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Eteocle: fisionomia del personaggio scisso

1. Similitudini nautiche: il Doppio di Eteocle e (è) Polinice

1.4. Eteocle: fisionomia del personaggio scisso

La prossima similitudine che prenderò in esame è riferita a Eteocle, appartiene anch’essa al contesto nautico e assimila il protagonista a un nocchiero che temporeggia sorpreso dalla tempesta. Nel secondo libro, Laio, apparso in sogno a Eteocle, lo avverte delle nozze di Polinice e dell’alleanza

304 Luc., Phars., II, 601-609: pulsus ut armentis primo certamine taurus / silvarum secreta petit

vacuosque per agros / exul in adversis explorat cornua truncis / nec redit in pastus, nisi cum cervice recepta / excussi placuere tori, mox reddita victor / quoslibet in saltus comitantibus agmina tauris / invito pastore trahit: sic viribus impar / tradidit Hesperiam profugusque per Apula rura / Brindisii tutas concessit Magnus in arces. Cfr. a proposito dell’analisi del brano lucaneo:A. PERUTELLI,

Una similitudine di Lucano (II. 601-609), MNEMOSINON: studi di letteratura e di umanità in

memoria di Donato Gagliardi, a cura di Ugo Criscuolo, Napoli, Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica “Francesco Arnaldi” 19, 2001, pp. 425-435. Cfr. inoltre L. SCOTTO DI CLEMENTE, Le similitudini con il toro nella Tebaide e nell’Achilleide di Papinio Stazio,

stretta da con il re argivo e paragona lo stesso Eteocle a un timoniere (vv. 105-108):

tu, veluti magnum si iam tollentibus Austris Ionium nigra iaceat sub nube magister

inmemor armorum versantisque aequora clavi, cunctaris.

Rispetto alle similitudini prese in considerazione in precedenza, si nota come nel caso in questione il referente narrativo è cambiato (l’accento si sposta sull’altro fratello, Eteocle), mentre i termini di comparazione sono rimasti gli stessi: marinaio e tempesta. L’immagine del timoniere è dovuta quindi all’angoscia del personaggio di fronte al possibile ritorno del fratello esiliato (iamque ille novis […] superbit / conubiis viresque parat, quis regna capessat, / quis neget, inque tua senium sibi destinat aula, vv. 108-110). Nella scena sognata da Eteocle, Polinice irrompe in forma personificata, un Unheimlich taciuto, la tempesta marina che avanza verso la nave guidata da Eteocle (magnum / Ionium nigra iaceat sub nube […], vv. 105-106). Come spesso accade nei sogni, tutto è ἀδύνατον, il dominio spaventoso dell’impossibile è realizzato: in uno spazio senza topografia né confini viene fortemente sottolineato il rovesciamento della situazione e il ribaltamento dei ruoli rispetto alla situazione del libro I (cfr. soprattutto i vv. 370-375): il persecutore diventa la vittima, e quest’ultima invece – l’oggetto della minaccia di Eteocle (viresque parat, quis regna capessat, vv. 108-109), è il suo fratello inquietante, qualcosa di insopportabilmente familiare, il suo doppio. Si potrebbe definire il sogno di Eteocle come “sogno di rispecchiamento”: ciò che turba il personaggio è identico a sé stesso. La comparazione di Eteocle con un nocchiero, introdotta nella narrazione, sembra suggerire che le visioni che si manifestano in sogno siano molto vicine all’allucinazione. Lo scopo della similitudine è quello di creare la suggestione di uno stato indefinito fra

realtà e sogno del personaggio, in cui la paura che egli vive di perdere il potere assume le sembianze del suo doppio mostruoso.305

Si potrebbe rimarcare come la similitudine acutizzi lo sdoppiamento fra l’io del personaggio e il suo doppio, materializzando una componente psichica sempre presente in Eteocle, anche se non sempre visibile. L’ambiguità di statuto di Polinice (fratello/rivale/nemico) lo rende oggetto privilegiato di proiezioni da parte di Eteocle: egli è quello che l’altro si immagina che sia.306

Un’altra similitudine concernente Eteocle può essere accostata a quella appena presa in analisi per lo stesso termine di paragone: quando il figlio di Edipo invia cinquanta guerrieri a uccidere l’ambasciatore Tideo, viene assimilato a un timoniere uscito in mare aperto di notte e imbattutosi in una tempesta (III, 22-32) 307:

ac velut ille fluctibus Ioniis Calabrae datus arbiter alno nec rudis undarum (portus sed linquere amicos purior Olenii frustra gradus impulit astri), cum fragor hiberni subitus Iouis, omnia mundi claustra tonant multusque polos inclinat Orion,

305 La preoccupazione di perdere il potere che assilla Eteocle può essere accostata, a mio

avviso, al tormento dell’Atreo senecano che, rientrato in possesso del regnum dopo che il fratello Tieste glielo aveva usurpato con l’inganno, costringendolo a vivere da esule, ritiene il suo potere in pericolo a causa delle nuove insidie che Tieste dall’esilio può ancora tramare contro di lui. Cfr. a proposito F. CAVIGLIA, “Thyestes conviva”, in R. GAZICH, a cura di, Il

potere e il furore. Giornate di studio sulla tragedia di Seneca (Brescia, febbraio, 1998), Milano, Vita e

Pensiero, 2000, pp. 61-81; rif. p. 64. Il personaggio di Eteocle presenta inoltre fortissime analogie con il tiranno Pelia di Valerio Flacco, assalito da un’analogo timore per il proprio dominio suscitato dai responsi degli oracoli e dalla preoccupazione per la virtus e la fama del nipote, che lo rendono ben voluto dal popolo: super ipsius ingens / instat fama viri virtusque

haud laeta tyranno (Arg., I, 29-30).

306 Per analisi più approfondita della similitudine cfr. il paragrafo successivo di questo

capitolo, Il velo dell’indovino: ambiguità linguistica e aberrazione familiare nel sogno di Eteocle.

307 F.M. AHL, Statius’ Thebaid: A Reconsideration, cit., p. 2877: “Each word of this simile is

highly charged. Eteocles is entitled to set his ship’s course, he is arbiter: yet another non- tyrannical term for his power. His mistake is yielding to anger, failing to be an arbiter of his vessel. The epithet Agenoreus recalls Eteocles’ Phoenician, n a u t i c a l origins. Yet the navigator sails a Calabrian ship: from south-east Italy, where trade was conducted with Greece across the Ionian See.”

ipse quidem malit terras pugnatque reverti, fert ingens a puppe Notus, tunc arte relicta ingemit et caecas sequitur iam nescius undas: talis Agenoreus ductor caeloque morantem Luciferum et seros maerentibus increpat ortus.

Stazio presenta Eteocle nelle vesti del marinaio esperto di navigazione (nec rudis undarum, v. 24) e tuttavia incapace di orientarsi nell’infuriare dei venti e nell’abbattersi incrociato delle onde. La nave è stata colta in alto mare da una tempesta inaspettata e il disorientamento in cui si si trova gli impedisce di escogitare qualsiasi modo per opporsi alle circostanze.

Il significato della similitudine si articola su due piani: il primo si può definire psicologico, e il secondo, politico. Il primo livello poteva essere ispirato a Stazio anzitutto dai precedenti senecani. Nell’Agamennone la similitudine nautica è riferita a Clitennestra e mira a illustrare la morsa degli opposti sentimenti che lacerano l’eroina. Paragonando se stessa a un navigante in balia di contrari flutti, Clitennestra rivela il turbamento della sua anima che si dibatte angosciosamente tra l’odio e il timore, tra la passione amorosa per Egisto e il sentimento di pudore (Ag., 138-143):

fluctibus variis agor,

ut, cum hinc profundum ventus, hinc aestus rapit, incerta dubitat unda cui cedat malo.

Proinde omisi regimen e manibus meis: quocumque me ira, quo dolor, quo spes feret, hoc ire pergam; fluctibus dedimus ratem.308

L’altra similitudine nautica di Seneca, proveniente dalla Fedra, è riferita a un contesto erotico: attraverso di essa, Fedra scava in profondità nel suo

308 Cfr. inoltre Sen., Ag., 507-509: Nil ratio et usus audet: ars cessit malis; / tenet horror artus

mondo segreto, proietta i suoi sentimenti fuori di sé, esacerbando il conflitto tra la passione per Ippolito e un residuo senso di morale (Ph., 181-185):

Sic, cum gravatam navita adversa ratem propellit unda, cedit in vanum labor et victa prono puppis aufertur vado. Quid ratio possit? vicit ac regnat furor Potensque tota mente dominatur deus.

In entrambi i brani il grande turbamento sentimentale delle eroine viene assimilato allo stato d’animo di un marinaio in balia della tempesta. Vi sono, in effetti, diversi punti di contatto tra essi e il passo staziano: l’immagine della nave nella tempesta, confermata dalle corrispondenze verbali (fluctibus Ioniis datus arbiter alno, Theb., I, 23; fluctibus variis agor, Ag., 138; [...] fluctibus dedimus ratem, Ag., 143), come anche la descrizione dell’improvviso inizio della tempesta stessa (cum fragor hiberni subitus, Theb., I, 26; hinc aestus rapit, Ag., 139). Comuni sono il particolare delle onde – dove ad avere difficoltà è in realtà il nocchiere (caecas sequitur iam nescius undas, Theb., I, 30; incerta dubitat unda, Ag., 140; adversa propellit unda, Ph., 182) e il motivo della perdita di controllo sulla nave (arte relicta, Theb., I, 29; omisi regimen e manibus meis, Ag., 141; cedit in vanum labor, Ph., 182). Quest’ultimo, rafforzato dalla costruzione passiva in entrambi i passi senecani (agor, Ag., 138; victa […] aufertur, Ph., 183), ha significato dominante e simbolizza l’arrendersi dei personaggi al furore (quocumque me ira, quo dolor, quo spes fere, Ag., 142; quid ratio possit? vicit ac regnat furor, Ph., 184). Tale significato della tempesta è sottinteso anche nel caso di Eteocle, che si arrende di fronte alle forze nefande che nel finale del poema lo portano al fratricidio.

I modelli senecani hanno dunque ispirato la caratterizzazione psicologica del personaggio staziano: Eteocle, in effetti, è preso da scrupoli e pudore, come Clitennestra, e lacerato dai sentimenti opposti, come Fedra (cfr. sese culpat super omnia, qui non / orantem in mediis legatum coetibus ense / perculeret

foedasque palam satiaverit iras, vv. 19-21; iam pudet incepti, iam paenitet, v. 22). Egli, mediante il rapporto con i precedenti senecani, si presenta come personaggio dal carattere contraddittorio: nel suo animo si combattono il desiderio di uccidere e il disagio morale, l’orrore e il fascino del delitto.

Tuttavia non è questa la funzione fondamentale della similitudine. Stazio adatta il topos del navigante ad una situazione diversa, lo piega alle esigenze del suo personaggio, allontanandosi dal concetto amoroso. L’immagine del navigante per rappresentare il folle d’amore è diffusa e riconoscibile; nondimeno, il medesimo topos del nocchiero che ricorre con frequenza nella letteratura già a partire dai Sette contro Tebe di Eschilo, impiegato anche come metafora per un capo di un esercito o di un Stato.309 Siamo autorizzati quindi

a un’altra interpretazione della similitudine, ‘politica’: a maggior ragion essa sarà possibile quando si consideri che lo stesso Eteocle utilizza detta similitudine per definire se stesso come capo politico nei Sette contro Tebe di Eschilo (vv. 1–3):


Κάδµου
πολῖται,
χρὴ
λέγειν
τὰ
καίρια
 
 ὅστις
φυλάσσει
πρᾶγος
ἐν
πρύµνῃ
πόλεως

 
 οἴακα
νωµῶν,
βλέφαρα
µὴ
κοιµῶν
ὕπνῳ.


Le qualità del pilota sono ben chiare: egli deve saper dire (e fare) la manovra che più risulterà conveniente, τὰ
καίρια
(v.1), e deve tenere la barra senza mai cedere al sonno, perché chiudere gli occhi gli sarebbe fatale. Il termine di confronto della nave-stato sarà naturalmente centrale nei Sette di Eschilo.

Tornando al passo staziano, l’espressione arte relicta (v. 29) ci rinvia a un analogo passaggio lucaneo in cui essa è usata per la descrizione dello stato d’animo di Pompeo, che si arrende alla volontà della truppa, prima della

309 Ret. Her., IV, 57; Cic., De rep., I, 2; Fam., I, 9, 21; XII, 25, 5; Fam, XVI, 27, 1; Cic., Att., II, 7,

4; II, 21, 2; VII, 23, 2; ad Brut., XIII, 4; Dio. Cass., LII, 16, 4; Theogn., Eleg., I, 671-679; Boeth.,

battaglia di Farsàlo, così come il marinaio cede alla furia delle onde durante la tempesta (VII, 125-127)310:

[...] ut victus violento navita coro dat regimen ventis ignavumque arte relicta puppis onus trahitur.

La scena presenta non poche analogie con quella del terzo libro della Tebaide: come il timoniere Eteocle nella similitudine staziana, che dopo aver perso il controllo della nave, abbandona la manovra (arte relicta, v. 29) e si affida alle onde cieche (caecas [...] undas, v. 30), così nella Farsaglia, il marinaio Pompeo, vinto dalla violenza della tempesta, si lascia andare in balia dei venti (dat regimen ventis ignavumque arte relicta, v. 126). Sul piano metaforico, la condizione di Eteocle e Pompeo nella loro veste di uomini politici è identica, e Stazio, nel costruire l’episodio in questione, può dunque aver tenuto presente il personaggio lucaneo. Se si osserva infatti il contesto della Farsaglia in cui compare la similitudine, si nota come essa segua immediatamente il discorso pompeiano in cui si lamentano le sciagure della guerra. Pompeo si rende conto che l’esito di uno scontro di così vaste proporzioni avrebbe causato ferite difficilmente sanabili nell’ambito costituzionale della res publica, ed esprime la sua preoccupazione per l’odio che egli si attirerà se risulterà il vincitore. Dal discorso di Pompeo si evincono così le motivazioni che più tardi lo spingeranno alla fuga dal campo di battaglia: se il nefas è comunque destinato a trionfare, allora la sconfitta e la morte sono preferibili ad una vittoria che comporta il massacro dei concittadini. La similitudine quindi, ritrovando l’antico motivo della nave dello Stato in preda alla tempesta e sfruttando le accezioni di regere e derivati nel linguaggio tecnico marinaresco (‘pilotare’), ribadisce di nuovo la forzata

310 Cfr. per l’analisi del brano lucaneo E. N

ARDUCCI, Lucano. Un’epica contro l’impero.

Interpretazione della Pharsalia, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 308-309; M.P.O. MORFORD, The

rinuncia di Pompeo alla funzione di rector publicae e la sua resa alla volontà dell’esercito.

È stato più volte notato che il rapporto della Tebaide con l’epica di Lucano è avvertibile nella sostanza di tutto il poema.311 La presenza di Lucano nella

Tebaide tuttavia non si limita solo alla ripresa di un grande numero di motivi connessi al tema della guerra fratricida, ma si estende anche sulla caratterizzazione umana ed emotiva dei singoli personaggi. Stazio cala il lettore in un labirinto di percorsi e reminiscenze poetiche, in cui la risonanza strutturale, la somiglianza dei motivi della tempesta, dell’impotenza del timoniere mostrano una spiccata coincidenza tra il destino di Eteocle e quello del personaggio lucaneo.

Riassumendo infine l’analisi dei due piani individuati nella similitudine, si potrebbe affermare che anche l’immagine di Eteocle sia costruita sulla scissione interiore del personaggio. Se Polinice, come si è rivelato dall’analisi del passo del libro II (vv. 189-197), pur essendo contento di avvicinarsi all’humus amica, rimane tormentato dalla condizione di esule e dal desiderio di riacquistare il potere, Eteocle, al contrario, mantenendo il ruolo di re che è stato negato con la frode al fratello, è tuttavia insicuro nelle sue azioni. Il suo stato d’animo, esplicitato attraverso la similitudine, in cui esso viene paragonato all’impotenza che paralizza un marinaio di fronte alla furia del mare, rivela il suo fallimento in quanto rector rei publicae.312 I portos amicos (III,

24), che Eteocle-timoniere abbandona, lasciano supporre la sua sconfitta politica ancora prima della perdita definitiva del regno, nella stessa maniera

311 L. MICOZZI, Aspetti dell’influenza di Lucano nella Tebaide, in P. ESPOSITO, L. NICASTRI, a

cura di, Interpretare Lucano, «Miscellanea di Studi», Napoli, Arte Tipografica, 1999, pp. 343- 387; P. VENINI, Echi senecani e lucanei nella Tebaide. Tiranni e tirannidi, in «RIL», 99, 1965, pp. 157-167.

312 M. COHEN, Il mare, cit., p. 445: “Il potere repressivo esercitato sulla nave è presentato

come necessario a causa dell’ambiente ostile del mare, in cui ciascuno deve sacrificarsi le comodità, gli egoismi, la propria personalità e persino la vita per il benessere collettivo – il tutto sotto la sorveglianza di un capo investito dell’autorità suprema. Poiché però questo potere quasi assoluto può sfuggire facilmente di mano, il cronotopo della nave esplora il confine tra il giusto esercizio della forza - necessario a far funzionare le cose anche in condizioni difficili - e il ricorso alla brutalità sadica e gratuita. La composizione sociale della nave cambia nel corso della storia, a seconda delle strutture sociali della terraferma e degli elementi storici della vita a bordo”.

in cui aveva fallito Pompeo (l’ipotesi tra altro viene subito confermata nello smascheramento del carattere tirannico di Eteocle da parte di Menete (I, 59- 87).313

In conclusione, dallo studio delle similitudini riferite ai personaggi di Eteocle e Polinice emerge come essi siano uniti dalla comunanza di determinati caratteri, quale ad esempio la forte scissione interiore. I due fratelli non sono tuttavia identici, bensì in un certo senso costruiti in maniera complementare: è così che, mentre Polinice va alla ricerca – dopo aver subito la tempesta – dell’humus amica, al contrario Eteocle è costretto di allontanarsi dai portos amicos, a simbolizzare due diversi modi cercare la propria realizzazione personale.