probabilmente una creazione della propaganda flavia, o almeno un ampliamento letterario della documentazione.201 La restaurazione flavia si

oppone a Nerone, guardando direttamente Augusto. Riprendendo la Franchet d’Espèrey: “La clé de toutes ces actions [l’attivita politica e culturale] n’est pas une idéologie mais un modèle, celui d’Auguste, et parallèlement un ’anti-modèle’, celui de Neron”.202

Il metus, come anche l’ira, sospetto, invidia, rabbia e orgoglio sono le ben note qualità che nello stoicismo evidenziano la debolezza del carattere. Infatti, nei drammi senecani il male è significativo non di per sé, ma solo in relazione alla debolezza o fortezza del carattere: quando il carattere è impermeabile al male, il carattere nega il male; quando invece il carattere è deteriorato dalle passioni, causa il male. In quest’ottica significativa la corrispondenza con il brano svetoniano della vita di Domiziano, in cui lo storico afferma la debolezza del carattere del principe (Dom., III, 2, 1-5):

Circa administrationem autem imperii aliquamdiu se varium praestitit, mixtura quoque aequabili vitiorum atque virtutum, donec virtutes quoque in vitia deflexit: quantum coniectare licet, super ingenii naturam inopia rapax, metu saevus.

Eteocle viene caratterizzato come cunctantem nel momento in cui bisogna prendere la decisione di scendere in duello con il fratello (XI, 268-278) e raggiunge il massimo grado di paura combattendo con Polinice (XI, 545-551):

territus, in clipeum turbatos colligit artus; mox intellecto magis ac magis aeger anhelat

201 Così, infatti, Stazio, nella Silva dedicata alla costruzione della Via Domitiana, sottolinea

l’idea che Domiziano vuole ricollegarsi al miglior passato che non può essere quello di Nerone facendo il riferimento ai grandi progetti dell’edilizia di Nerone in Campania, tutti alla fine abortiti: Stagnum Neronis da Miseno al lago di Averno e il canale dal lago di Averno a Ostia per evitare la pericolosa linea del mare e asciugare i paludi (Silv., IV, 3, 7-8). Svetonio chiama Nerone non in alia re tamen damnosior quam in aedificando (Nero, XXXI, 1); Plinio in modo analogo incredibilium cupitor (NH, XIV, 61).

202 S. FRANCHET D’ESPEREY, Vespasian, Titus et la littérature, in ANRW, 2.32.5, 1986, pp.

vulnere. Nec parcit cedenti atque increpat hostis: ‘quo retrahis, germane, gradus? hoc languida somno, hoc regnis effeta quies, hoc longa sub umbra

imperia! exilio rebusque exercita egenis

membra vides; disce arma pati nec fidere laetis.’

La poesia latina della prima età imperiale (soprattutto Seneca e Lucano) incorpora due nuove caratteristiche all’immagine del tiranno, assenti nelle raffigurazioni della tragedia ateniese. All’empietà, cupidigia e paura, ora si aggiungono la falsità e la crudeltà topiche: l’Eteocle staziano si rivela infatti simulatore (imperat, et magnos ficto premit ore timores, XI, 233) e, come anche l’ambiente che lo circonda, il suo corteggio di adulatori e di delatori (XI, 257- 262), egli è pronto a ogni crimine (II, 482-490):

nec piger ingenio scelerum fraudisque nefandae rector eget. iuvenum fidos, lectissima bello

corpora, nunc pretio, nunc ille hortantibus ardens sollicitat dictis, nocturnaque proelia saevus instruit, et (sanctum populis per saecula nomen) legatum insidiis tacitoque invadere ferro

(quid regnis non vile?) cupit. quas quaereret artes si fratrem, Fortuna, dares? o caeca nocentum consilia! o semper timidum scelus!

Eteocle si presenta dunque come incarnazione del genio del male e nemmeno Giove può esonerarlo dalla responsabilità delle sue azioni (III, 235- 238). La crudeltà e la frode sono necessari al mantenimento del regnum. Svetonio, il cui ritratto di Domiziano muta dal capitolo X al XVII sempre in direzione negativa, nota che Domiziano diventa ancora più crudele dopo le guerre civili (Dom., X, 5):

Verum aliquanto post civilis belli victoriam saevior, plerosque partis adversae, dum etiam latentis conscios investigat, novo quaestionis genere distortit, immisso per obscaena igne; nonnullis et manus amputavit.

In Svetonio anche se non appare alcuna accusa precisa a Domiziano, è interessante osservare come l’ombra delle insidiae del fratello si addensi ugualmente in modo inequivocabile intorno ai particolari della morte di Tito. Svetonio fa notare che l’imperatore morì mentre tentava di conquistarsi l’affetto del fratello (Tit., IX, 3, 1):

Fratrem insidiari sibi non desinentem, sed paene ex professo sollicitantem exercitus, meditantem fugam, neque occidere neque seponere ac ne in minore quidem honore habere sustinuit, sed, ut a primo imperii die, consortem successoremque testari perseveravit, nonnumquam secreto precibus et lacrimis orans, ut tandem mutuo erga se animo vellet esse.203

e che, sul punto di morte, dichiarò, di aver commesso un torto di cui si pentiva - cosa che, secondo l’opinione di alcuni, sarebbe stata la consuetudo che cum fratris uxore habuerit (Tit., X, 2, 3-4).204

Le qualità assegnate da Stazio a Eteocle (e poi anche a Creonte) sono dunque le medesime che Svetonio attribuisce a Domiziano, e nello stesso tempo sono uguali a quelle che Seneca e Valerio Flacco conferiscono ai loro personaggi regali - Atreo, Lico ed Eteocle: una indiscriminata scelleratezza.205

203 C.J. BANNON, The Brothers of Romulus: Fraternal Pietas in Roman Law, Literature, and

Society, cit., p. 181: “Titus and Domitian act like typical Roman brothers, quarrelling over

their paternal inheritance – one brother an angry instigator, the other fostering cooperation.”

204 Potrebbe essere interessante il confronto della caratterizzazione di Eteocle con la

descrizione di Domiziano in Plinio (Ep., IV, 11): ardebat ergo Domitianus et crudelitatis et

iniquitatis infamia.

205 Cfr. Sen., Thy., 312-316: [Atr.] Ut nemo doceat fraudis et sceleris vias, / regnum docebit. Ne

mali fiant times? / Nascuntur. Istud quod uocas saevum asperum / agique dure credis et nimium impie, / fortasse et illic agitur; Phaed., 981: fraus sublimi regnat in aula; superbia e arroganza: Thy., 609: inflatos tumidosque vultus; Herc. Fur., 329: […] saevus ac minas vultu gerens; timore e

pusillanimità: Thy., 447: [Tieste] Dum excelsus steti, / numquam pavere destiti atque ipsum mei /

ferrum timere lateris; Vl. Fl., Arg., I, 23: iam gravis et longus populis metus. Sulla

caratterizzazione tirannica di Pelia nelle Argonautiche di Valerio Flacco e sulle affinità con il personaggio di Atreo di Seneca cfr. I. CAZZANIGA, Lezioni su Valerio Flacco, Milano, La

Più volte sono espressi nella Tebaide i giudizi negativi su regna e reges206

che riprendono la concezione senecana, secondo la quale il regno è pari alla tirannide.207 Così, Venini sostiene che l’enfasi sul tema della tirannia

nell’epica possa essere riferito al luogo comune della retorica:208

Tiranni e tirannicidi erano un tema di declamazione assai in voga nelle scuole dell’epoca, prediletto da allievi e maestri e consentito dall’autorità imperiale sempre che non si esorbitasse dai limiti concessi a un lusus retorico e non si mirasse ad alimentare sentimenti di opposizione politica. [...] Ma è ipotesi verisimile, anzi, direi, ovvia, che sia stato principalmente il teatro di Seneca a ispirare a Stazio una raffigurazione così dettagliata e, quel che più conta, così insistita della tirannide. Certo, quello che in Seneca è frutto di meditata e sofferta esperienza politica sembra ridursi in Stazio a semplice motivo ornamentale. 209

Goliardica, 1957; O. PEDERZANI, I margini della civiltà e i confini del genere epico: Giasone e Medea

nella Colchide di Valerio Flacco, in «Aufidus», 5, 1988, pp. 19-45; rif. p. 5.

206 Cfr. Theb., II, 186; II, 488; XII, 345 s., 504 s.

207 Altri luoghi polemici contro la tirannide in Seneca: Herc. Fur., 737-747; Troad., 258-264;

Phoen., 654-659; Medea, 196; Oed., 705-706; Agam., 269-272. Queste, come tante altre

espressioni consimili, sono l’eco di una protesta del popolo romano per l’opprimente autocrazia imperiale. Seneca si rende interprete di questa silenziosa aspirazione dei cittadini alla libertà. Tutte le sue opere filosofiche riecheggiano grida di rivolta congtro la tirannide e la sopraffazione, ricorrendo alle aspre condanne dell’ingiustizia e della degradazione morale dei potenti. Cfr. a proposito E. MALASPINA, Pensiero politico ed esperienza storica nelle tragedie di

Seneca, in AA. VV., Sénèque le tragique, Genève, Vandœuvres, 2004, pp. 267-307.

208 P. VENINI, Echi senecani e lucanei, cit., p. 161. Infatti, una parte della critica moderna

tende a credere che la problematica della Tebaide non abbia una relazione diretta con la situazione politica a Roma. Dello stesso parere di VENINI è SCHETTER che considera la Tebaide

come un epos mitologico che, a differenza delle opere di Virgilio o Lucano, non ha alcuna connessione con la realtà storica (Untersuchungen zur epischen Kunst, Wiesbaden, Harrassowitz, 1960, p. 125). Analogamente, VESSEY rifiuta il fatto che la Tebaide possa

contenere un’allegoria sottile alla situazione politica (Statius and the Thebaid, cit., pp. 63 s). SNIJDER ammette che ci sia una vaga connessione tra lo spirito del poema e lo spirito della Roma dell’età pre-flavia, ma rifiuta il fatto che Stazio potesse usare la cornice mitologica della leggenda tebana per esplorare le tensioni politiche e spirituali del suo tempo (P.

Papinius Statius, Thebaid: A Commentary on Book III with Text and Introduction, Amsterdam,

A.M. Hakkert, 1969, p. 21). FRINGS esclude dal campo della sua indagine la questione della

rilevanza storica del motivo manieristico degli odia fraterna. Dall’analisi formale di FRINGS il

personaggio di Eteocle staziano emerge come figura convenzionale del tiranno delle scuole retoriche («Odia fraterna» als manieristisches Motiv, cit., pp. 37 ss.). D.T. MCGUIRE, Acts of

Silence: Civil War, Tyranny, and Suicide in the Flavian Epics, cit., pp. 33 ss., 88-146.

209 P. VENINI, Echi senecani e lucanei, cit., pp. 162, 164. D. VESSEY, Statius and the Thebaid,

cit., pp. 82-91; F. DELARUE, Stace, poète épique. Originalité et cohérence, Louvain-Paris, Peeters,

Siamo qui alle radici della retorica. Entrano in gioco in questo procedimento le varie figure della sostituzione, che si rendono necessarie non a fini meramente esornativi, ma per opportunismo politico o per scongiurare ritorsioni all’ordine del giorno in regimi politici di reale o presunta tirannia. Ed è quando la repressione o l’autocensura si attuano che si creano le condizioni per il ritorno del represso. Se retorica e ritorno del represso hanno un legame sul piano del manifestarsi e contemporaneamente del celarsi di contenuti nelle dinamiche del discorso,210 le riflessioni sulla

tirannia non possono essere ritenute semplicemente un’esercitazione scolastica, perché simili considerazioni (banalizzando interpretazioni ormai largamente superate della scuola di retorica come luogo di stasi e riflusso culturale) prescindono da una dimensione esistenziale insita nel tema. È vero semmai il contrario, che la scuola si fa luogo di dibattito e palestra oratoria di quello che, almeno in forma metaforica, doveva essere affrontato.

La Venini tuttavia ha ragione quando sostiene che il poema contiene indubbiamente degli elementi della dottrina stoica. Lo stoicismo era la filosofia più autorevole di Roma dell’età flavia in quanto capace di fornire le fondamenta intellettuali per i principi tradizionali dell’educazione, le linee guida per la vita privata e pubblica, difenda la libertà politica, e nello stesso tempo prepara lo spirito quando le vittime politiche scelgono il ruolo del martire.211 Lo stoicismo del periodo flavio può essere caratterizzato come

“the common mould in which the educated youth of Rome was shaped, [che]

210 J. DERRIDA, La scrittura e la differenza (ed. or. L’écriture et la différence, Paris, Seuil, 1979),

Torino, Einaudi, 1990, passim; F. ORLANDO, Illuminismo, barocco e retorica freudiana, Torino, Einaudi, 1997, passim.

211 Per la visione stoica del suicidio cfr. SVF III 757-768; R. HIRZEL, Der Selbstmord, in

ANWR, 11, 1908, pp. 280-284 (ristampato separatamente Der Selbstmord, Darmstadt,

Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1967, pp. 68-72); E. BENZ, Das Todesproblem in der

stoischen Philosophie, Tübinger Beiträge zur Altertumswissenschaft 7, Stuttgart, Kohlhammer,

1929, pp. 54 ss., 69-74; Y. GRISÉ, Le suicide dans la Rome antique, coll. «Noésis», Montréal-Paris,

Bellarmin et Les Belles Lettres, 1982, cfr. in part. pp. 167-223; A. RONCONI, Exitus illustrium

virorum, in «RAC», 6, 1966, pp. 1258-1268; D.T. MCGUIRE, Acts of Silence: Civil War, Tyranny,

produced honest, diligent, and simple-minded men, exactly suited to be instruments of the great imperial bureaucracy.”212

L’influenza delle dottrine stoiche in Stazio si manifesta a volte esplicitamente, come nella costruzione del personaggio di Adrasto,213

nell’episodio dell’suicidio di Meone (III, 38-112) e di Meneceo (X, 628-685); nella similitudine in cui la dea Virtus, nascosta sotto le sembianze di Manto, viene paragonata ad Eracle che, anche travestito da Onfale, non riesce a nascondere l’apparenza eroica (X, 646-649), infine nelle rare menzioni di Eracle, l’eroe che costituisce il canone eroico dello stoicismo.214 Ma talvolta

l’influenza resta soltanto implicita, si lascia intravvedere alcune riprese senecane e lucanee, nella concezione dei personaggi e dell’azione. Lo stoicismo nell’epica dell’età flavia, in Stazio, in particolare, è piuttosto una riflessione della tradizione letteraria e filosofica e delle convenzioni delle attitudini romane che parte del programma filosofico.

Per capire l’ambiguità dello statuto di Polinice, nonché il ruolo e la funzione strutturale del personaggio nella coppia fraterna, è opportuno a questo punto domandarsi come si comporti Polinice secondo il sistema dei valori politici e morali condivisi da Stazio.

212 E.V. ARNOLD, Roman Stoicism: Being Lectures on the History of the Stoic Philosophy with

special Reference to its Development within the Roman Empire, Cambridge, Cambridge

University Press, 1911; rist. London, Routledge & Kegan, 19582, p. 397.

213 Sulla discussione della caratterizzazione stoica del personaggio di Adrasto: L. LEGRAS,

Étude sur la Thébaïde de Stace, cit., pp. 158 ss.; G. ARICÒ, Ricerche staziane, Palermo, Capuggi, 1972, p. 131; D. VESSEY, Statius and the Thebaid, cit., 1973, p. 98; contra F.M. AHL, Statius’

Thebaid: A Reconsideration, cit., p. 2810; W.J. DOMINIK, Speech and Rhetoric in Statius’ Thebaid,

cit., p. 214.

214 Cfr. M. BILLERBECK (Aspects of Stoicism in Flavian Epic, in F. CAIRNS, a cura di, Papers of

the Liverpool Latin Seminar, vol. 5, Liverpool, ARCA, 1986, su Stazio in part. cfr. pp. 341-356;

rif. p. 346): “Hellenistic kings and rulers, like Roman emperors later, often posed as the successors of Heracles who had brought peace and civilization to mankind, for which ultimately rewarded with immortality. Heracles, together with Dionysus and the Dioscuri, constitutes the Stoic canon of heroes to which Romulus was added in its Roman adaptation from Ennius on. The concept of the deified benefactor of mankind had become so engrained in Hellenistic thinking that the great men of Rome naturally found their place in the Stoic pantheon”. Secondo l’ipotesi di D.F. BRIGHT (Elaborate Disarray: The Nature of Statius’ Silvae,

Meisenheim am Glan, A. Hain, 1980, pp. 69-70), Stazio ha costruito l’intero libro IV delle

Silve sull’associazione di Domiziano con Eracle. Infatti, a Eracle viene paragonato Domiziano